Il blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19 (di cui all’art. 46 del c.d. d.l. cura Italia, come convertito) – solo a far tempo dalla seconda proroga (con l’art. 14 d.l. agosto, come convertito) – risulta assoggettato, per l’avvenire, alla condizionalità – della fruizione integrale dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 ovvero, in alternativa, esonero dal versamento dei contributi previdenziali – e limitato, contestualmente, da precise ipotesi di esclusione.
All’esito dell’esame analitico delle definizioni legali rispettive, condizionalità, ipotesi di esclusione e salvezza – lungi dall’immutare, sostanzialmente, il blocco e la sua efficacia vincolante – ne stabiliscono la evoluzione virtuosa – dalla rigidità originaria alla flessibilità – e contribuiscono alla ottimizzazione del bilanciamento tra libertà di iniziativa economica privata e sacrifici imposti dal blocco.
La prospettiva della ripresa economica al termine della pandemia ed il rischio di licenziamenti di massa al termine del blocco concorrono a testimoniare lo stato di emergenza o di eccezione indotto dalla pandemia nel quale si iscrive – e, coerentemente, deve essere letto – (anche) il blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19.
The prohibition of dismissals at the time of Covid-19 (pursuant to art. 46 of the so-called cura Italia decree, as converted) – only after its second extension is subject for the future to the conditionality – of the full fruition of wage subsidies related to Covid-19 emergency or, alternatively, exemption from the payment of social security contributions – and limited, at the same time, by specific exclusion hypotheses.
Following an analytical analysis of the respective legal definitions, conditionality, hypothesis of exclusion and salvation – far from substantially changing the prohibition and its efficacy – establish a virtuous evolution – from original rigidity to flexibility – and contribute to a balance between private economic freedom and sacrifices imposed.
The prospective of economic recovery at the end of the pandemic and the risk of mass dismissals at the end of the prohibition contribute to highlight the state of emergency or exception imposed by the pandemic in which it is registered – and, consistently, it must be read – (also) the prohibition of dismissals at the time of Covid-19.
Keywords: prohibition of dismissals – Covid 19 – wage subsidies
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1. Condizionalità ed ipotesi di esclusione del blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19: definizione ed impostazione del tema d’indagine - 2. Condizionalità del blocco dei licenziamenti al tempo del Covid 19: integrazioni salariali con causale Covid-19 ovvero esonero dal versamento dei contributi - 3. Ipotesi di esclusione del blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19: cessazione definitiva dell’attività e fallimento del datore di lavoro - 4. Segue: dimissioni incentivate da accordo sindacale aziendale - 5. Blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19: ipotesi di salvezza nel cambio appalto - 6. Brevi notazioni conclusive - NOTE
Nasce senza condizionalità e senza limiti [1]. E tale rimane dopo la prima proroga [2]. Solo a far tempo dalla seconda proroga, infatti, il blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19 risulta esplicitamente subordinato a condizionalità e, contestualmente, limitato da ipotesi di esclusione [3]. Ne risulta prevista (dall’art. 14, in relazione agli artt. 1 e 3, del decreto legge agosto, come convertito dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126) la proroga ulteriore del blocco al termine finale del 31 dicembre 2020. La subordina, tuttavia, a condizionalità, quali appunto: la fruizione integrale dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 ovvero, in alternativa, esonero dal versamento dei contributi previdenziali. Contestualmente introduce, tuttavia, eccezioni e deroghe – anche per quanto riguarda il termine del blocco – parimenti correlate alla fruizione (anche pregressa) degli stessi trattamenti. Con esse concorrono ipotesi di esclusione del blocco, quali: licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione; fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione; accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo [4]. Sono comunque fatte salve – dal blocco dei licenziamenti – le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto [5]. Da ultimo, il blocco dei licenziamenti è stato ulteriormente prorogato fino al 31 marzo 2021 dalla legge di bilancio 2021 (legge 30 dicembre 2020, n. 178, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023, art. 1, commi da 309 a 311) [6]. All’evidenza, ne risulta sostanzialmente ribadito che il blocco dei licenziamenti – prorogato, contestualmente, al 31 marzo 2021 – non si applica nelle ipotesi già previste ed, in [continua ..]
Il blocco dei licenziamenti – che si articola nel divieto della intimazione e nella sospensione di procedure ad essa preliminari [15] – non si applica “ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19, di cui all’articolo 1, ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 del presente decreto”. Lo stabilisce testualmente – a partire dalla seconda proroga del blocco – il decreto agosto [16]. E lo ribadisce, da ultimo – come pure è stato anticipato – la legge di bilancio per il 2021 [17]. Integrazioni salariali ed esonero contributivo risultano, infatti, esplicitamente prorogati al 31 marzo 2021 – come il blocco dei licenziamenti – dalla stessa legge di bilancio 2021, con disposizioni (art. 1, commi 295-303, 305-308, 312-314) significativamente contigue, per così dire, alle disposizioni (commi 309-311 dello stesso art. 1) che, per quanto si è detto, risultano dedicate al blocco. Intanto la fruizione integrale delle integrazioni salariali con causale Covid-19 – che ne risulta contemplata – pare riferita al diritto alla loro fruizione per l’intera durata che ne è prevista dalla legge [18]. Mentre la fruizione effettiva integra l’esercizio dello stesso diritto e – se anteriore alla entrata in vigore della norma in esame (15 agosto 2020) – comporta la riduzione del periodo residuo di fruizione. Coerentemente, la mancata domanda delle integrazioni salariali – da parte di chi ne ha diritto alla fruizione – configura la fattispecie costitutiva del diritto – all’esonero contributivo [19] – che la norma in esame contempla in alternativa [20]. L’esplicita imputazione, poi, dello stesso diritto – ai datori di lavoro, che vi possano accedere [21] – sembra, all’evidenza, prescindere dalla inclusione dei dipendenti, investiti dal licenziamento vietato, nelle categorie che possano beneficiare delle stesse integrazioni salariali [22]. Coerente risulta, quindi, la configurazione del diritto alla fruizione integrale di integrazioni salariali con causale Covid-19 – oppure, in alternativa, all’esonero contributivo – come [continua ..]
Il blocco dei licenziamenti – che si articola nel divieto della intimazione e nella sospensione di procedure ad essa preliminari [29] – non si applica: “nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile” e ai “licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso”. Lo stabilisce testualmente – a partire dalla seconda proroga del blocco – il decreto agosto [30]. E lo ribadisce, da ultimo – come pure è stato anticipato – la legge di bilancio per il 2021 [31]. A far tempo dalla seconda proroga il legislatore prende atto – e porta a conseguenza – la problematica compatibilità – emersa fin dall’origine – del blocco dei licenziamenti con la cessazione dell’attività ed il fallimento del datore di lavoro. Circonda, tuttavia, la presa d’atto di opportune cautele – nella definizione, appunto, delle stesse ipotesi di esclusione del blocco – per garantirne, sostanzialmente, la efficacia vincolante ed ostacolarne ogni elusione. In tale prospettiva, le ipotesi di esclusione in esame – come risulta dalle definizioni rispettive – non si esauriscono nella cessazione dell’attività e nel fallimento del datore di lavoro [32]. Intanto la cessazione dell’attività del datore di lavoro – anche non imprenditoriale, nonostante il riferimento testuale alla impresa, in quanto tale limitazione pare priva di qualsiasi giustificazione – deve essere integrale e definitiva. Dalla cessazione ne risulta, quindi, investita – integralmente, quanto definitivamente – l’attività datoriale nella sua [continua ..]
Il blocco dei licenziamenti – che si articola nel divieto della intimazione e nella sospensione di procedure ad essa preliminari [36] – non si applica “nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22”. Lo stabilisce testualmente – a partire dalla seconda proroga del blocco – il decreto agosto [37]. E lo ribadisce sostanzialmente – come pure è stato anticipato (§ 1) – la legge di bilancio per il 2021 [38]. Gli esiti incentivati – con accordi sindacali aziendali stipulati, tuttavia, da sindacati esterni – non sembrano, all’evidenza, licenziamenti – per i lavoratori che aderiscano agli stessi accordi – ma dimissioni [39]. La configurazione esplicita quale ipotesi di esclusione dal blocco dei licenziamenti – come pure è stato anticipato – sembrerebbe, quindi, affatto superflua. Il principio di conservazione – che, sebbene espressamente codificato (dall’art. 1367 c.c.) in materia contrattuale, deve ritenersi operante, in quanto espressione di un sovraordinato principio generale insito nel sistema, anche e soprattutto in tema di interpretazione della legge [40] – impone tuttavia di assegnare alla disposizione in esame (art. 1, comma 311, legge 30 dicembre 2020, n. 178) un significato utile. Invero, “dopo l’entrata in vigore della legge n. 223/1991, il licenziamento collettivo costituisce un istituto autonomo, che si distingue radicalmente dal licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, essendo caratterizzato in base alle dimensioni occupazionali dell’impresa (più di quindici dipendenti), al numero dei licenziamenti (almeno cinque), e all’arco temporale (120 giorni) entro cui sono effettuati i licenziamenti ed essendo strettamente collegato al controllo preventivo, sindacale e pubblico, dell’operazione imprenditoriale di ridimensionamento della struttura aziendale” [41]. Pertanto – dopo la legge n. 223/1991 – “la [continua ..]
Resta, infine, la salvezza – dal blocco dei licenziamenti – delle ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto. Lo stabilisce testualmente – a partire dalla seconda proroga del blocco – il decreto agosto [52]. E lo ribadisce, da ultimo, la legge di bilancio per il 2021 [53]. Pare funzionale – come pure è già stato anticipato – al superamento di problematiche concernenti l’obbligo di riassunzione – a carico dell’impresa subentrante – nel caso di cambio appalto [54]. In principio è la ratio – del blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19 – di garantire la conservazione del posto di lavoro [55]. In tale prospettiva, l’appaltatore uscente può licenziare – nel caso di cambio appalto – solo i lavoratori poi riassunti dall’appaltatore subentrante. Al di fuori della ipotesi in cui ne risulti un trasferimento d’azienda (ai sensi dell’art. 2112 c.c.) – e la prosecuzione, che ne consegue, dei rapporti di lavoro dall’appaltatore uscente a quello subentrante – non esiste un obbligo generale di quest’ultimo alla riassunzione del personale impiegato nell’appalto. Questo obbligo può essere imposto, tuttavia, da clausole sociali contenute nel bando di gara, nel contratto d’appalto oppure – entro i loro limiti soggettivi di efficacia – nei contratti collettivi. La prevista salvezza dal blocco, nel caso di cambio appalto, del recesso dell’appaltatore uscente – che riguardi personale già impiegato nell’appalto – opera, quindi, soltanto se lo stesso personale sia riassunto dall’appaltatore subentrante in forza di clausola sociale (di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto). Pertanto risulta, all’evidenza, funzionale alla garanzia della conservazione del posto di lavoro – nel caso di cambio appalto – escludendo dal blocco il recesso dell’appaltatore uscente – dai rapporti di lavoro con il personale impiegato nell’appalto – solo quando una clausola sociale ne imponga la riassunzione [continua ..]
Agevoli risultano, a questo punto, brevi notazioni conclusive. Intanto erano prevedibili fin dall’origine, per quanto si è detto, le condizionalità e le ipotesi di esclusione – introdotte solo a far tempo dalla seconda proroga – del blocco dei licenziamenti al tempo del Covd-19. Lungi dall’immutare il blocco – nella sostanza e nella efficacia vincolante – ne stabiliscono la evoluzione virtuosa, diffusamente auspicata, dalla rigidità originaria alla flessibilità. Palese risulta, poi, il contributo, che ne risulta, alla ottimizzazione, per così dire, del bilanciamento – tra libertà di iniziativa economica privata e sacrifici imposti dal blocco – che prescinde, tuttavia, dalla loro equivalenza quantitativa. Tanto più la conclusione ora proposta si impone ove si consideri che, alla equivalenza quantitativa prospettata, sembrano d’ostacolo – con la grave crisi economica e finanziaria, in dipendenza della pandemia – principi fondamentali della nostra costituzione e del diritto dell’Unione europea. Intanto il pareggio di bilancio (art. 81 Cost., come sostituito dall’art. 1, legge cost. 20 aprile 2012, n. 1) ne ha reso necessari ripetuti scostamenti al tempo del Covid-19 (cinque nel 2020 ed uno nel 2021) [57]. E si coniuga con il divieto di aiuti di stato alle imprese, imposto dal diritto dell’Unione europea ed opportunamente attenuato nell’attuale emergenza del Covid-19 [58]. In prospettiva, poi, l’auspicata ripresa economica – al termine della pandemia – potrebbe ricevere sostegno e promozione – anche in materia di lavoro – dal c.d. recovery plan Italia [59]. Mentre il rischio di licenziamenti di massa al termine del blocco [60] – diffusamente paventato – potrebbe ricevere soccorso, tra l’altro, anche dai contratti di espansione [61]. Sono soltanto alcuni dei tanti problemi, che sono emersi, e delle ipotesi di soluzione, che sono state prospettate. Concorrono a testimoniare, tuttavia, lo stato di emergenza o di eccezione [62] – indotto dalla pandemia – nel quale si iscrive – e, coerentemente, deve essere letto – (anche) il blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19 [63].