Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Le cosiddette leggi provvedimento e il diritto del lavoro (di Enrico Gragnoli, Professore ordinario di Diritto del lavoro, Università di Parma)


L’articolo affronta il tema delle c.d. leggi provvedimento e della loro incidenza sul diritto del lavoro.

L’autore analizza i principali settori di intervento (la deroga nella regolazione delle grandi crisi aziendali, il caso Alitalia, il caso Ilva, le stabilizzazioni nel pubblico impiego) e mette in evidenza come tale tecnica normativa interferisca con il principio di uguaglianza, con il diritto di difesa e con lo spazio del sistema giudiziario.

Parole chiave: leggi provvedimento – diritto del lavoro – principio di uguaglianza – di-ritto di difesa.

The so called “leggi provvedimento” and labour law

The article concerns the subject of the so-called leggi provvedimento and their incidence on labor law.

The author analyzes the main sectors of intervention (the exception in the regulation of major corporate crises, the Alitalia case, the Ilva case, stabilizations in the public sector) and highlights how this normative technique interferes with the principle of equality, with the right of defense and with the space of the judicial system.

Keywords: leggi provvedimento – labour law – principle of equality – right of defense.

SOMMARIO:

1. Il rilievo delle leggi provvedimento rispetto alla regolazione del mercato - 2. Le leggi provvedimento, i licenziamenti “impossibili” e la deroga nella regolazione delle grandi crisi aziendali - 3. La vecchia “compagnia di bandiera” e i tentativi di salvataggio - 4. Un noto stabilimento siderurgico - 5. Il personale pubblico, le leggi provvedimento e la giurisprudenza costituzionale - 6. I principi e il caso di specie, nella dialettica fra jus dare e jus dicere - 7. Le leggi provvedimento, i loro limiti e la loro legittimità - NOTE


1. Il rilievo delle leggi provvedimento rispetto alla regolazione del mercato

La frequente adozione di provvedimenti normativi in materia di lavoro inerenti a un caso singolo o a pochi [1], comunque con un taglio settoriale [2], caratterizza a tale punto l’attuale esperienza da indurre a verificare se il fenomeno sia solo italiano [3] o abbia un rilievo in ambito transnazionale e le connesse ferite inferte all’uguaglianza siano tipiche di vari sistemi. Ciò rileva in specie in Paesi di capitalismo evoluto e con comuni difficoltà nel raggiungere un equilibrio stabile fra la promozione delle aziende, soprattutto di quelle più importanti, e la difesa degli interessi dei prestatori di opere e dei loro livelli retributivi [4]. In sé, la palese rinuncia alla generalità e all’astrattezza delle prescrizioni è tanto frequente [5], quanto, ancora, causa di una disarmonia nel sistema, spesso eluso da strategie riferite a questioni isolate, trattate in modo diverso e con soluzioni apposite [6]. Il disagio dell’interprete si combina con la consapevolezza dell’importanza della questione; oggi, una concezione tradizionalista della legge sarebbe inattuale e persino stucchevole. Non occorre solo verificare le motivazioni delle strategie degli organi parlamentari e dei governi [7], anche rispetto alla promozione delle libertà economiche voluta dall’Unione europea, ma chiedersi quali limiti possano avere questi precetti derogatori e fino a quale punto, in ambito costituzionale e in una logica comunitaria, tali tentazioni siano accettabili [8]. In fondo, per il nesso inevitabile fra la tutela sociale e lo svilupparsi della concorrenza, il diritto del lavoro propone una ansia di omogeneità regolativa, a protezione almeno indiretta della competizione; almeno in apparenza, tali esigenze sono persino più intense nell’area pubblica, per la necessaria imparzialità dell’amministrazione e per la valorizzazione del suo buon andamento. Né è dissimile la condizione dei prestatori di opere, alla ricerca della migliore collocazione professionale, spesso a scapito o, almeno, in contrasto con le opportunità altrui. Diritto del lavoro e leggi provvedimento non sono un binomio di facile conciliazione, sebbene queste ultime abbiano un … immeritato successo e soddisfino il desiderio di protagonismo del sistema politico [9], condizionato da approcci emozionali, come quelli relativi [continua ..]


2. Le leggi provvedimento, i licenziamenti “impossibili” e la deroga nella regolazione delle grandi crisi aziendali

In larga parte, le leggi provvedimento sono state l’oggetto di una ricerca storica nel nostro dibattito, se non altro per un titolo fortunato [25], diventato quasi un simbolo dell’intervento normativo sulle crisi aziendali [26]. Si può discutere sulle ragioni del ritardo tipico degli anni ’70 e ’80 nel trasformare in Italia i “licenziamenti” collettivi “impossibili” in recessi regolati, con una disciplina generale. Tuttavia, la sua assenza aveva stimolato la supplenza di protagonisti inevitabili, come i giudici, le riflessioni teoriche, i negozi sindacali, in specie quelli interconfederali; peraltro, su tutti questi contributi ha dominato l’intervento prescrittivo, alla ricerca per lustri solo di soluzioni occasionali [27], per lo più con vari strumenti di tutela del reddito, per la conservazione di una occupazione condannata [28]. Ora, nell’affrontare un tema così tormentato, la legge n. 223/1991 ha cercato di incidere su un composito materiale regolativo stratificatosi con interventi specifici [29]. Nel 1991 non è stata messa in discussione l’opzione per un governo corporativo delle crisi aziendali, si potrebbe dire per iniziative di microconcertazione, ma si sono rafforzati gli istituti di pretesa “procedimentalizzazione” del potere dell’impresa, all’interno del modello europeo [30]. Il disegno ragionevole, seppure precario, è stato subito smentito da una interminabile serie di decreti – legge succedutisi negli anni ’90 [31], quando le leggi provvedimento hanno avuto una delle stagioni di maggiore successo e, quindi, fra le più ingloriose, per chi cerchi un sistema imperniato su previsioni generali [32]. Il disagio frequente del sindacato nel ridimensionare il dissenso dei singoli ha messo in risalto una parziale incoerenza della legge n. 223/1991 con il contesto economico e sociale contemporaneo. L’idea precedente dei licenziamenti “impossibili” [33] e la fiducia nelle leggi provvedimento sono rimaste nell’immaginazione delle imprese e delle associazioni sindacali, desiderose di spostare la mediazione verso equilibri politici, con i connessi danni per le risorse pubbliche e con l’inter­vento del sistema parlamentare, desideroso di qualche effimera notorietà [34]. Difetta anche oggi un presidio efficiente [continua ..]


3. La vecchia “compagnia di bandiera” e i tentativi di salvataggio

Nell’ultimo periodo e nel diritto del lavoro, paradigmatiche della nozione di leggi provvedimento sono quelle sulla vecchia “compagnia di bandiera” o su quanto ne resta, dopo la sua inarrestabile disorganizzazione [46]. Fanno discutere non solo la dubbia compatibilità di molte iniziative con i criteri europei sugli aiuti di Stato [47], ma la dichiarata volontà di riservare un trattamento preferenziale, per pretese esigenze pubbliche sottese alla prosecuzione dell’atti­vità di trasporto aereo [48]. Se queste non possono essere ravvisate nella stabilità dei traffici, assicurabili da altri soggetti [49], anche in ordine al cosiddetto regime di continuità territoriale, si ritorna al tema tradizionale dei “licenziamenti impossibili” [50], per la pressione esercitata sull’opinione pubblica. Ci si deve chiedere perché i dipendenti della vecchia Spa Alitalia abbiano ottenuto risorse e tutele non riservate a tutte le persone in difficoltà occupazionali, per lo più senza gli stessi demeriti sul versante dell’efficienza e della diligenza [51]. Le numerose leggi provvedimento suonano come la confessione di una colpevole indulgenza verso strategie populiste. In fondo, il bisogno prescinde dalla precedente collocazione professionale, ed è in sé irrazionale e contraria a giustizia sostanziale la tradizionale impostazione del nostro diritto per cui il numero dei soggetti in difficoltà dovrebbe imporre un migliore trattamento [52]. Al contrario, gli interventi di protezione del reddito dovrebbero mirare alla massima semplicità, per ambire a un discreto livello di efficienza. Infatti, toccano aree nevralgiche, al confine delle rilevanti necessità familiari, se non della povertà, e dovrebbero essere lineari, anche nell’impostazione procedurale [53]. Di fronte alla giustizia redistributiva, la condizione dei prestatori di opere deve essere vista alla stregua dell’uguaglianza, naturale punto di riferimento del soccorso economico [54]. Soprattutto negli ultimi anni, si assiste a una sorta di rottura del sistema delle aziende, con una divaricazione drastica fra quelle escluse dalla possibilità di competere e quelle in grado di affrontare la concorrenza, con ragionevoli probabilità di successo e con accettabile legittimità. Il nostro diritto deve essere [continua ..]


4. Un noto stabilimento siderurgico

A proposito di tipiche leggi provvedimento, sull’ambiente di lavoro e sulla protezione dell’incolumità dei prestatori di opere e degli abitanti dell’intera città, di fronte a una situazione grave e a uno stabilimento industriale accusato di portare a pregiudizi diretti e immediati per la salute [71], una recente decisione della Corte Costituzionale ha fatto riferimento alla nozione di bilanciamento [72], perché “non può (…) ritenersi astrattamente precluso al legislatore di intervenire per salvaguardare la continuità produttiva in settori strategici per l’eco­nomia nazionale e per garantire i correlati livelli di occupazione, prevedendo che sequestri preventivi disposti dall’autorità giudiziaria nel corso di processi penali non impediscano la prosecuzione dell’attività di impresa; ma ciò può farsi solo attraverso un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco” [73]. Sul piano giuridico, il principio è accettabile e, forse, inevitabile; in caso di conflitto fra canoni costituzionali, la ricomposizione della dialettica spetta alla legge, la quale deve operare secondo criteri razionali, appunto per assicurare il rispetto ponderato di tutti i fattori incidenti sulla decisione pubblica [74]. Quindi, l’intervento prescrittivo diretto e derogatorio sarebbe consentito [75]; poi, su un versante successivo sul piano logico, il “bilanciamento” [76] rimanderebbe alla razionalità e richiederebbe una equilibrata applicazione dell’intero spettro di disposizioni costituzionali significative, secondo visioni prudenziali insuscettibili di essere definite in modo preventivo, se non si passa per una regolazione volta a trovare un contemperamento, con il sindacato della stessa Corte Costituzionale [77]. Il possibile contrasto rinvia alla razionalità del legislatore ordinario. Nell’ipotesi esaminata, questi “ha finito con il privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (…), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso” [78]. Peraltro, sebbene il tema sia stato a torto trascurato [continua ..]


5. Il personale pubblico, le leggi provvedimento e la giurisprudenza costituzionale

Solo in modo sporadico la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha reagito contro le frequenti leggi provvedimento in tema di personale pubblico, anche in virtù di una discutibile selezione restrittiva della categoria; per esempio, sulla sorte dei vicedirigenti, si è detto, “la portata generale e astratta della norma denunciata ne esclude la natura di legge provvedimento”, rendendo superfluo “il correlativo vaglio di costituzionalità concernente la verifica del­l’osservanza di limiti non solo specifici, qual è quello del rispetto della funzione giurisdizionale, in ordine alla decisione delle cause in corso, ma anche generali, e cioè del (…) principio di ragionevolezza e non arbitrarietà” [103]. Infatti, se, talora, è stata accolta la tesi dell’esistenza di una legge provvedimento, come nell’ipotesi del “segretario generale del Consiglio regionale molisano”, si è soggiunto in modo sorprendente che l’impossibilità “di ottenere tutela dal giudice comune non comporta la lesione del diritto alla protezione giurisdizionale, ma solo il trasferimento di tale tutela all’ambito proprio della giustizia costituzionale e ciò esclude che tale trasferimento sia, di per sé, discriminatorio o suscettibile di alterare la parità delle parti nel processo” [104]. Meglio di molte altre, la sentenza mostra l’inaffidabilità dello stesso giudizio di legittimità costituzionale, non solo per l’impossibilità di una impugnazione diretta del cittadino e l’estrema discrezionalità della decisione, ma proprio per il frequente taglio assolutorio delle pronunce verso il sistema politico, come confermato da tale precedente. Vi è da chiedersi chi sarebbe disponibile a rinunciare al giusto processo [105], peraltro sancito da un principio costituzionale, che lo stesso precedente dimentica. Quindi, se non una eccezione, è un segnale distonico l’affermazione secondo cui, “in tema di sistemazione per legge dei rapporti di lavoro instabili con la pubblica amministrazione, il pure vasto ambito di discrezionalità del legislatore, sia statale, sia regionale, è comunque soggetto al sindacato costituzionale, alla luce del principio del buon andamento e dell’imparzialità, sotto il profilo della ragionevolezza delle [continua ..]


6. I principi e il caso di specie, nella dialettica fra jus dare e jus dicere

Non si vuole riaffermare una stucchevole idea del carattere generale e astratto della norma [117], in controtendenza con i tanti esempi citati; se mai, ci si chiede se la prescrizione riservata a una impresa o a uno o pochi lavoratori sia tollerabile di fronte alla concezione del diritto del lavoro quale arbitro di un conflitto economico, spesso assai intenso e per nulla destinato a stemperarsi [118]. Questa strutturale funzione invoca una accentuata considerazione della parità di trattamento, come ribadito dalle indicazioni comunitarie sugli aiuti di Stato, seppure con incerta attuazione, non a caso in precaria coerenza con gli interventi a favore della vecchia “compagnia di bandiera” o di quanto ne resta. L’approccio europeo di incentivazione delle libertà sottolinea questa dimensione dell’uguaglianza [119], anche garanzia del libero esplicarsi della competizione, senza alterazioni manifeste e programmate [120]. In fondo, a vari livelli di pericolo e in ambiti diversi, le leggi provvedimento fanno prevalere aspetti particolari sulla fondazione di regole omogenee, portando la deroga alla sua massima intensità, cioè fino a coinvolgere casi individuali o, almeno, di gruppi noti e riconoscibili [121]. Se si accetta questo paradosso, il nostro diritto non è affatto “mite” [122], ma, se mai, aggressivo nel manifestarsi degli interessi collegati [123] al potere politico, per infinite e spesso casuali ragioni, con il sistema costituzionale bisognoso di contenere queste spinte, non di giustificarle sulla base del loro preteso carattere inevitabile. Per quanto il fenomeno sia radicato [124], sarebbe singolare accettarlo in nome della difesa dell’esistente, senza coglierne gli aspetti non solo problematici, ma deteriori e, così, considerando una visione riduttiva, se non rinunciataria dell’uguaglianza [125], mentre la giurisprudenza costituzionale non si allontana molto da questi esiti finali. Nel nostro ordinamento si “annida il pericolo della legislazione occasionale e irrazionale, spesso di fatto sottratta al controllo di costituzionalità in conseguenza dei limiti che regolano l’attivazione di tale giudizio” [126]. L’osservazione è esatta, sebbene possa essere resa più energica nella contestazione della complessiva struttura del nostro ordinamento, nel quale la protezione delle [continua ..]


7. Le leggi provvedimento, i loro limiti e la loro legittimità

La conoscenza dell’importanza delle leggi provvedimento nel diritto del lavoro rappresenta una acquisizione in sé significativa, per quanto, di fronte all’autorità normativa [134], all’interprete rimane poco più della critica, vista la pesante interferenza sia con il principio di uguaglianza, sia con il diritto di difesa e lo spazio del sistema giudiziario. Non è dissimile la condizione dell’or­dinamento canadese [135], di quello spagnolo [136] e di quello uruguaiano [137], nei quali, seppure con scelte definitorie diverse, il tema è altrettanto importante, a conferma della sua diffusione trasversale e della sua presenza nei sistemi contemporanei. Entrambi i saggi riportano l’attenzione sulla discrezionalità della legge e manifestano la medesima esigenza dell’identificazione di limiti e, soprattutto nel punto di vista canadese, essi sono collegati a un minimo di generalità dell’impianto prescrittivo [138]. A tale riguardo, si soggiunge [139], poco importa che la prescrizione dettagliata derivi in via diretta dal precetto o da una successiva esecuzione con atto amministrativo, poiché le due fattispecie sono opposte sul versante formale, ma coincidono su quello sostanziale e fanno sorgere i medesimi dubbi. Se l’impostazione della common law richiede l’astrattezza, le deviazioni non mancano, anche nel diritto del lavoro [140]. Nel paragone, fra Canada, Uruguay e Italia, quindi in contesti economici quanti mai vari, le ipotesi si rincorrono, per esempio a proposito della sorte di significativi stabilimenti e di complessi aziendali i quali chiedono e ottengono trattamenti a sé, in nome della loro importanza e di quel potere … negoziale che riescono a fare valere davanti alla prima delle funzioni pubbliche, quella legislativa [141]. Se si sottolinea con coraggio che “the logic we need here is the logic of equality” [142], si ammette al tempo stesso come l’impostazione della common law volta a tutelare l’astrattezza e, quindi, a creare un nesso proficuo con il rispetto del principio di uguaglianza non trovi riscontro nell’impostazione costituzionale canadese, la quale, al contrario, per esempio a proposito dello sciopero, accetta il ruolo fondante della deroga prescrittiva come strategia frequente e significativa nel diritto del lavoro. In fondo, i contesti di [continua ..]


NOTE