Attorno alla qualificazione e condizione lavorativa dei magistrati onorari si è da tempo innescato un aspro contenzioso multilivello. Dal riconoscimento ai magistrati onorari dello status di lavoratori nella prospettiva europea, discendono numerose questioni, non adeguatamente risolte nei più recenti interventi legislativi.
Around honorary magistrates’ qualification and working conditions, a bitter multi-level litigation has long been triggered. The recognition of honorary magistrates of the status of workers in the European perspective gives rise to numerous issues, which have not been adequately resolved in the most recent legislative interventions.
1. La magistratura onoraria: chi, come, quanti - 2. I magistrati onorari sono lavoratori! - 3. Giurisdizione e competenza - 4. Il trattamento economico e normativo - 5. Il (mancato) sistema antiabusivo - 6. I rimedi - 7. Osservazioni conclusive - NOTE
La questione della presenza nell’ordinamento di magistrati non di carriera, da affiancare ai c.d. togati per l’amministrazione della giustizia, si era posta fin dai tempi dei costituenti, i quali l’avevano cristallizzata nella previsione dell’art. 106, comma 2, Cost., ove si dispone che «l’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli». Già all’epoca, infatti, era nota la vicenda dei vice-pretori onorari, impiegati ben oltre il limite della saltuarietà e dell’onorar età, in quanto, negli anni, avevano finito per svolgere le funzioni giurisdizionali a titolo principale, sia dal punto di vista dell’impegno temporale, sia del reddito. La discussione circa l’eradicazione della magistratura onoraria si era scontrata con la consapevolezza che «abolendo le magistrature onorarie, si (sarebbero messe) soprattutto le Preture nella impossibilità di funzionare, tenuto conto che l’amministrazione della giustizia non ha abbastanza giudici da assegnare ad esse» (Cevolotto) e che «l’espediente migliore per facilitare la risoluzione del problema del miglioramento delle condizioni economiche dei magistrati sarebbe stato quello della riduzione del loro numero – specie nei gradi inferiori – sostituendoli con magistrati onorari» (Targetti) [1]. All’epoca, l’abuso dell’impiego dei vice-pretori onorari fu sanato attraverso la loro stabilizzazione nella magistratura di carriera [2]. Ci si potrebbe fermare qui, dacché il quadro della situazione appare già ben delineato nelle cause (spendere il meno possibile) e nelle soluzioni (stabilizzazioni e sanatorie), che sono le medesime adottate, nel tempo, per affrontare le molteplici situazioni in cui la pubblica amministrazione si è resa protagonista dell’abuso nella reiterazione dei rapporti di lavoro con avventizi e precari, assunti, infine, in ogni amministrazione e per qualsiasi professionalità (da ultima, financo per la dirigenza medica [3]). Ma la vicenda che ci occupa assume un significato del tutto peculiare nell’ordinamento, giacché affrontare le questioni inerenti all’assetto della magistratura onoraria consente una più ampia riflessione con riferimento al diritto eurounitario e [continua ..]
La consapevolezza della propria iniqua condizione, via via acquisita anche dagli operatori, si è innestata sul più ampio contenzioso dei c.d. precari storici della pubblica amministrazione italiana [9], che – ormai avvezzi alla lite anche avanti alle Corti europee – hanno collocato la contesa in ogni sede, in prospettiva multilivello. Alcuni capisaldi della vicenda possono oggi dirsi fissati, con conseguenze rilevanti. La sentenza della Corte di Giustizia UE 16 luglio 2020, UX contro Governo della Repubblica italiana (causa C-658/18) [10], ha chiarito l’aspetto della qualificazione dei giudici onorari secondo il diritto eurounitario del lavoro. La domanda di pronuncia pregiudiziale formulata da un giudice di pace (felsineo) riguardava l’interpretazione dell’art. 267, TFUE e gli artt. 31, paragrafo 2 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sul principio della responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione, nonché l’interpretazione dell’art. 1, paragrafo 3, e l’art. 7, dir. 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, nonché le clausole 2 e 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, allegato alla dir. 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999. La Corte ha affermato che «L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che il Giudice di pace (Italia) rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati membri», ai sensi di tale articolo» sicché «l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che un giudice di pace che, nell’ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, può rientrare nella nozione di «lavoratore», ai sensi di tali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La [continua ..]
La prima questione su cui ci si deve interrogare riguarda la definizione della giurisdizione (e, di conseguenza, della competenza) su chi possa procedere all’accertamento della qualità di euro-lavoratore in capo al magistrato onorario [12] e, da lì, valutare le diverse rivendicazioni svolte. Il presupposto è lo svolgimento di una attività di fatto equiparata a quella dei magistrati togati, ove le prestazioni svolte andrebbero inquadrate in un contesto di rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del Ministero della giustizia. La difficoltà teorica è data dall’elemento di comparazione, che, nel caso della magistratura onoraria, è quello dell’impiego pubblico non privatizzato dei magistrati togati. Ove la moltitudine dei magistrati onorari chiedesse di essere collocata nella medesima posizione dei togati, se ne dovrebbe ricavare la giurisdizione amministrativa. Ma tale domanda, opportunamente, non viene svolta: invece, si ricorre per l’accertamento di un rapporto di fatto alle dipendenze del Ministero della giustizia, che prenda in tutto e per tutto a parametro lo status dei togati, ma senza adombrare mai una (ormai, notoriamente, inaccoglibile) richiesta di incardinamento direttamente nei ruoli della magistratura ordinaria (Cons. Stato 22 novembre 2022-26 gennaio 2023, n. 906) [13]. Secondo la giurisprudenza, spetta dunque al giudice ordinario decidere della domanda del magistrato onorario, che chieda un emolumento normativamente predeterminato, quale diritto soggettivo predeterminato nell’an e nel quantum (Cass., sez. un., 31 gennaio 2017, n. 2479 e, parallelamente, Cons. Stato, sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1326). Diversamente, le sole questioni relative alla funzione rientrano nell’ambito della giustizia amministrativa: in questo senso, vanno ricordati i provvedimenti del Tar Emilia-Romagna, che hanno disposto la prosecuzione delle funzioni giurisdizionali dei giudici di pace ricorrenti oltre la data di compimento del sessantottesimo anno di età, prevista per la cessazione del loro incarico, assimilandoli ai magistrati di carriera, in ordine al pensionamento al settantesimo anno d’età (Tar Emilia-Romagna, 1 giugno 2020, 5 novembre 2020; 23 dicembre 2020) [14]. Circa la competenza, ci si è interrogati in ordine alla cognizione del giudice del lavoro, in relazione alla portata delle previsioni degli artt. 409 c.p.c. e 63, [continua ..]
Come cennato, la CEPEJ unifica i magistrati professionisti, che siano a tempo parziale o a tempo pieno, considerando come l’imparzialità e la terzietà di giudizio trovino nella protezione e nell’indipendenza economica i propri tasselli fondamentali. Questa impostazione è stata formalizzata anche nella Raccomandazione n. 12/2010 del Comitato dei ministri agli Stati membri sui giudici, adottata in occasione della 1098ª riunione dei Delegati dei ministri del 17 novembre 2010. Una buona giustizia richiede che le raccomandazioni in materia di retribuzione si applichino ai magistrati professional, vietando quei «sistemi che facciano dipendere dalle prestazioni gli elementi essenziali della retribuzione, in quanto essi possono creare difficoltà all’indipendenza dei giudici». In questo senso, la Corte Cost., sent. n. 267/2020, ha dichiarato illegittimo l’art. 18, comma 1, d.l. 25 marzo 1997, n. 67 (conv. in legge 23 maggio 1997, n.135) nella parte in cui non prevede che il Ministero della giustizia rimborsi ai magistrati onorari (nel caso in esame, giudici di pace) le spese legali per la difesa sostenuti nei giudizi di responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi per fatti di servizio e conclusisi con provvedimento di esclusione della responsabilità, considerando del tutto irragionevole l’esclusione dalla tutela, in precedenza accordata solo ai magistrati togati, in considerazione dell’identità della funzione del giudicare e della sua primaria importanza costituzionale, nonché della necessità di garantire un’attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici conseguenti ad azioni di responsabilità infondate. Secondo la Corte Costituzionale, la copertura per le spese legali evita che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, timore che «sussiste per l’attività giurisdizionale nel suo complesso, quale funzione essenziale dell’ordinamento giuridico, con pari intensità per il giudice professionale e per il giudice onorario». Da questo punto di vista, il rimborso delle spese per la difesa tecnica «attiene non al rapporto di impiego […] bensì al rapporto di servizio», trattandosi di una tutela della funzione, non collegata allo status. Invero, nel tempo, [continua ..]
È ben noto come la p.a. abbia, nel tempo, ampiamente abusato della flessibilità contrattuale, ricorrendo al lavoro precario ben oltre i limiti normativamente concessi, ante e oltre la contrattualizzazione del lavoro pubblico. Sia sufficiente ricordare che «alla fine del 1861 i posti in organico non superavano i 3000, sebbene si dovesse considerare una incalcolabile massa di fuori ruolo: avventizi, precari di varia collocazione, giovani e meno giovani confluiti negli uffici pubblici per lo più dopo aver partecipato alle campagne risorgimentali, volontari gratuiti in paziente attesa di assunzione» [18]. Il mancato, perdurante riconoscimento nazionale della posizione dei magistrati onorari tra i lavoratori ha portato con sé l’omissione di un modello anti-abusivo: infatti, la fictio di occasionalità e onorarietà che – ancora (v. infra) – colloca i magistrati non togati al di là del lavoro, determina la mancata previsione di regole che scoraggino la pubblica amministrazione dal trarre un (ingiusto) vantaggio della propria, speciale, condizione (anche) nell’amministrare la giustizia, secondo le logiche low cost. Da un lato, non constano procedimenti (né disciplinari, né di responsabilità) a carico dei dirigenti che abbiano dato corso agli abusi in materia di contratti flessibili. Neppure l’avvento della circolare del 21 novembre 2013, emanata dalla Presidenza del Consiglio, Ministero per la semplificazione e la p.a., in relazione al d.l. n. 101/2013, e recante «Indirizzi volti a favorire il superamento del precariato», ha smosso alcunché. In essa si è affermato che «il tema del precariato è particolarmente emergente», in particolare, in quanto «si riflette sulla responsabilità amministrativa e dirigenziale, in caso di accertato utilizzo improprio del lavoro flessibile, atteso, tra l’altro, che le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave» e precisato che «sempre in un’ottica dissuasiva al ricorso improprio a contratti a tempo determinato, si sancisce la nullità dei contratti illegittimi e si rafforza la responsabilità in capo a chi li pone in essere prevedendo un’ipotesi di responsabilità erariale che [continua ..]
Ci si chiede, dunque, «che fare della magistratura onoraria» [22]. La recente riforma avrebbe dovuto affrontare le criticità sin qui menzionate, tenendo conto della giurisprudenza e degli studi condotti a livello europeo. Il d.lgs. n. 116/2017, in attuazione della delega conferita dalla legge n. 57 del 2016, ha provveduto al complessivo riordino della magistratura onoraria, ma lo scenario risulta oggi ampiamento modificato, a seguito degli interventi operati dalla legge di bilancio 2022 (in particolare, ex art. 1, comma 629, legge n. 234/2021). Il fulcro del sistema è il collegamento con il c.d. Ufficio per il processo, previsto dall’art. 16-octies, d.l. n. 179/2012 e oggi riformulato nel d.lgs. n. 151/2022, quale struttura di supporto alle attività degli uffici giudiziari ove, con l’obiettivo di ridurre l’arretrato e garantire tempi ragionevoli della giustizia, operano funzionari, tirocinanti, laureati in formazione professionale e, per quel che qui interessa, i giudicanti non togati. Il recentissimo art. 4, d.lgs. n. 151/2022 contiene, al comma 1, l’elencazione delle figure professionali di cui si compongono gli uffici per il processo, che, presso il tribunale, comprende i giudici onorari di pace (di cui agli artt. 10 e 30, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 116/2017); e, presso le corti di appello, vede assegnati i giudici ausiliari (di cui agli artt. 62, d.lgs. n. 69/2013): in considerazione della necessità di tenere conto della pronuncia di incostituzionalità di cui alla sentenza n. 41/2021 della Corte Costituzionale, l’inclusione dei giudici ausiliari negli uffici per il processo è stata temporalmente limitata al momento in cui sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, nei tempi stabiliti dall’art. 32, d.lgs. n. 116/2017 (su cui v. infra). La odierna impostazione si fonda sull’affermazione della natura inderogabilmente temporanea dell’incarico onorario, che dovrebbe svolgersi in modo da assicurare la compatibilità con lo svolgimento di attività lavorative o professionali: a tal fine, a ciascun magistrato onorario non dovrebbe essere richiesto un impegno superiore a due giorni a settimana. Circa la professionalità, si prevede che il magistrato onorario possa svolgere attività giudiziaria soltanto dopo aver svolto, nell’ufficio giudiziario dove potrà [continua ..]
Le scelte operate a livello nazionale si prestano, invero, ad alcune osservazioni. La prima riguarda l’opzione per una conferma del modello degli incarichi, anziché per una edificazione ed eventuale stabilizzazione in un idoneo ruolo di professional. La strada si sarebbe rivelata del tutto inedita: infatti, le procedure di conferma o accesso ai ruoli con valorizzazione dell’esperienza pregressa, concorrendo su quote o per posti riservati, sin qui adottate (per tutti i settori della p.a.) hanno portato l’ingresso degli stabilizzandi in posizioni già esistenti, non create ex novo e ad hoc. Nel caso che ci occupa, l’opzione del legislatore è per una magistratura onoraria non di ruolo, in virtù di una presunta preclusione derivante dall’art. 106, comma 1, Cost., ribadita anche nel parere n. 854/2017 della Commissione Consultiva del Consiglio di Stato, sulla attuazione della legge delega n. 57/2016. I giudici di Palazzo Spada, infatti, hanno diffidato l’esecutivo, rispetto all’adozione di procedure di stabilizzazione dei «giudici onorari prorogati» quali funzionari amministrativi del Comparto Ministeri, in assenza di una chiara disposizione in proposito contenuta nella legge delega. L’alto consesso, invero, non ha escluso la fattibilità dell’operazione in astratto, quanto, invece, nel concreto della (carente) legge delega e ha recentemente posto la questione delle infinite proroghe anche alla Corte di Giustizia UE, sollevando (tra le altre) una questione pregiudiziale relativa all’art. 5 dell’accordo quadro sul tempo determinato con la propria ord., 22 novembre 2022-26 gennaio 2023, n. 906. Ne consegue una riflessione sul riferimento al trattamento dei funzionari amministrativi, quale parametro per la determinazione dei profili economico – normativi spettanti ai magistrati non togati. Si tratta di una opzione del tutto arbitraria che, in prima battuta, non pare esente da censure di ragionevolezza, in ragione della disparità di trattamento tra soggetti (i magistrati, togati e non) quando essi svolgano la medesima funzione (amministrare la giustizia). Infatti, alla luce della messa a regime dell’Ufficio per il processo, pare potersi notare come all’interno di esso operino soggetti che svolgono funzioni diverse: di studio, supporto e ricerca, da intendersi come preparatorie rispetto allo iuris dicere, ovvero [continua ..]