Gli Autori esaminano le problematiche processuali del contenzioso promosso dai giudici onorari – sull'onda della nozione euro-unitaria di lavoratore inaugurata nella sentenza UX e recepita poi nella sentenza PG della Corte di Giustizia UE – e rivolto al fine di ottenere maggiori tutele, assimilabili a quelle spettanti ai magistrati ordinari e comunque incentrate sul riconoscimento di una loro posizione quali veri e propri lavoratori a tempo parziale. In particolare, lo studio affronta le recenti modifiche legislative ed il tema dell'individuazione del giudice munito di giurisdizione al riguardo.
The Authors examine the procedural issues arising out of the recent set of disputes, in which the honorary judges have sued the Italian Republic in order to obtain labour treatments and protections similar to those enjoyed by ordinary judges. The Authors focus the recognition of the position of honorary judges as fixed-term employees according to the European notion of “worker”, as it was determined in the UX and PG judgments of the EU Court of Justice. The paper also deals with the recent legislative innovations about honorary judges and addresses the question about the identification of the competent courts of jurisdiction (whether of the ordinary or of the administrative courts).
1. Premessa: dalla sentenza della Corte di Giustizia O’Brien alla sentenza PG, passando per la sentenza UX - 2. La “sponda” offerta dalla Corte Costituzionale - 3. L’intervento “a rimorchio”, e non del tutto trasparente, del legislatore - 4. L’incerta tutela processuale dei diritti dei giudici onorari che si prospetta sul piano nazionale - 5. L’incertezza sulla “sede” ove perseguire la tutela processuale dei diritti dei giudici onorari - 6. Qual è il giudice munito di giurisdizione per decidere le domande promosse dai giudici onorari: g.a. o g.o.? - 7. L’àncora di salvezza offerta dalla translatio iudicii trans-giurisdizionale - NOTE
Negli ultimi anni, la qualifica del rapporto dei giudici onorari e la conseguente individuazione delle tutele che dalla stessa conseguono sono al centro di un nutrito contenzioso promosso da giudici di pace, g.o.t. (ora g.o.p. [1]) e v.p.o. al fine di ottenere il riconoscimento di diritti retributivi, previdenziali e assistenziali, sino a poco tempo fa negati dalla giurisprudenza. Quest’ultima infatti si è a lungo orientata a disconoscere che quello dei giudici onorari possa essere inquadrato come un rapporto di lavoro, facendo evidentemente leva sull’onorarietà dell’incarico radicata nel comando dell’art. 106, comma 2, Cost., che configura la magistratura onoraria come ufficio temporaneo, ricoperto da soggetti che svolgono un’altra attività o professione e partecipano, con un apporto occasionale e per periodi limitati, all’esercizio della funzione giurisdizionale per le questioni di minore importanza, dietro pagamento di un’indennità e al precipuo fine di alleggerire il carico di lavoro del magistrato professionale [2]. Tale modello non corrisponde, però, a quello inveratosi nella prassi del nostro ordinamento, ove i magistrati onorari, in virtù del succedersi di ripetute proroghe, hanno finito per svolgere in modo stabile, continuo ed esclusivo la loro attività. L’effetto domino è stato innescato dalla nota sentenza della Corte di Giustizia UE del 16 luglio 2020, UX [3] (preceduta dalla sentenza O’Brien del marzo 2012, relativa ai recorders britannici [4]), con la quale è stato affermato che i magistrati onorari, a determinate condizioni che spetta al giudice di rinvio verificare, non possono certo diventare magistrati a tutti gli effetti “per mera virtù” della disciplina di fonte euro-unitaria, ma nondimeno sono da ritenersi lavoratori a termine secondo i parametri del diritto europeo (ossia laddove la loro attività sia non marginale ed accessoria e presenti il carattere di onerosità che connota la nozione euro-unitaria di lavoratore). La consequenziale applicabilità piena ai giudici onorari della direttiva 2003/88/CE [5] ha costretto le Corti interne a misurarsi con un problema che la c.d. legge Orlando [6] aveva solo in minima misura “tamponato” (prevedendo una forma di indennità fissa, all’art. 23, ed introducendo, all’art. 25, una [continua ..]
Nel frattempo pure in ambito nazionale qualcosa si era mosso, su impulso della pronuncia UX: non solo a fronte di talune decisioni di merito in forza delle quali sono stati riconosciuti ai magistrati onorari maggiori diritti sul piano retributivo e previdenziale [8], ma anche (e soprattutto) a fronte di incisivi interventi della Consulta [9]. Questa, con la sentenza 9 dicembre 2020, n. 267, è entrata nel vivo del dibattito sullo status del magistrato onorario, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 1997, n. 135, in relazione all’art. 3 Cost., «nella parte in cui non prevede che il Ministero della giustizia rimborsi le spese di patrocinio legale» ai giudici di pace [10] evocati in giudizio per fattispecie di responsabilità civile, penale e amministrativa, in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità. In particolare in essa si legge che, «attesa l’identità della funzione del giudicare, e la sua primaria importanza nel quadro costituzionale, è irragionevole che il rimborso delle spese di patrocinio sia dalla legge riconosciuto al solo giudice “togato” e non anche al giudice di pace, mentre per entrambi ricorre, con eguale pregnanza, l’esigenza di garantire un’attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici connessi ad eventuali e pur infondate azioni di responsabilità» (punto 10 della motivazione). È però con la decisione 17 marzo 2021, n. 41 [11], che la Consulta – sia pure con una statuizione “differita”, con tempistica del tutto anomala e paradossale – ha scoperchiato il vaso di Pandora, dichiarando l’illegittimità costituzionale della normativa che ha introdotto la figura di giudice ausiliario di Corte d’appello (attribuendogli lo status di componente dei collegi delle sezioni della Corte d’appello come magistrato onorario), per contrasto con l’art. 106, comma 2, Cost. Invero, con tale decisione i giudici delle leggi hanno posto «un freno al progressivo ampliamento dell’utilizzo dei giudici onorari, riportando l’attenzione sui [continua ..]
Per cercare di offrire una risposta alle pressioni pervenute sia dalla Consulta sia dalle istituzioni comunitarie [15] in ordine ai problemi collegati al rapporto di impiego dei magistrati onorari in servizio (a fronte di una esigenza di cambiamento ormai non più differibile ed attestata anche dalle contro-iniziative di riforma del decreto Orlando all’esame del Parlamento), il legislatore, con la legge di bilancio 2022 (legge 30 dicembre 2021, n. 234), è intervenuto ancora in materia, sostituendo integralmente l’art. 29 del d.lgs. n. 116/2017. In quel contesto si è disposto che i magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore della riforma Orlando potranno essere confermati, alla scadenza del primo quadriennio, fino al limite di età (comunque fissato a settanta anni, anche per i magistrati ordinari, a partire dalla riforma del governo “Renzi”) [16]. La conferma, che ha luogo a domanda dell’interessato, avviene all’esito di un procedimento che contempla una procedura valutativa; ed in effetti, la scorsa estate, è stata indetta la prima procedura di valutazione ai fini della conferma a tempo indeterminato della magistratura onoraria in servizio [17]. A chi non fosse interessato a presentare domanda di “conferma”, così come a chi non dovesse superare la procedura di valutazione, viene comunque garantita una sorta di indennità di fine rapporto (secondo le linee tracciate nel c. 2 del novello art. 29 [18]). Quale passaggio indispensabile per conseguire tale indennità, così come per partecipare alla procedura di valutazione per la “conferma”, il legislatore impone però – come mezzo al fine –la «rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto onorario pregresso» o cessato (v. commi 2 e 5). Ora non è questa l’occasione per entrare nel merito della bontà di questi interventi, né si intendono sviluppare in questa sede considerazioni in ordine alle prospettive di riforma della figura dei giudici onorari: riforma che dovrà essere in grado di intercettare e contemperare plurime esigenze nel rispetto del quadro costituzionale e sovranazionale. Preme piuttosto evidenziare come la previsione in esame miri ad arginare – con uno strumento di do ut des che si pone quale grimaldello per carpire il consenso [continua ..]
V’è invero che, se, sul piano transfrontaliero, le istituzioni europee hanno aperto le porte a un diverso inquadramento del rapporto di servizio dei giudici onorari, offrendo spiragli per riconoscere esattamente le stesse garanzie spettanti ad ogni tipologia di attività lavorativa a tempo parziale, il cammino diretto a perseguire queste più ampie tutele giuridiche dinanzi alle Corti italiane (anche per chi dunque, sempre salve eventuali censure d’incostituzionalità, ritenesse di non rinunciarvi a fronte della prospettiva di “stabilizzazione” o di ottenimento dell’indennità di fine rapporto) si è invece dimostrato sino ad ora tutt’altro che agevole, sia sul terreno sostanziale, all’ombra del possibile maturare della prescrizione dei diritti azionati [20], sia nella prospettiva processuale. La difficoltà riposa non solo nella ritrosia della Corte di Cassazione [21] (diversamente da taluni giudici di merito [22]) ad ammettere un rapporto qualificato e tipico di impiego del magistrato onorario che faccia breccia verso l’apertura al riconoscimento di ulteriori diritti, bensì anche sul fronte dell’individuazione del ramo cui rivolgersi per ottenere la stessa tutela giurisdizionale: essendo i giudici onorari costretti a “destreggiarsi” innanzi a una sorta di rimpallo tra Sezioni Unite e Tar in punto di individuazione dell’autorità giudiziaria munita di giurisdizione per decidere le loro domande.
Con l’ordinanza del 30 luglio 2021, n. 21986, le S.U., adite in sede di regolamento ex art. 41 c.p.c., hanno statuito che appartiene alla giurisdizione del Tar l’accertamento della natura del rapporto di lavoro col Ministero della giustizia dei magistrati onorari, in quanto in thesi assimilabili ai magistrati togati. Ciò è avvenuto nel solco dei principi affermati dal Supremo Consesso nella decisione 16 novembre 2017, n. 27198, in relazione a una domanda promossa da un v.p.o. volta a ottenere l’accertamento di un rapporto di impiego di fatto con il Ministero della giustizia, per lo svolgimento delle stesse funzioni giurisdizionali dei magistrati togati e per l’inserimento nell’organizzazione di un ufficio di Procura. Segnatamente, il Supremo Consesso muove dal tenore delle domande proposte dai ricorrenti in sede di merito (utilizzando il classico criterio del c.d. petitum sostanziale), affermando che «deve quindi essere affermata la giurisdizione amministrativa in considerazione della permanenza della giurisdizione esclusiva con riferimento ai rapporti di lavoro dei magistrati togati ai quali i ricorrenti intendono essere assimilati». Si registra peraltro ancora molta incertezza in materia, posto che la questione della spettanza della giurisdizione per conoscere e decidere le domande promosse dai magistrati onorari, sull’onda della giurisprudenza europea, non appare affatto risolta e continuano a succedersi decisioni contrastanti. Infatti, dopo e nonostante il pronunciamento del Supremo Consesso, è intervenuta una serie di decisioni con le quali i giudici amministrativi, aditi su ricorso di magistrati onorari, hanno declinato la propria potestas iudicandi a favore del tribunale ordinario in funzione del giudice del lavoro [23]. Emblematica, in tal senso, la vicenda che fa da sfondo alla decisione del Tar Lazio, sez. I, 1° settembre 2021, n. 9485. Questi, adito su domanda di un giudice di pace, ha declinato la propria giurisdizione ex art. 11 c.p.a. a favore del Tribunale ordinario in funzione di giudice del lavoro, costringendo la parte a riassumere il processo avviato innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. Avverso siffatto provvedimento è stato presentato appello al Consiglio di Stato, il quale, con l’ordinanza 8 novembre 2021, n. 7427, si è conformato alle decisioni delle S.U., statuendo la giurisdizione del giudice amministrativo [continua ..]
L’incertezza che impera sul fronte dell’individuazione del giudice chiamato a decidere le domande promosse dai giudici onorari trae origine, verosimilmente, da una premessa non del tutto chiara nel suo effettivo e concreto significato, oltre che da un metodo di valutazione delle modalità di riparto di giurisdizione non congruo. Anzitutto la premessa: nella sentenza UX, nell’interpretare l’art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, nonché l’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Corte di Giustizia ha affermato che il giudice di pace – laddove, nell’ambito dell’esercizio delle sue funzioni, svolga prestazioni reali ed effettive, non puramente marginali né accessorie, percependo un’indennità a carattere remunerativo – può rientrare nella nozione di lavoratore subordinato, rinviando però al mittente, ossia al giudice nazionale, il delicato compito di verificare caso per caso la sussistenza delle suddette condizioni. Effettuata la sussunzione del giudice onorario nella nozione euro-unitaria di “lavoratore”, la sentenza UX – come poi pure la sentenza PG – si limitano a statuire che il diritto nazionale non può negare a queste figure di prestatori d’opera l’operatività delle tutele in genere riconosciute dal diritto del lavoro in ambito europeo, segnatamente in relazione al divieto di discriminazione come emergente nella direttiva in materia di lavoro a tempo determinato (1999/70/CE), nonché al divieto di reiterazione abusiva dei contratti a termine (clausola 5 dell’accordo quadro in allegato alla direttiva 1999/70/CE) [29]. La Corte, dunque, non “equipara” tout court sul piano giuridico il magistrato onorario al magistrato togato (né si permette di farlo); semmai “compara” le due figure (entrambe chiamate a svolgere attività giurisdizionale) nell’ottica di una rivalutazione e valorizzazione della prestazione resa dai giudici onorari per il servizio giustizia, al fine di garantire e perseguire a loro vantaggio il rispetto del principio di non discriminazione che pure in detto ambito si impone. Nel momento in cui l’utopia della facilità di reclutamento di figure della società capaci di [continua ..]
Va precisato in ogni caso come la difficoltà di individuare il ramo munito di giurisdizione, per l’esercizio dei diritti riconosciuti dalla fonte comunitaria, se pur può condurre a dei faticosi inseguimenti del collegio giudicante che si ritenga chiamato a definire la questione, comunque oggi – ed è fondamentale – non può ripercuotersi in un rischio di perdita o di soppressione della pretesa sostanziale. Tanto accade in virtù del principio di circolarità e della “equivalenza delle giurisdizioni”, cui il nostro ordinamento si è allineato, a partire dall’introduzione della translatio iudicii trans-giurisdizionale [36], poi recepita dapprima entro l’art. 59 della legge n. 69/2009, e quindi entro i corrispondenti precetti del codice del processo amministrativo (art. 11) e del codice di giustizia contabile (art. 17) [37]. Il riconoscimento in negativo della potestà giurisdizionale, quale pronunciato dal primo ufficio giudiziario che sia stato investito della materia (principio di priorità cronologica), tende a risultare vincolante per tutti gli organi giudiziari, se la causa viene tempestivamente “riassunta” dinanzi al ramo della giurisdizione indicato come “competente”, salva la facoltà per i giudici appartenenti a quest’ultimo di promuovere un regolamento di giurisdizione d’ufficio, investendo immediatamente la Corte di cassazione del compito di fornire una risposta definitiva sul punto dell’individuazione del giudice munito di potestas iudicandi [38]. Nella sostanza abbiamo un regime di translatio “universale”, con vincolo discendente anche dalle pronunce degli organi “equiordinati”, fatta salva la sola possibilità di investitura della Corte Suprema: e così senza che il giudice ad quem abbia la facoltà di declinare a propria volta la giurisdizione, e di concretare un cd. “conflitto negativo”, secondo il sofisticato modello elaborato dagli artt. 44-45 c.p.c. in materia di incompetenza per materia e per territorio inderogabile ex art. 28 c.p.c. Questa disciplina è ispirata all’intento di salvaguardare gli effetti processuali e sostanziali della proposizione della domanda, onde evitare che la declinatoria di giurisdizione possa sfociare (in particolare là dove l’esercizio del diritto sia subordinato al [continua ..]