Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Procedure concorsuali, occupazione e sostegno del reddito: alla ricerca della tutela dei crediti sociali dei lavoratori (di Domenico Garofalo, Professore ordinario di Diritto del lavoro, Università di Bari Aldo Moro)


Il contributo, alla vigilia dell’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza verifica, attraverso l’incrocio tra le disposizioni contenute nel Codice e quelle generali in tema di ammortizzatori sociali, quali sono gli strumenti di sostegno al reddito attivabili a favore dei lavoratori coinvolti nei processi di crisi, da parte degli organi delle procedure, qualificandoli come obbligatori e non meramente facoltativi.

Parole chiave: insolvenza – crisi – ammortizzatori sociali.

Insolvency procedures, employment and income support: in search of the protection of workers’ social credits

On the eve of the entry into force of the Crisis and Insolvency Code, the A. verifies which are the social shocks-absorbers useful for the employees involved in crisis processes. By analyzing the provisions set in the aforementioned Code and the social shocks-absorbers general rules, the A. considers that social shocks-absorbers have to be taken in account by the procedures authorities as compulsory not only optional measures.

Keywords: insolvency – crisis – social shocks-absorbers.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il metodo di indagine - 3. Prosecuzione dell’attività d’impresa e ammortizzatori sociali - 4. La perdurante specialità della disciplina dell’amministrazione stra­ordinaria delle grandi imprese in crisi - 5. Il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza - 6. La composizione negoziata per la risoluzione della crisi di impresa - 7. Cessazione dell’attività d’impresa e sostegno all’occupazione - 8. Codice della crisi e ruolo dell’ITL nella gestione delle eccedenze - 9. Cessazione dell’attività di impresa e ricorso alla cassa integrazione guadagni - 10. L’incentivo alla costituzione di cooperative di produzione e lavoro - 11. Il trattamento di NASPI - 12. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

Da circa sette anni siamo “orfani” dell’art. 3 della legge n. 223/1991 e da circa sei della mobilità anch’essa disciplinata dalla legge n. 223, in forza dell’abrogazione di entrambe le discipline disposta dalla legge n. 92/2012 [1]. Giova ricordare che l’abrogazione non è stata immediata ma affidata ad un regime transitorio scaduto il 1° gennaio 2016 per l’art. 3 [2] e il 1° gennaio 2017 per la mobilità [3]. Nella vigenza dell’art. 72 della legge fallimentare, che dispone la sospensione dei contratti in essere alla data di apertura della procedura concorsuale, l’art. 3 ha consentito di neutralizzare gli effetti di tale disposizione sui rapporti di lavoro, potendosi addirittura affermare che in molti casi se ne ignorava l’esistenza! L’art. 3 ha subito nel tempo una evoluzione, anche ad opera della stessa legge n. 92 che l’ha modificato pur sancendone l’abrogazione con decorrenza differita di circa 4 anni, ancorandosi l’intervento della CIGS concorsuale alle prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli occupazionali (comma 1), con possibilità di proroga (nel limite di 6 mesi) ove dette prospettive fossero collegate alla cessione dell’a­zienda o di sue parti, testimoniata da una relazione dell’organo della procedura (comma 2). La tutela del reddito era stata poi estesa a partire dal 1996 alle procedure che riguardavano aziende sottoposte a sequestro o confisca [4]. Al termine della CIGS scattava il trattamento di mobilità, con esonero dal pagamento del contributo di mobilità. Come si vede fino a 2016 ha operato un sistema di tutele –ovviamente circoscritto all’area di applicazione della CIGS – tanto semplice (ai fini applicativi) quanto efficace (ai fini della tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori coinvolti nelle procedure concorsuali). Questo sistema dal 2016 non c’è più, sacrificato quanto all’intervento CIGS in nome del principio che se non c’è prospettiva di ripresa o di continuazione dell’attività lavorativa non può esserci intervento dell’ammortiz­zatore; del resto, stessa sorte è toccata, al di fuori delle procedure concorsuali, alla CIGS per crisi con cessione di attività, sia pure con [continua ..]


2. Il metodo di indagine

Il metodo d’indagine prescelto è sintetizzabile in due interrogativi: Primo interrogativo: quali sono gli ammortizzatori a disposizione delle procedure concorsuali per fronteggiare le ricadute che le stesse hanno sul piano occupazionale e della tutela del reddito dei lavoratori; secondo interrogativo: come tali strumenti interagiscono con le norme del d.lgs. n. 14/2019 che a vario titolo si occupano dei rapporti di lavoro, riproponendosi l’atavica scarsa comunicazione tra diritto fallimentare e diritto del lavoro. Sotto entrambi i profili lo spazio da coprire è per c.d. limitato non occupandomi, per scelta connessa all’ambito di indagine prescelto, delle vicende circolatorie dell’impresa in crisi e della risoluzione dei rapporti di lavoro. Primo interrogativo: ammortizzatori disponibili. Prima facie si potrebbe ritenere che la risposta a questo interrogativo sia alquanto agevole, scomparsa la CIGS concorsuale, scomparsa la mobilità non resta che… piangere, in quanto i lavoratori possono contare solo sulla NASPI, cioè il trattamento di disoccupazione che dal 2015 (d.lgs. n. 22/2015) compete a tutti i lavoratori involontariamente disoccupati (cioè sia quello licenziato per giusta causa perché ha rubato, sia quello licenziato per il fallimento del datore di lavoro), per un numero di settimane pari al 50% di quelle contribuite nel quadriennio che precede l’evento disoccupazione, con un tetto massimo di circa euro 1.300,00 mensili e con un décalage a partire dal 1 gennaio 2022 (per effetto della modifica recata dalla legge n. 234/2021) del 3% mensile a partire dal 6° mese (dall’8 per gli ultra 55enni), che porta il trattamento al di sotto del Rdc negli ultimi mesi dei 24 massimi fruibili. Ma così non è in quanto il discorso è molto più articolato per due ragioni: – la prima è che occorre distinguere tra procedure caratterizzate dalla prosecuzione dell’attività d’impresa e procedure caratterizzare dalla cessazione, con l’effetto che per le prime saranno fruibili gli stessi ammortizzatori accessibili dall’impresa in bonis. – la seconda è che la gestione degli esuberi non è più affidata solo agli strumenti di sostegno al reddito, in quanto oggi, anche grazie ai provvedimenti attuativi del PNRR, è stato varato un pacchetto di misure (molto spesso ma non [continua ..]


3. Prosecuzione dell’attività d’impresa e ammortizzatori sociali

Per sviluppare questo primo profilo occorre individuare in quali casi e a quali condizioni è prevista o è consentita la prosecuzione dell’attività d’im­presa dal c.c.i., segnalando che a due settimane dalla sua entrata in vigore, dopo quasi quattro anni di attesa e di rinvii, è stato pubblicato il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, recante “Modifiche al codice della crisi d’impresa e del­l’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, in attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebi­tazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza). Si tratta di un provvedimento di ben 52 articoli che fa precipitare sul piano applicativo una situazione che prima della novella era già precaria. Per fortuna di chi scrive – ma anche di chi legge – la novella non ha toccato le norme a contenuto lavoristico delle quali si tratterà [6], ad eccezione della generalizzazione dell’obbligo di informazione e consultazione sindacale in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa di cui si dirà nel prosieguo. Partendo dalla liquidazione giudiziale, l’art. 211 del Codice della crisi d’impresa (d’ora innanzi per brevità c.c.i.) prevede che l’apertura della liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell’attività d’impresa in due casi: a) quando l’esercizio è autorizzato con la sentenza che dichiara aperta la procedura se dall’interruzione può derivare un grave danno, purché la prosecuzione non arrechi pregiudizio ai creditori (art. 211, comma 2); b) dopo l’apertura su proposta del curatore e previo parere favorevole del comitato dei creditori, con decreto motivato del giudice delegato, che fissa anche la durata (art. 211, comma 3). L’art. 212 prevede che la prosecuzione dell’esercizio di impresa può avvenire anche mediante affido d’azienda o di suoi rami, con una durata compatibile con le esigenze della liquidazione. In tal caso giova ricordare che nel caso di retrocessione dell’azienda o del ramo [continua ..]


4. La perdurante specialità della disciplina dell’amministrazione stra­ordinaria delle grandi imprese in crisi

Il varo del c.c.i. non ha fatto venire meno la speciale disciplina dettata per la procedura di amministrazione straordinaria, alla quale sono assoggettabili le grandi imprese in crisi, recata dal d.lgs. n. 270/1999. L’art. 189 comma 6 c.c.i. ha escluso l’applicazione alle procedure di A.S. della speciale procedura di licenziamento collettivo disciplinata dal comma 7. Analoga salvezza viene fatta dal d.lgs. n. 148/2015 con riferimento all’in­tervento CIGS, ed infatti l’art. 20, comma 6, fa salvo il “vecchio” art. 7, comma 10-ter, del d.l. n. 148/1993, convertito nella legge n. 236/1993, che fissa la durata dell’intervento CIGS in misura pari a quella dell’attività del commissario, non operando in tal caso i limiti di durata previsti dagli artt. 4 e 20 del d.lgs. n. 148/2015. Una menzione merita l’art. 62 del d.lgs. n. 270/1999 che subordina la scelta dell’eventuale acquirente, tra l’altro, alla garanzia del mantenimento dei livelli occupazionali. Sulla CIGS per A.S. sono recentemente intervenuti sia il Ministero del lavoro sia l’INPS. Il primo con la circ. 20 del 28 novembre 2017, con un’atten­zione particolare all’azienda ILVA in AS. L’INPS con messaggio n. 1440 del 29 marzo 2022 ha fornito chiarimenti sull’art. 4 del d.l. n. 103/2021, convertito nella legge n. 125/2021, che ha prorogato per l’anno 2020-2022 quanto previsto dall’art. 43-bis del d.l. n. 109/2018, conv. nella legge n. 130/2018, secondo cui le società in AS che abbiano usufruito della CIGS negli anni a partire dal 2019 sono esonerate dall’accantonamento delle quote di tfr. Per concludere sulla procedura di amministrazione straordinaria giova segnalare che l’art. 37, comma 7-bis, del d.l. n. 41/2021 ha disposto un rifinanziamento del Fondo a sostegno della “struttura” costituita con l’art. 1, comma 852, della legge n. 296/2006, chiamata a elaborare strategie per sostenere le imprese di rilevanti dimensioni in crisi, tra le quali quelle assoggettate all’AS.


5. Il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza

Una delle novità recate dal d.lgs. n. 83/2022 che hanno rilevanza per il discorso che si sta facendo, è senza dubbio la generalizzazione a tutte le imprese che occupano più di 15 dipendenti dell’obbligo di informare e consultare le organizzazioni sindacali, ai fini dell’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Nello specifico, l’art. 4 c.c.i., interamente sostituito dall’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 83, prevede al comma 3 che nel corso delle trattative e dei procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza “Ove non siano previste, dalla legge o dai contratti collettivi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 25, diverse procedure di informazione e consultazione, il datore di lavoro, che occupa complessivamente più di quindici dipendenti, informa con comunicazione scritta, trasmessa anche tramite posta elettronica certificata, i soggetti sindacali di cui all’articolo 47, comma 1, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, delle rilevanti determinazioni, assunte nel corso delle trattative della composizione negoziata e nella predisposizione del piano nell’ambito di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni. I soggetti sindacali, entro tre giorni dalla ricezione dell’informativa, possono chiedere all’impren­ditore un incontro. La conseguente consultazione deve avere inizio entro cinque giorni dal ricevimento dell’istanza e, salvo diverso accordo tra i partecipanti, si intende esaurita decorsi dieci giorni dal suo inizio. La consultazione si svolge con vincolo di riservatezza rispetto alle informazioni qualificate come tali dal datore di lavoro o dai suoi rappresentanti nel legittimo interesse dell’impresa. In occasione della consultazione svolta nell’ambito della composizione negoziata è redatto, ai soli fini della determinazione del compenso dell’esperto di cui all’articolo 25-ter, comma 5, un sintetico rapporto sottoscritto dall’imprenditore e dall’esperto”. Quale uso faranno le organizzazioni sindacali di questa importante prerogativa accordata dalla legge è tutto [continua ..]


6. La composizione negoziata per la risoluzione della crisi di impresa

Ancor prima dell’entrata in vigore del c.c.i., il d.l. n. 118 del 24 agosto 2021, conv. nella legge n. 147/2021, ha introdotto l’istituto della “composizione negoziata” per la risoluzione della crisi di impresa. Si tratta di uno strumento nuovo, in vigore dal 15.11.2021, al quale può ricorrere l’imprenditore per superare la “condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario” che rende probabile la crisi o l’insolvenza, nel rispetto del principio della continuità aziendale. Si tratta quindi di una procedura alternativa alla composizione “assistita” essa prevista nel Codice, con il vantaggio per l’imprenditore di non perdere la gestione della propria azienda. Tralasciando i profili più squisitamente societari del nuovo istituto, giova richiamare ai fini che qui interessano l’art. 4, comma 8, secondo cui ove la composizione negoziata possa determinare rilevanti ripercussioni sui rapporti di lavoro, anche con riferimento all’organizzazione del lavoro o alle modalità di svolgimento della prestazione, è previsto a carico del datore di lavoro che occupi più di 15 dipendenti, l’obbligo di informare prima dell’adozione delle misure i soggetti sindacali previsti dall’art. 47 della legge n. 428/1990. Segue una consultazione temporalmente scandita alla quale partecipa l’esperto indipendente nella logica della uscita dalla crisi e della continuità aziendale. Ovviamente nel corso della consultazione la norma non esclude che si possa raggiungere un accordo con le OOSS funzionali a facilitare la composizione negoziale. La misura appena esaminata si pone con tutta evidenza in linea con la direttiva UE n. 2019 /1023 del 20 giugno 2019 in tema di insolvenza.


7. Cessazione dell’attività d’impresa e sostegno all’occupazione

Ove non sia disposta la prosecuzione dell’attività d’impresa e questa cessa si applicano le disposizioni di cui al Titolo I – Capo I – Sez. V del c.c.i. All’art. 72 l. fall. è subentrato l’art. 172 del c.c.i. che, al pari del primo, prevede la sospensione della esecuzione del contratto. Va altresì richiamato l’art. 175 del c.c.i. che riguarda i “contratti di carattere personale”, nei quali assumono rilievo le qualità soggettive dell’impren­ditore sottoposto a liquidazione giudiziale. Con specifico riferimento ai contratti di lavoro subordinato il c.c.i. detta una disciplina ad hoc nell’art. 189, così sintetizzabile: – l’apertura della liquidazione giudiziale non costituisce motivo di licenziamento; – l’elemento che attraversa in orizzontale le varie ipotesi disciplinate dall’art. 189 è quello della possibile prosecuzione dell’attività o in via diretta o tramite trasferimento a terzi; – di fatto dalla data di apertura della procedura inizia un periodo di sospensione dei rapporti che può arrivare, in caso di proroga richiesta dal curatore o da singoli lavoratori, a massimo 12 mesi (4 mesi + 8 mesi di proroga), durante i quali non v’è possibilità di intervento della CIGS per le causali dell’art. 21 del d.lgs. n. 148/2015. Sulla sospensione dei rapporti ci si chiede se si tratta di un periodo irrimediabilmente perso per i lavoratori o vi sono strumenti utilizzabili, anche nella prospettiva di una transizione occupazionale. Con questo interrogativo si passa a trattare del secondo profilo adombrato nell’introduzione. Nell’assordante silenzio del Codice della crisi, occorre pescare altrove, e nello specifico da un lato nel d.lgs. n. 148/2015 e dall’altro lato nelle misure di politica attiva del lavoro varate dal 2020 in poi, strumenti totalmente estranei al diritto dell’insolvenza, rispetto ai quali si pone l’interrogativo se l’utilizzo degli stessi costituisca per gli organi delle varie procedure un’opzione liberamente esercitabile ovvero un obbligo, con quanto ne consegue in caso di inottemperanza, considerato che del ricorso a misure sociali di accompagnamento intese a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati si trova traccia nell’art. 189, comma 6, lett. d), secondo cui nel [continua ..]


8. Codice della crisi e ruolo dell’ITL nella gestione delle eccedenze

La conferma di tale risposta affermativa promana dal ruolo assegnato dal c.c.i. all’Ispettorato territoriale del lavoro, competente in base al luogo ove è stata aperta la liquidazione giudiziale. L’ITL riceve la comunicazione del curatore entro 30 giorni (termine prorogabile di ulteriori 30 giorni se l’impresa occupa più di 50 dipendenti) dalla nomina, contenente l’elenco dei dipendenti dell’impresa in forza al momento dell’apertura della liquidazione (art. 189, comma 2). Il direttore dell’ITL ove ritenga sussistenti possibilità di ripresa o trasferimento a terzi dell’azienda o di un suo ramo, può chiedere al giudice delegato una proroga del termine di 4 mesi previsto dal comma 3 per la risoluzione di diritto dei rapporti. In questo caso è possibile una proroga non superiore a 8 mesi, tenendo conto delle prospettive di ripresa delle attività o di trasferimento dell’azienda (art. 189, comma 4). La comunicazione di inizio della procedura di licenziamento collettivo va inviata all’ITL del luogo ove i lavoratori prestano in prevalenza la propria attività, e comunque all’ITL del luogo dell’apertura della procedura (art. 189, comma 6, lett. a). L’ITL avanza richiesta di esame congiunto per la procedura di licenziamento collettivo ma solo se l’avvio della procedura non sia stato determinato dalla cessazione dell’attività dell’azienda o di un suo ramo. Ciò significa che l’intervento della ITL è previsto in funzione della salvaguardia dell’occu­pazione, impossibile in caso di cessazione dell’attività, pur se per quanto prima detto questa norma andrebbe ripensata in funzione delle misure di P.A.L. (art. 189, comma 6, lett. c). Può partecipare all’esame congiunto il direttore dell’ITL o suo delegato (art. 189, comma 6, lett. d.).


9. Cessazione dell’attività di impresa e ricorso alla cassa integrazione guadagni

A fronte della cessazione dell’attività d’impresa ci si chiede se l’organo della procedura possa fare ricorso agli ammortizzatori sociali. A questo quesito dà una risposta in termini generali l’art. 189, comma 5, a proposito delle dimissioni del lavoratore rassegnate nel periodo di sospensione, qualificate come “per giusta causa” ex art. 2119 c.c. “Salvi i casi di ammissione” ai trattamenti di cui al Titolo I del d.lgs. n. 148/2015 (CIG) ovvero di accesso alle prestazioni di cui al titolo II dello stesso decreto (Fondi Bilaterali). Lo stesso dicasi alla luce di quanto previsto dall’art. 189, comma 6, lett. b), che nella nota di avvio della procedura di licenziamento collettivo prevede l’indicazione “dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto in parte, il licenziamento collettivo”, non essendovi dubbi che tra le “misure idonee” rientri il ricorso all’ammortizzatore sociale. Ancora, nel corso della procedura di licenziamento collettivo è prevista la possibilità di fare ricorso al contratto di solidarietà (comma 6, lett. d). Se, quindi, in astratto è possibile fare ricorso agli ammortizzatori sociali bisogna individuare quali di essi siano utilizzabili nel caso di cessazione dell’at­tività. Nel silenzio del Codice occorre attingere alla normativa in tema di cassa integrazione venendo in rilievo le ormai residuali ipotesi di intervento CIGS con cessazione di attività che, come anticipato in apertura, strutturalmente è stato eliminato a seguito della doppia riforma del 2012-2015. Va richiamato in primo luogo l’art. 21, d.lgs. n. 148/2015, sulle causali d’intervento CIGS, che al comma 4 con applicabilità circoscritta al triennio 2016-2018 e con un andamento decrescente (12-9-6 mesi) prevedeva una proroga dell’intervento CIGS in deroga in favore di aziende in crisi che avessero cessato l’attività ma avessero “concrete prospettive di rapida cessione”, con un conseguente riassorbimento dell’occupazione, in tal modo reiterando la formulazione dell’abrogato art. 3 legge n. 223/1991, come novellato dalla stessa legge 92/2012 che ne aveva disposto l’abrogazione. Tale norma (art. 21, comma 4) è cessata ma [continua ..]


10. L’incentivo alla costituzione di cooperative di produzione e lavoro

Una forma di sostegno all’occupazione dei lavoratori coinvolti nelle procedure di insolvenza è l’incentivo alla costituzione di cooperative di produzione e lavoro da parte dei dipendenti dell’impresa sottoposta alla procedura, ai quali viene accordato un diritto di prelazione per l’affitto o per l’acquisto dell’azienda. È quanto prevede l’art. 11, comma 2, d.l. n. 145/2013. Per il finanziamento a sostegno di tali operazioni l’art. 8, d.lgs. n. 22/2015 [per l’effetto di quanto previsto nel comma 3 dell’art. 11, d.l. n. 145/2013, come modificato dall’art. 368, comma 4, lett. f), del codice della crisi] prevede la liquidazione una tantum della NASPI spettante e non ancora fruita proprio per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa di produzione e lavoro (comma 1). Tale norma ripropone sostanzialmente quanto già previsto per l’indennità di mobilità dall’art. 7 legge n. 223/1991. Ulteriori misure a sostegno di tale soluzione sono reperibili nella legge n. 234/2021. L’art. 1, comma 228, lett. c), tra le misure del piano di chiusura colloca la possibile cessione dell’azienda o di suoi rami a cooperative costituite dai lavoratori. Nel successivo comma 246 è previsto che il beneficio concesso per le assunzioni concordate nell’accordo di transizione occupazionale può essere riconosciuto pro quota anche nel caso in cui i lavoratori beneficiari della Cigs costituiscono una cooperativa, ai sensi dell’art. 23, comma 3-quater, del d.l. n. 83/2012, convertito nella legge n. 134/2012. Ancora nei commi 253-254, sempre al fine di promuovere interventi di salvaguardia dell’occupazione e di continuità dell’esercizio dell’attività imprenditoriale, alle cooperative costituite a decorrere dall’1 gennaio 2022 ai sensi del citato art. 23, comma 3-quater, è riconosciuto per un periodo massimo di 24 mesi dalla data di costituzione della cooperativa l’esonero totale dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, come sempre con esclusione dei premi INAIL, nel limite massimo di 6.000,00 euro su base annua, riparametrato su base mensile. Detto esonero non è riconosciuto ove il datore di lavoro dell’impresa traslata non abbia corrisposto ai propri dipendenti nell’ulti­mo periodo d’imposta retribuzioni almeno pari [continua ..]


11. Il trattamento di NASPI

Come prima detto, ai sensi dell’art. 189, comma 5 (come sostituito dall’art. 21, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 147/2020), salvi i casi di ammissione alla CIG o alle prestazioni dei Fondi bilaterali, le dimissioni rese nel periodo di sospensione del contratto si intendono rassegnate per giusta causa ex art. 2119 c.c. con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale. Tale previsione pone due dubbi applicativi. Il primo riguarda il significato della espressione “Salvi i casi” che non può che significare che se c’è questo intervento in atto le eventuali dimissioni non sono per giusta causa. Disposizione abbastanza incomprensibile se non proprio illogica dovendo l’insolvenza in sé costituire giusta casa di dimissioni. Il secondo dubbio interpretativo riguarda l’altra espressione “con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale”. Sul piano del rapporto di lavoro l’espressione dovrebbe significare che il periodo che inizia con l’apertura è completamente neutro, anche se ciò dovrebbe conseguire già dalla sospensione ex lege. Inoltre, si pone il problema del termine di presentazione della domanda di NASPI che è di 67 giorni dalla cessazione del rapporto. Rispetto a quanto previsto dall’art. 189, comma 5, v’è da chiedersi quale sia il significato e la ratio del successivo art. 190, rubricato “trattamento NASPI”, secondo cui “la cessazione del rapporto ai sensi dell’art. 189 costituisce perdita involontaria dell’occupazione” ai fini dell’art. 3 del d.lgs. n. 22/2015. Orbene, fuori dell’ipotesi delle dimissioni disciplinate dall’art. 189, comma 5 e di cui si è detto, è scontato che in tutte le altre ipotesi di cessazione del rapporto (licenziamento individuale, collettivo, risoluzione di diritto) si realizzi uno stato di disoccupazione involontaria, che dà diritto alla NASPI, ricorrendo gli altri requisiti previsti dall’art. 3 citato. Quindi, sembra una norma inutile!


12. Conclusioni

Ai fini che ci occupano, cioè dell’individuazione degli strumenti a sostegno dell’occupazione e del reddito dei lavoratori dell’impresa insolvente, è ben sostenibile che, anche con rifermento alla limitazione del ricorso alla CIGS in caso di cessazione dell’attività, non c’è alcuna differenza tra impresa in crisi non insolvente e impresa in crisi insolvente, a condizione che tale possibilità di utilizzo venga per c.d. metabolizzata (verrebbe da dire diventi parte del loro bagaglio culturale e tecnico) dagli organi delle procedure concorsuali. Non facendo alcun affidamento sulla buona volontà (ma anche sulla preparazione) degli organi della procedura, l’ostacolo può essere superato solo sostenendo – come si è fatto nelle pagine precedenti – che il ricorso a tali strumenti da parte degli organi delle procedure non è facoltativo bensì obbligatorio (con quanto ne consegue in termini di omissione di atti di ufficio) coinvolgendo crediti sociali dei lavoratori, che non meritano una tutela minore di quella accordata ai soliti crediti pecuniari delle banche!


NOTE