Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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La riduzione della povertà lavorativa nella direttiva sui salari minimi adeguati (di Luca Ratti, Professore associato di Diritto del lavoro Europeo e comparato, Università del Lussemburgo)


La direttiva sul salario minimo adeguato costituisce una tappa cruciale del processo di integrazione europea e si pone in netta controtendenza rispetto alle passate iniziative in campo sociale. Nel saggio sono evidenziati i tratti qualificanti della direttiva ed esaminate le possibili criticità con riguardo al suo impatto sulla povertà lavorativa.

 

The reduction of in-work poverty in the EU Adequate Minimum Wage Directive

The Adequate Minimum Wage Directive is a crucial step in the process of European integration and stands in stark contrast to past initiatives in the social field. The essay highlights the qualifying features of the directive and examines possible criticisms with regard to its impact on in-work poverty.

Keywords: Minim wage – EU directive – In-work poverty.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. La cifra innovativa della direttiva sui salari minimi adeguati - 3. Il canone dell’adeguatezza - 4. La copertura della contrattazione collettiva - 5. Il lungo cammino dell’attuazione della direttiva e gli effetti sulla riduzione della povertà lavorativa - NOTE


1. Introduzione

L’adozione della direttiva europea sui salari minimi adeguati, nel testo risultante dalle negoziazioni fra Parlamento europeo e Consiglio svoltesi in seno al c.d. trilogo ed approvato dalla plenaria del Parlamento europeo nel settembre 2022, si fonda in buona parte su ragionamenti di causazione e correlazione che inducono ad interrogarsi circa il reale impatto delle soluzioni adottate rispetto ai problemi di partenza osservati. Come noto, si usa contrapporre la causazione – cioè il fatto che a una causa corrisponda direttamente una data conseguenza – alla correlazione, quest’ultima di norma ritenuta più probabile, per le molte variabili che caratterizzano i fenomeni sociali. All’interno dei nessi di causazione, la distinzione fra abduzione e induzione costituisce a sua volta un utile supporto alla comprensione di alcune disposizioni chiave della direttiva, in specie quelle che si prefiggono di ridurre la povertà lavorativa, fenomeno sempre più diffuso in Europa. Nella famosa immagine dei fagioli bianchi, Charles S. Peirce definisce il processo logico dell’abduction come la formulazione di un’ipotesi a partire da una serie di dati di realtà, nel modo che segue: Tutti i fagioli in questo sacchetto sono bianchi; Questi fagioli sono bianchi; Quindi questi fagioli provengono da questo sacchetto. Versato nella logica aristotelica e nei dettagli delle indagini filosofiche, Peirce propone un’astrazione dell’immagine dei fagioli bianchi nei termini seguenti: Il fatto sorprendente, C, viene osservato; Ma se A fosse vero, C sarebbe un fatto ovvio; Quindi, c’è motivo di sospettare che A sia vero [1]. L’abduzione si distingue dunque dall’induzione in ciò, che la seconda si basa su un processo comparativo, essendo un confronto tra fatti omogenei, campioni di una certa classe, e da questo confronto consente di enunciare proprietà generali. In quanto processo logico non creativo, l’induzione si presta ad essere utilizzata nel ragionamento logico-giuridico applicato a fatti sociali. L’abduzione, invece, si basa su un singolo fatto, che a volte si presenta come un enigma, qualcosa di inspiegabile: a questo punto l’osservatore postula un’ipotesi, cioè cala nella realtà un’idea chiedendosi se può essere dimostrata [2]. La direttiva europea sui salari minimi adeguati ha certamente [continua ..]


2. La cifra innovativa della direttiva sui salari minimi adeguati

L’approccio della direttiva sui salari minimi adeguati alla questione della povertà lavorativa è ben rappresentato nei relativi Considerando, laddove si fa riferimento al principio n. 6 del Pilastro Europeo dei diritti sociali. In maniera piuttosto sorprendente, data la limitata competenza normativa dell’Unione in materia, detto principio contempla anzitutto «il diritto dei lavoratori a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso». Si traduce poi in un secondo corollario, incentrato sul diritto a «retribuzioni minime adeguate che soddisfino i bisogni del lavoratore e della sua famiglia in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, salvaguardando nel contempo l’ac­cesso al lavoro e gli incentivi alla ricerca di lavoro». E si conclude infine con un imperativo prospettico, più che un vero principio, per cui «la povertà lavorativa va prevenuta». Il principio n. 6 del Pilastro viene concretizzato da una serie di considerazioni contenute nelle premesse della direttiva, che specialmente a seguito delle modifiche apportate dal c.d. trilogo, assumono uno specifico valore ermeneutico nella lettura del testo stesso della direttiva. Tramite tali premesse, la direttiva rende ora ancor più evidente che la fissazione dei salari minimi in maniera trasparente e prevedibile è funzionale a renderli adeguati a ridurre i livelli di povertà lavorativa. Più nello specifico, i Considerando 6 e 7 rimarcano il ruolo dei salari minimi «nella protezione dei lavoratori a basso salario», che diventa «sempre più importante ed è essenziale per favorire una ripresa economica equilibrata, sostenibile e inclusiva». La prevenzione e riduzione delle diseguaglianze salariali e la promozione del progresso economico e sociale sono obiettivi espressi di un sistema di protezione basato sul salario minimo improntato alla sua più ampia diffusione e adeguatezza. La competizione nel mercato interno deve dunque basarsi su «elevati standard sociali, ivi compresa un’elevata protezione dei lavoratori, [e] la creazione di occupazione di qualità». Il Considerando n. 8 sottolinea che se fissati a livelli adeguati, i salari minimi, determinati dalla legislazione nazionale o dai contratti collettivi, «proteggono il reddito dei lavoratori, in particolare quelli svantaggiati, contribuiscono [continua ..]


3. Il canone dell’adeguatezza

Il canone dell’adeguatezza, contenuto nell’art. 5, è posto alla base dell’intero testo della direttiva e presenta alcuni tratti caratterizzanti che vale la pena ricordare. Secondo la direttiva, una prima caratteristica del salario minimo adeguato è legata alla necessità di un suo costante aggiornamento ed alla sua determinazione in base a procedure trasparenti che coinvolgano in modo «tempestivo ed efficace» le parti sociali. Una seconda caratteristica dell’adeguatezza è legata al suo rapporto con la generale situazione socio-economica nel singolo Stato membro. Il Considerando 29 chiarisce infatti che sono considerati adeguati i salari minimi che siano «equi rispetto alla distribuzione salariale del paese e se consentono un tenore di vita dignitoso. L’adeguatezza dei salari minimi legali è determinata tenendo conto delle condizioni socio-economiche nazionali, comprese la crescita dell’occupazione, la competitività e gli sviluppi regionali e settoriali. Nel rapportarsi alla distribuzione salariale, la direttiva si basa su un concetto di adeguatezza derivato dalle teorie della giustizia sociale, e in particolare dal­l’indice delle diseguaglianze detto di Kaitz, che fissa la soglia relativa di povertà al 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio. Secondo gli studi Eurofound, nonostante sensibili variazioni in Europa, nel 2018, il 23% dei lavoratori europei che percepivano un salario minimo ha dichiarato di avere difficoltà o grandi difficoltà ad arrivare a fine mese, rispetto al­l’11,5% del resto dei lavoratori dipendenti. Il 16% dei lavoratori a salario minimo viveva in famiglie materialmente disagiate, rispetto al 6% del resto dei lavoratori dipendenti. Inoltre, in base ai dati Eurostat, nell’UE circa il 16% dei dipendenti guadagna al di sotto della soglia del 60% del salario mediano, con picchi maggiori del 20% in alcuni Stati membri (Estonia, Germania, Lussemburgo e Spagna). Nell’ultimo decennio, la quota di lavoratori al di sotto di tale soglia è tendenzialmente diminuita. Tra i Paesi più popolosi, le riduzioni maggiori si registrano in Polonia (e in misura minore in Germania), mentre negli anni ancor più recenti una certa diminuzione è avvenuta solo in Francia e nel Regno Unito. In Italia e in Spagna si sono verificate espansioni significative del numero [continua ..]


4. La copertura della contrattazione collettiva

Occorre dunque concentrare l’attenzione – quantomeno da una prospettiva italiana – sull’art. 4 della direttiva, intitolato alla promozione della contrattazione collettiva in materia di fissazione dei salari. L’importanza dell’art. 4 non è affatto secondaria rispetto a quella dell’art. 5 in tema di adeguatezza, tanto che la direttiva stessa finisce per costituire più uno strumento di supporto alla contrattazione collettiva negli Stati membri privi di un salario minimo legale che uno di coordinamento delle politiche salariali negli Stati membri ove già vige un sistema legale di fissazione dei salari minimi. Prova ne sia l’attuale formulazione del Considerando 18, che in fine reca la promozione della contrattazione collettiva quale uno degli obiettivi espliciti dell’intera direttiva [22]. L’art. 4, largamente influenzato dal dibattito sviluppatosi in seno al Parlamento europeo, separa ora nettamente due ordini di obblighi indirizzati agli Stati membri dell’Unione. Con riguardo agli obblighi per c.d. principali, la proposta iniziale della Commissione recava unicamente due previsioni, che imponevano agli Stati membri di promuovere la «costruzione e rafforzamento della capacità delle parti sociali di impegnarsi nella contrattazione collettiva sulla definizione dei salari a livello settoriale o interprofessionale» e a svolgere «negoziati costruttivi, significativi e informati sui salari tra le parti sociali». L’attuale testo dell’art. 4 introduce due ulteriori obblighi per gli Stati membri. L’art. 4, comma 1, lett. c) impone di «adottare misure, se del caso, per tutelare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e per proteggere i lavoratori e i rappresentanti sindacali da atti discriminatori nei loro confronti per il fatto che partecipano o desiderano partecipare alla contrattazione collettiva per la determinazione dei salari». La successiva lett. d) obbliga ad adottare misure, ove appropriate, dirette a proteggere i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro che partecipano o desiderano partecipare alla contrattazione collettiva «contro tutti gli atti di ingerenza delle une verso le altre, che si realizzino sia direttamente sia per mezzo di loro funzionari o membri, nella loro formazione, nel loro funzionamento e nella loro [continua ..]


5. Il lungo cammino dell’attuazione della direttiva e gli effetti sulla riduzione della povertà lavorativa

Interrogandosi sull’effettivo impatto della direttiva sulla riduzione dei livelli di povertà lavorativa e, in particolare, sui sistemi giuridici degli Stati membri, non può non ricordarsi come la versione finale del testo abbia impresso un significato ulteriore a una norma solitamente di routine come l’art. 17 intitolato “Trasposizione e recepimento”. Oltre ad imporre il recepimento, come di norma, entro due anni dalla data di entrata in vigore, l’art. 17, comma 2 obbliga gli Stati membri a comunicare alla Commissione «le disposizioni che contangano riferimenti alla direttiva». Dopo le ultime modifiche, il quomodo di tale comunicazione è lasciato alla piena discrezionalità del singolo Stato membro. In via ulteriore, il nuovo comma 3 della norma obbliga gli Stati membri ad adottare «in conformità con la loro legislazione e prassi nazionale, le misure adeguate per garantire l’effettivo coinvolgimento delle parti sociali ai fini del­l’attuazione della presente direttiva. A tal fine, essi possono affidare alle parti sociali tale attuazione, in tutto o in parte, compresa l’elaborazione del piano d’azio­ne ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, qualora le parti sociali lo richiedano congiuntamente. In tal modo, gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per garantire che gli obblighi previsti dalla presente direttiva siano rispettati in ogni momento». Il successivo comma 4 – anch’esso introdotto da ultimo – precisa che «la comunicazione di cui al paragrafo 2 comprende una descrizione del coinvolgimento delle parti sociali nell’attuazione della presente direttiva». Insieme alla riscrittura dell’art. 12 – dedicato al “Right to redress and protection against adverse treatment or consequences” – le modifiche all’art. 17 evidenziano il compromesso politico con alcuni paesi nordici, in specie la Svezia, che hanno acconsentito a sostenere il cammino della direttiva nonostante l’espressa contrarietà delle parti sociali ed i potenziali pericoli per il proprio sistema di relazioni industriali [39]. La nuova formulazione dell’art. 17 in tema di recepimento della direttiva impone di confrontarne, in via conclusiva, l’impianto generale rispetto alla proposta originaria elaborata dalla Commissione europea nell’ottobre [continua ..]


NOTE