Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Diritto del lavoro, ius singulare e privilegium: tirannia del caso o del bilanciamento? (di Antonello Olivieri, Professore associato di Diritto del lavoro, Università di Foggia)


Il saggio si pone l’obiettivo di indagare la natura delle leggi provvedimento alla luce dei recenti fenomeni che hanno messo in discussione alcune categorie tradizionali del diritto del lavoro.

Parole chiave: Ius singulare – Bilanciamento – Privilegium – Fattispecie - Giustizia.

Labour law, ius singulare and privilegium: tyranny of specific case or balancing?

The essay aims to investigate the nature of the so called “leggi provvedimento” in the light of recent phenomena that have called into question some traditional categories of labour law.

Keywords: Ius singulare – System balance – Privilegium – Specific case - Justice.

 

SOMMARIO:

1. Il tradimento del diritto del lavoro - 2. L’apologia del caso - 3. La lotta per il diritto tra regola ed eccezione - 4. Privilegium ne irroganto - 5. Gli ammortizzatori sociali in deroga - 6. Il caso Alitalia - 7. Controllo sulle leggi provvedimento ed esigenza di giustizia - 8. Ius singulare e tirannia dei valori? - 9. Alcune brevi osservazioni conclusive - NOTE


1. Il tradimento del diritto del lavoro

Nonostante le antichissime e nobili origini, sembrerebbe anacronistico analizzare il concetto di ius singulare nelle sue molteplici declinazioni, nelle diverse sfumature createsi dal florilegio di definitiones intorno alle nozioni di diritto speciale, diritto eccezionale, leggi provvedimento, leggi concrete, leggi particolari [1]. La riflessione giuridica, non solo lavoristica, è sembrata ignorare da tempo la stessa espressione di ius singulare [2], così come negli anni il significato tradizionale ha perso le sue fisiologiche caratteristiche e, per certi versi, anche la sua autonomia concettuale [3]. Se ci si vuole addentrare nella selva normativa dello ius singulare non si può prescindere dal considerarlo, in concordia discors, con altre categorie: eccezione, necessità ed emergenza. È possibile definire il senso della relazione tra tali categorie e il diritto del lavoro? Com’è ampiamente noto, non è oscuro al diritto del lavoro un modello di produzione legislativa singulare [4]. Il diritto del lavoro nasce come una finzione [5], quindi come una deroga, un’eccezione ai principî del diritto comune [6] e in tal senso si è andato evolvendo, proprio come un diritto con l’anima uniforme, generale ed astratta, ma il corpo dell’eccezione. Diritto dicotomico, enigmatico, conflittuale per sua natura, per i suoi interpreti. Diritto forgiato «come una lega di tutti i contrari: privato e pubblico, individuale e collettivo, diritto dei beni e diritto delle persone, eguaglianza e gerarchia» [7]. Ora, così come Bellerofonte non sarebbe l’eroe senza la Chimera, lo ius singulare è tale solo se connesso intimamente allo ius commune [8]. Come dire, «se si vuole studiare correttamente il generale, bisogna darsi da fare intorno ad una reale eccezione» [9]. Sul piano metodologico, nel prosieguo del lavoro ci si limiterà a prendere in considerazione quegli atti legislativi che dispongono in modo concreto una modificazione di situazioni soggettive di privati in vista del perseguimento di una finalità pubblica. Qual è la caratteristica principale di tali leggi singolari? Derogare, sospendere la forza prescrittiva e quindi l’applicazione delle norme più generali che diversamente avrebbero espanso il loro orizzonte giuridico. Tradire la regola generale. Allora, se [continua ..]


2. L’apologia del caso

Il diritto «non si risolve tutto e sempre in norme», «prima di concernere un semplice rapporto o una serie di rapporti sociali» è organizzazione [11]. E lo ius singulare pone, in primis, un problema di organizzazione a livello istituzionale nei rapporti tra poteri dello Stato [12]. In età moderna, questa separazione è stata prevalentemente raffigurata in termini spaziali. Ciascun potere è in grado di governare, dominare e gestire una porzione dell’ordinamento. È, però, possibile condividere una diversa prospettiva interpretativa. Nella rappresentazione husserliana la separazione dei poteri presenta, invero, implicazioni anche temporali. Così, il legislatore, nel suo ruolo di pianificatore, è in grado di lanciare una «freccia nel futuro», disponendo in via generale e astratta per i tempi che verranno; il titolare del potere esecutivo è «l’uomo del momento» a cui «non […] interessano le cose che forse un giorno saranno» in quanto stabilmente ancorato all’oggi, al presente; al giudice è invece riservata la dimensione del passato circoscritta essenzialmente nella sussunzione ex post di una fattispecie giuridica concreta [13]. All’interno di questo stretto intreccio temporale, durante il nostro peregrinare sullo ius singulare, incontriamo un sentiero accidentato, impervio, scosceso, tracciato dall’opera occasionale del legislatore. Qui le categorie husserliane vengono stravolte. Il riferimento è al primato del caso, a un legislatore abituato a rincorrere le esigenze contingenti, quasi ossessionato a esaudire le pulsioni di gruppi o categorie. Questa occasionalità si arena di volta in volta contro le scogliere dei nuovi rapporti di forza, abbandonando l’ambizione di solcare gli infinti oceani della generalità e astrattezza che sono – per natura – impermeabili ad essi. In questa tormentata navigazione, il legislatore decide di affidare le sorti delle imbarcazioni al faro dello ius singulare e alla bussola della necessità. Un faro che non scruta più il diritto con gli occhi della eternità relativa del giudizio ipotetico-eventuale. Non rincuora i naviganti; non illumina gli abitanti delle coste, non è più percepibile a distanza elevata. Bensì, si affida alla costruzione della regola del caso concreto in [continua ..]


3. La lotta per il diritto tra regola ed eccezione

Nel diritto c’è l’intrinseca leopardiana tragicità del divenire, soprattutto nel diritto del lavoro condizionato da cangianti variabili esterne. Il diritto, come la vita, si trova in un perenne movimento di evoluzione e di trasformazione [24]. Come il tempo non sta fermo [25]. E, pertanto, può essere percepito solo nella sua storicità [26]. L’alternanza di regola ed eccezione appare come il moto fisiologico che scandisce il ciclo vitale del diritto. Ciò che oggi risponde a criteri di giustizia «si appalesa domani non più rispondente ai bisogni giuridici rinnovati per il rinnovarsi delle condizioni sociali. La regola che oggi appare inattaccabile, si apre domani a una breve eccezione; e la breve eccezione si allarga, e poi a poco a poco i termini si invertono e la eccezione diventa la regola e la regola eccezione, e il vecchio diritto sparisce insensibilmente per dar posto al diritto che sorge. Questa è la vicenda incoercibile della vita!» [27]. Il problema legislativo nasce di conseguenza dall’eccezione che caratterizza costantemente l’esperienza giuridica. Ebbene, lo ius singulare introduce rotture, breccie, lacerazioni nell’ordinamento. Lo trasforma e lo rende inquieto proprio perché lo status necessitatis si presenta sempre come una zona ambigua. Nella dicotomia regola-eccezione si compie allora la lotta per il diritto [28] in un «ambiente ontologicamente bipolare» [29]. Su cosa dobbiamo allora interrogarci? Non sulle incertissime intenzioni del legislatore, ma sul carattere oggettivo della disposizione. Proprio su tale eccezionalità. Nell’attuale congiuntura emergenziale, al di là dei discutibili risvolti pandemici [30], il problema dell’eccezione non assume un significato tanto diverso dal passato anche perché pone sempre la medesima questione relativa al senso e al limite delle categorie con cui può essere compreso. L’orizzonte concettuale che si intravede appare pertanto non dissimile dalle tradizionali analisi che hanno evidenziato come la prospettiva entro cui inquadrare la costellazione semantica del modo di essere del diritto (deroga, eccezione, anomalia, deviazione) debba necessariamente essere individuata nel rapporto tra dimensione politica e giuridica con particolare riferimento alla prevalenza della prima sulla seconda. E questo sia che lo [continua ..]


4. Privilegium ne irroganto

Ogni norma ha una sua precipua ratio e la differenza tra le varie rationes può essere inserita all’interno di una dimensione dogmatica ovvero storica [32]. Con riferimento alla prima distinzione, lo ius commune rientrerebbe in quel nucleo intangibile del «vero, del giusto, della ragion giuridica primitiva», mentre lo ius singulare nella più modesta latitudine dell’«utile», delle convenienze politiche, sociali ed economiche [33]. Tale impostazione finisce però per generare un’indebita sovrapposizione concettuale tra le due anime, soprattutto là dove i contorni tra una legittima discriminazione e un esercizio arbitrario del diritto appaiono in penombra in un settore come quello lavoristico. Invero, tutte le leggi hanno per fondamento un principio supremo di ragione e giustizia, ma anche di utilità. Nello ius singulare il legislatore accoglie una logica partigiana, persegue specifici obiettivi redistribuivi alla luce di con­venienze e utilità autonomamente selezionate. Il problema principale è allora riconoscere le ragioni del diritto singolare, senza facilmente accedere all’ipotesi per cui esistono delle ragioni che il diritto comune non conosce. La distinzione va allora còlta più efficacemente sul piano storico. Proprio in tale prospettiva è possibile apprezzare la cangiante natura del diritto attraverso l’interpretazione evolutiva per cui una norma che regola alcuni principî potrà poi trasformarsi in una norma che fa eccezione o viceversa. Lo ius singulare è una norma introductum in tempo posteriore all’af­fermarsi del più generale principio di ius commune che lo precede. È una contraddizione che lo ius commune fa di se stesso [34]. È una sorta di imperfezione consapevolmente accettata, un’eccezione per motivi speciali, per una diversa utilitas. L’utilitas è elemento proprio di ciascuna norma, è elemento comune dell’ordinamento giuridico [35]. Seguendo tale prospettiva, due utilità sorgono in epoche diverse. La nuova utilitas immette quindi lo ius singulare e genera un conflitto con quella originaria. Nello ius singulare si richiede un aliquid novi, una aliqua utilitas, una propria utilità particolare. Una utilità innovativa che si distingue dalla più generale utilitas che caratterizza [continua ..]


5. Gli ammortizzatori sociali in deroga

La prima vicenda paradigmatica, in grado di corroborare l’idea di una necessaria e attenta distinzione tra ius singulare e privilegium, ha ad oggetto gli ammortizzatori sociali in deroga che, pur collocandosi al di là dei confini normativi previsti [43], hanno assunto da tempo la forma e la dignità di sistema [44]. Orbene, nell’àmbito di una più generale politica industriale, in conformità con i principî comunitari, non desta particolare preoccupazione la segmentazione di ammortizzatori sociali in grado di differenziare il tipo e l’entità di interventi di sostegno per quei settori che attraversano un temporaneo periodo di crisi [45]. È, però, altresì evidente che attribuire tale discrezionalità all’esecutivo significa anche incoraggiare logiche non proprio cristalline in vista di chissà quali scambi. Significa in sostanza mantenere in vita imprese “zombie” che sarebbero destinate a fallire se vi fosse la sola mano invisibile del mercato. Così come è altrettanto indubbio che gli interventi debbano essere ispirati da un principio di omogeneizzazione dei beneficiari che si trovano nelle identiche situazioni di bisogno e che, quindi, necessitano delle medesime istanze di protezione. In tal senso, riecheggia come il rintocco di una grande campana la considerazione per cui «i princìpi della legge n. 223 erano pochi e semplici: i singoli ammortizzatori avrebbero dovuto mantenere la loro distinzione evitando confusioni e in particolare escludendo la Cassa integrazione quando non ci fosse stato più niente da fare e una ripresa produttiva fosse diventata impossibile» [46]. Senonché, gli interventi di flessibilizzazione [47] sono stati prevalentemente finalizzati «a soccorrere settori produttivi e categorie professionali che più sono in grado di far sentire la propria voce», il che ha reso ancor più disomogeneo il quadro complessivo [48]. L’Unione europea ha costantemente vietato gli aiuti di natura assistenziale, finalizzati per lo più a «rallentare il declino di imprese in crisi irreversibili o di interi settori non più competitivi sui mercati internazionali e a posticipare semplicemente i problemi occupazionali che ne conseguono» [49]. Incontrovertibili ragioni di equità sociale, di maggior [continua ..]


6. Il caso Alitalia

Dal 1997 ad oggi, l’UE si è più volte espressa sulla compatibilità delle politiche di finanziamento della nostra ex compagnia di bandiera con la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato [53]. La necessità di garantire, per ragioni di ordine pubblico e di continuità territoriale, il servizio pubblico assicurato dalla compagnia aerea nazionale, ha rappresentato l’assunto in base al quale le autorità italiane hanno destinato, almeno dalla fine degli anni ’90, una serie di aiuti – alla ristrutturazione prima e al salvataggio dopo – attraverso c.d. prestiti ponte funzionali per definire il destino della compagnia di bandiera. La stessa Commissione europea ha in diverse circostanze rilevato la strumentalità delle politiche statali di sostegno, tra l’altro anche in contrasto con il principio dell’una tantum [54]. La ciclicità degli interventi che hanno interessato l’ex compagnia di bandiera non era legata alla congiuntura sfavorevole in cui versava il settore del trasporto aereo e il loro carattere ricorrente si era tradotto di fatto in una autoreferenziale eccezionalità e imprevedibilità, comunque incompatibile con il mercato comune [55]. Infatti, l’impresa in difficoltà che beneficia di sovvenzioni statali, da una parte, e lo Stato che sussidia tale impresa, dall’altra, compiono un atto di concorrenza sleale se l’aiuto sussidiato non è distribuito in modo efficiente, se la crisi non può essere sanata attraverso la “mano invisibile” del mercato, per cui si mantiene in vita un’impresa che, senza aiuti, ne sarebbe naturalmente uscita [56].


7. Controllo sulle leggi provvedimento ed esigenza di giustizia

Il primato del caso tende a costruire architettonicamente uno spazio di operatività in cui lo ius singulare rivendichi legittimamente un diritto di parola. È necessario, però, stabilire degli argini alla degenerazione provvedimentale [57] per evitare che quel diritto di parola si trasformi inopinatamente in un «diritto all’ultima parola» [58]. Qual è allora la soluzione alla «normale irrazionalità del legislatore» [59]? Nel dibattito amministrativistico e costituzionalistico [60] il katecon viene ricercato non più nel procedimento legislativo, bensì nella funzione giurisdizionale e nella sua capacità di sindacare in profondità ogni scelta irragionevole. Un sindacato di costituzionalità particolarmente severo, “stretto”, può essere sufficiente per sollevare dal rischio di «arbitrio, connesso alla potenziale deviazione, in danno di determinati soggetti, dal comune trattamento riservato dalla legge a tutti i consociati» [61]? La risposta potrebbe essere affermativa e la scelta rassicurante se non fosse che i contorni del sindacato stretto di costituzionalità paiono, ancora oggi, piuttosto incerti. Infatti, alle impegnative affermazioni di principio non può riscontrarsi un sindacato più rigoroso o comunque diverso dai giudizi in cui la Corte applica il comune canone della ragionevolezza [62]. Anche recentemente la Consulta [63] ha ribadito che l’indagine se, da un lato, non deve limitarsi «a verificare la validità o la congruità delle motivazioni […], ovvero del corredo lessicale con cui si esprime la ragione della scelta, da un altro, deve piuttosto accertare se la norma esprima interessi affidati alla discrezionalità legislativa, e regolati in forma compatibile con la Costituzione». Ciò che è indispensabile valutare, infatti, non sono i «motivi storicamente contingenti» della disposizione, bensì «la causa ultima della norma» (intesa «quale componente razionalmente coordinata nel più vasto insieme dell’ordi­namento»), «la razionalità oggettiva della disposizione censurata» (per come la medesima «vive nell’ordinamento e per gli effetti che vi produce»), gli «interessi in grado di giustificare la legge» e [continua ..]


8. Ius singulare e tirannia dei valori?

Nella relazione al convegno dei giuristi cattolici del 1951, Giuseppe Dossetti, nell’elencare i tratti caratteristici dello Stato moderno, segnalava l’esi­stenza – a beneficio «del potere economico» – di un vero e proprio ius singulare configurato all’interno di una sorta di «immunità nell’ordinamento giuridico» del diritto della proprietà privata degli strumenti di produzione [68]. Aggiungerei, a distanza di diversi anni, di un certo potere economico, il potere dei giganti [69]. La vicenda cui si è soliti riferirsi con l’espressione “caso Ilva” è una fra le più lunghe, complesse e articolate della storia dell’ordinamento italiano e si inserisce paradigmaticamente dentro un vero e proprio micro-ordinamento della necessità caratterizzato da deroghe ai principî comuni tali da tradursi negli anni quali ingiustificati privilegi. In questo micro-ordinamento emergono tutte le criticità insite nello ius singulare: il rapporto con le leggi generali e astratte; la compatibilità con le regole europea in tema di concorrenza; il rispetto delle decisioni già assunte dal­l’autorità giudiziaria; il bilanciamento tra diritti costituzionali (salute, ambiente, iniziativa economica, lavoro) [70]. Ora, la permanente e grave sussistenza di pericoli ambientali e per la salute ha richiesto diversi interventi legislativi [71] sui quali si è pronunciata più volte la Consulta. Le scelte del legislatore sono state dettate dalla necessità di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva, di salvaguardia dell’occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente salubre. Com’è noto, il d.l. n. 207/2012 aveva previsto che, negli stabilimenti di «interesse strategico nazionale» con almeno duecento dipendenti, l’esercizio dell’attività di impresa potesse perdurare per un tempo non superiore a 36 mesi, anche in caso di sequestro giudiziario degli impianti, nel rispetto delle prescrizioni impartite con apposita Autorizzazione Integrata Ambientale (d’ora innanzi, AIA) rilasciata in sede di riesame. L’obiettivo era quello di costruire, sotto le mentite spoglie di una fattispecie generale e astratta, una disposizione [continua ..]


9. Alcune brevi osservazioni conclusive

Il requisito della generalità-astrattezza, se depurato da quella nostalgica reminiscenza infusa dal profumo di madeleine, non rappresenta un momento essenziale o necessario [86]. L’esperienza giuridica è un grande stato di eccezione [87] e qualunque stato di eccezione, qualunque emergenza, per essere realmente tale, è per definizione imprevedibile e non riconoscibile ex ante. In questa dimensione lo ius singulare non dispone per l’avvenire, ma domina il presente. E nel dominare questo presente, purché imprevedibile e irriconoscibile, non c’è alcuna cupidità «finalizzata a soddisfare interessi e appetiti» [88]. Orbene, la funzione del diritto non è quella di attuare la giustizia che rappresenta, al massimo, un limite e una condizione della sua manifestazione [89]. Nella sua funzione ordinante il diritto ha invece lo scopo di garantire la “persistenza” oltre il momento in cui si concreta la volontà che la pone [90], di scoprire l’eterno nel tempo-reale [91]. E le norme non sono che dei mezzi per adempiere quella funzione, sono un prodotto della funzione stessa. Quando però vengono adoperate per creare una sorta di processo di immunizzazione permanente del caso si abbandona quell’idea di persistenza e, dunque, si ripudia la stessa funzione del diritto. Quando cioè si vuole sedimentare nel diritto una manifestazione della volontà pratica, per esempio economica, all’interno di una linea di tendenza stabile immersa in un orizzonte più duraturo della semplice contingenza, è concreto il rischio di sacrificare il diritto. Ed è in questa seconda dimensione, di alterazione dell’equilibrio, di dismisura, di hybris che lo ius singulare cambia natura e si trasforma in privilegium. L’operazione economica sottesa a quello che si può definire un vero e proprio diritto privilegiato, pur non essendo rinserrabile entro uno schema normativo tipico, viene reiterata, esce dal suo solipsismo pratico [92], onde l’unità del caso, la sua solitaria singolarità, si affaccia sul futuro, si abbandona alla molteplicità del ripetersi dei casi applicativi. O al più vi è un tentativo di eternizzare il presente così costruito, di rinsaldare la crosta di una meccanica irrigidita nella ripetizione [93]. Ma il diritto [continua ..]


NOTE