Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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La retribuzione di risultato nell'organizzazione (di Ester Villa - Assegnista di ricerca nell’Università di Trieste)


Il presente lavoro è dedicato alla memoria della mia nonna. «Sapevo che adesso, per quanto mi fossi affannato a bussare, anche aumentando l’intensità dei colpi, non avrei udito alcuna risposta, la nonna non sarebbe venuta. E questo soltanto chiedevo a Dio, se esiste un paradiso: che ci fosse quella parete, contro la quale poter battere tre piccoli colpi che la nonna avrebbe riconosciuti fra mille, affidando la sua risposta ad altri colpi» (M. PROUST, Alla ricerca del tempo perduto. Sodoma e Gomorra, Mondadori, Milano, 2010, 182).

Nell’attuale contesto produttivo nel quale emergono sempre nuovi e diversi modi di lavorare, nei quali il tempo diviene un criterio meno adatto per misurare l’impegno profuso dal lavoratore nello svolgimento dell’attività lavorativa e per determinare la controprestazione datoriale, si propone di valorizzare in misura maggiore la retribuzione di risultato. Tali proposte devono, tuttavia, accompagnarsi ad una riflessione sui punti critici e i nodi irrisolti di questa forma di remunerazione. Nel contributo si individuano talune problematiche che la maggior diffusione della retribuzione di risultato può porre, in particolare in un sistema produttivo in costante mutamento, e si provano a prospettare delle soluzioni.

Remuneration by objectives in the undertaking’s

In the modern productive context, where emerge new and different ways of working, in which time becomes a less suitable criterion for measuring the efforts made by the employees in carrying out the work and for determining the counter-performance of the employer, it is proposed to give a greater extent to the remuneration by objectives. These proposals must, however, be accompanied by a reflection on the critical points and the unresolved issues of this form of remuneration. The contribution identifies certain problems that the greater diffusion of the remuneration by objectives can place, especially in the undertaking’s “liquid” organization, and It tries to propose solutions.

SOMMARIO:

1. Breve premessa - 2. La retribuzione di risultato fra contratto collettivo aziendale ed accordo individuale - 3. Obiettivi della retribuzione di risultato nell'organizzazione dell'impresa "in divenire" - 4. Le clausole di claw back: tra restituzione del premio e condizione meramente potestativa - NOTE


1. Breve premessa

In un sistema produttivo nel quale «l’impresa non richiede più una rigida adesione a processi precostituiti ed eterodeterminati» [1], ma domanda al lavoratore subordinato sempre maggior autonomia e creatività nello svolgimento della prestazione, il tempo diviene un parametro meno adatto per misurare l’impegno profuso nello svolgimento dell’attività lavorativa e per determinare la controprestazione datoriale [2]: «il tempo “vuoto” e l’orario non sono né un criterio di verifica dell’adempimento dell’obbligo di fare, né un parametro di misurazione della prestazione, ma solo di un dovere di presenza» [3]. Il tempo, tradotto in termini di ore lavorate, mantiene tuttavia la sua attualità come criterio per determinare i minimi retributivi, dal momento che lo stesso rappresenta il parametro più sicuro per garantire il rispetto dell’art. 36 Cost. Per quanto, infatti, siano sempre più i dipendenti apprezzati per le loro capacità ed in grado di chiedere la corrispondente remunerazione, non mancano «legioni di prestatori di opere in oggettiva difficoltà nell’affermazione della loro individualità», la cui protezione è ancora affidata ai minimi del contratto collettivo nazionale [4]. Alla svalutazione dell’elemento tempo come criterio per determinare la controprestazione datoriale consegue la valorizzazione di forme di remunerazione alternative, come la retribuzione di risultato, con la quale l’imprenditore si propone di conformare la prestazione dei lavoratori al proprio progetto produttivo, per far corrispondere i risultati dei singoli a quelli attesi [5]. La prestazione sarà, pertanto, valutata, almeno in parte, non in base al numero di ore di presenza, ma agli obiettivi raggiunti. L’esigenza di valorizzare la retribuzione di risultato, a fronte dell’emergere di nuovi e sempre più diversi modi di lavorare, suggerisce di tornare a riflettere su punti critici e nodi irrisolti di questa forma di remunerazione [6].


2. La retribuzione di risultato fra contratto collettivo aziendale ed accordo individuale

Per orientare le prestazioni verso obiettivi strategici sono necessari sistemi di valutazione elaborati che colgano l’apporto di ciascun lavoratore nell’organizzazione aziendale: «la complessità dei criteri valutativi della retribuzione riflette cioè quella del lavoro e della sua posizione nell’impresa moderna» [7]. In questo contesto nel quale l’impresa e il fare divengono più articolati, è più difficile introdurre sistemi di retribuzione di risultato efficaci tramite il contratto collettivo di secondo livello. Da un lato, infatti, le rappresentanze aziendali prediligono obiettivi elementari, sia perché non sempre hanno competenze tecniche e conoscenze sufficienti per concordare risultati più complessi ed articolati, sia perché solo in presenza di questo tipo di obiettivi sono effettivamente in grado di verificare se la scelta del datore di lavoro di non erogare un premio o di riconoscerne solo un certo ammontare sia o meno corretta. Un sistema premiante di questo tipo ha, tuttavia, una ridotta capacità di incentivare i lavoratori, perché, a causa della sua semplicità, non tiene conto di tutte le variabili che influenzano i comportamenti personali [8]. Dall’altro lato, il datore di lavoro è disposto a riconoscere un premio legato ad obiettivi approssimativi, che quindi non è in grado di svolgere una funzione incentivante, purché lo stesso possa fruire delle agevolazioni predisposte dal legislatore. Poiché queste ultime hanno ad oggetto importi molto bassi [9], è consequenzialmente modesto l’ammontare della retribuzione di risultato contrattata a livello aziendale. Anche questo elemento limita drasticamente l’efficacia del premio, dal momento che «la significatività motivazionale dell’istituto è direttamente correlata alla capacità di incidere in chiave modificativa – ferma l’esistenza libera e dignitosa – sul tenore di vita del lavoratore e del suo nucleo familiare» [10]. Per ridurre l’asimmetria informativa fra azienda e rappresentanti sindacali dei lavoratori sarebbe opportuno garantire un maggior coinvolgimento dei secondi nelle decisioni aziendali in grado di ripercuotersi sulla retribuzione di risultato. Tale soluzione era già stata prospettata nel Protocollo del 23 luglio 1993 ed è stata [continua ..]


3. Obiettivi della retribuzione di risultato nell'organizzazione dell'impresa "in divenire"

Nella fase di fissazione degli obiettivi della retribuzione di risultato si prende, di regola, a riferimento l’organizzazione aziendale esistente. La possibilità di conseguire i risultati inizialmente fissati può, pertanto, essere influenzata da mutamenti organizzativi apportati dal datore di lavoro nel periodo di tempo compreso fra il momento in cui il target è stato fissato e quello in cui si deve verificare se lo stesso sia stato conseguito [22]. Già in passato si era posto il problema delle conseguenze di siffatte modifiche organizzative [23], ma lo stesso si è acuito nelle imprese moderne che si strutturano in modo flessibile per «rispondere velocemente alla richiesta del nuovo mercato globalizzato di modificare in tempo reale i volumi e la tipologia della produzione adattandola, di volta in volta, ad una domanda (e ad una offerta) “globalizzata” e pertanto oscillante» [24]. Nella situazione descritta si scontrano due interessi contrapposti, entrambi meritevoli di tutela: da un lato, quello del lavoratore di mantenere le condizioni che gli consentano di ottenere il premio; dall’altro quello del datore di lavoro di modificare l’organizzazione d’impresa nel modo ritenuto più opportuno. Qualora, infatti, si sostenesse che l’introduzione di un sistema di retribuzione legato ad una data organizzazione aziendale precluda al datore di lavoro di apportare modifiche organizzative [25], non solo si violerebbe la libertà di iniziativa economica privata dell’imprenditore, ma si introdurrebbe anche «un’inutile rigidità e nell’organizzazione e nella struttura retributiva, cristallizzando elementi che invece oggi più che mai devono essere caratterizzati da duttilità idonee a connetterli all’evoluzione delle tecniche organizzative e produttive» [26]. Per adattare la regolamentazione della retribuzione di risultato all’organizzazione d’impresa in costante divenire, in alcuni sistemi premianti si attribuisce al datore di lavoro il compito di rideterminare l’obiettivo [27]. La scelta di devolvere ad un contraente, nel caso di specie il datore di lavoro, il compito di modificare unilateralmente il contenuto di talune previsioni negoziali, non è inconciliabile con la natura consensuale del contratto [28]. Perché sia legittimo, [continua ..]


4. Le clausole di claw back: tra restituzione del premio e condizione meramente potestativa

In alcuni settori, come quello bancario, l’effettivo esito di alcune operazioni finanziarie può essere apprezzato solo nel lungo periodo [58]. I risultati di un investimento effettuato nel 2018 potrebbero, ad esempio, essere pienamente apprezzabili solo alcuni anni dopo. Di conseguenza, per incentivare i lavoratori a tener conto delle ripercussioni a lungo termine delle proprie scelte, il sistema premiante deve consentire di verificare se un obiettivo che inizialmente sembrava conseguito, lo sia davvero quando emergono gli esiti delle operazioni compiute. Per rispondere a questa esigenza e per tutelare l’interesse dei risparmiatori, la Banca d’Italia, con la circ. n. 285/2013, ha introdotto una specifica regolamentazione della retribuzione di risultato dei dirigenti del settore bancario [59]. Alla fine del periodo cui si riferisce il premio, il datore di lavoro verifica se l’obiettivo o gli obiettivi sono stati conseguiti. La retribuzione di risultato, tuttavia, è corrisposta solo dopo che siano passati 3 o 5 anni da quando è stata effettuata la valutazione del dipendente. Tra questo momento e il pagamento della prima quota del premio deve, inoltre, trascorrere almeno un anno [60]. In questi intervalli di tempo l’istituto di credito deve verificare se nel periodo cui si riferisce il premio il dipendente abbia posto in essere comportamenti o condotte fraudolente che abbiano cagionato una perdita significativa o altri danni all’istituto di credito o se emergano gli esiti negativi di operazioni finanziarie compiute dal lavoratore, o nella sua unità operativa, nello stesso periodo [61]. Qualora accerti una di queste evenienze, che possono essere specificate dai singoli istituti di credito, la banca può avvalersi della clausola c.d. di claw back per non corrispondere parti di premio (apparentemente) maturate, ma non ancora erogate, oppure per domandare la parziale restituzione di quote della retribuzione di risultato già pagate [62]. Per comprendere meglio il funzionamento di tale sistema, si può prendere in considerazione la retribuzione di risultato di un istituto di credito, che è stata oggetto di due pronunce di merito [63]. Per la prestazione resa da un dirigente nel 2009 era stato pattuito un premio di risultato pari ad € 648.899,54, da corrispondere in 3 tranches, rispettivamente nel 2010, 2011 e 2012, [continua ..]


NOTE