Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Crediti di lavoro e fallimento: note sui modi della cognizione delle cause pregiudiziali nell'accertamento del passivo (di Marco Rendina - Dottore di ricerca in diritto processuale civile)


L’articolo affronta il problema del riparto di c.d. “competenza” tra il giudice del lavoro ed il tribunale fallimentare in riferimento ai crediti pecuniari di lavoro. In particolare il saggio tocca il tema ponendo in evidenza il fatto che detti crediti, strutturalmente, risultano sempre dipendenti da una questione pregiudiziale, di mero accertamento oppure costituiva, inerente alla materia laburistica. Esposte le principali soluzioni offerte al problema dalla giurisprudenza e dalla dottrina specialistica, l’articolo prosegue formulando una proposta ricostruttiva, che trae le mosse dalle caratteristiche peculiari del processo di accertamento del passivo e pone in evidenza come la cognizione concernente tutti i diritti di credito (ivi inclusi quelli di lavoro) inevitabilmente competa al tribunale fallimentare, nel contraddittorio incrociato tra tutti i creditori concorrenti, il quale processo ha il solo scopo di determinare l’entità e la natura del «diritto processuale al concorso» spettante a ciascun creditore insinuato, con efficacia necessariamente limitata al solo riparto fallimentare. E come il tribunale fallimentare abbia sempre il potere di conoscere in via meramente incidentale tutte le cause pregiudiziali ai singoli diritti di credito, senza che l’eventuale pendenza delle domande concernenti dette pregiudiziali innanzi al giudice (del lavoro) “competente”, sia in grado di esplicare alcuna interferenza sul processo di verificazione del passivo, attesa l’inopponibilità di tale accertamento (già formatosi, se la controversia si è conclusa con sentenza passata in giudicato, ovvero in fieri) ai creditori concorrenti ulteriori rispetto a quello (pure) parte della causa pregiudiziale.

Pecuniary credits arising out of employment and insolvency law: short essay on the assessment of interlocutory issues in the proceedings aimed to the statement of liabilities

The article deals with the problem of the so-called division of “jurisdiction” between the Labour Court and the Insolvency Court, with reference to pecuniary claims arising out of employment contracts. In particular, the essay approaches the issue underlining that these claims, from a structural point of view, are always dependent on an interlocutory issue, which could consist either in a pure declaratory judgement or in a constitutive judgment concerning labour law. After the presentation of the main solutions offered to the problem by legal literature and by case-law, the article continues proposing a new reconstruction of the subject matter. The latter arises from the analysis of the peculiarities of the proceedings dedicated to the statement of liabilities in the insolvency procedure, with respect to which the essay remarks that the mentioned proceedings have the sole purpose of determining the admission, extent and ranking of each pecuniary claim, jointly with all the other creditors, and with limited effect to the insolvency procedure, so that the only judge having jurisdiction on this matter is certainly the Insolvency Court. The text also points out that the Insolvency Court has always the power to only asses, without declaring, all the interlocutory issues with the specific objective of declaring each single pecuniary claim to the mere purpose of the insolvency procedure, and that the possible claims regarding the aforementioned interlocutory issues, which could be brought before the competent (Labour) Court, may not have effects on the insolvency proceedings dealing with the statement of liabilities. In fact the final judgement of the ordinary proceedings on the interlocutory issue may not produce any effect on the other competing creditors, because the latter are third parties in respect of the claim on the interlocutory issue, which involves only the single creditor and the subjet declared bankrupt.

SOMMARIO:

1. Lo stato della questione del c.d. "riparto di competenza" tra tribunale fallimentare e giudice ordinario per le domande aventi ad oggetto crediti di lavoro, dipendenti da cause costitutive o di mero accertamento; premesse generali - 2. Il ruolo ed il significato da attribuirsi, nel sistema concorsuale, all'art. 72, comma 5, l. fall.; le due principali proposte ricostruttive della soluzione da darsi alla questione del riparto di "competenza" in discussione - 3. Critica delle esposte teorie, i principi generali violati; posizione delle due premesse essenziali per una differente proposta ricostruttiva: la determinazione dell'oggetto del processo di accertamento del passivo e l'enucleazione del suo elemento caratterizzante - 4. L'inopponibilità ai creditori concorrenti dell'eventuale giudicato formatosi aliunde sulla pregiudiziale, nonché l'ammissibilità in subiecta materia della cognizione meramente incidentale della pregiudiziale costitutiva, sono i capisaldi attorno cui costruire la proposta ricostruttiva di soluzione al discusso problema del riparto di "competenza" - 5. Conclusioni - NOTE


1. Lo stato della questione del c.d. "riparto di competenza" tra tribunale fallimentare e giudice ordinario per le domande aventi ad oggetto crediti di lavoro, dipendenti da cause costitutive o di mero accertamento; premesse generali

Il problema del c.d. “riparto di competenza” [1] tra il tribunale fallimentare ed il giudice del lavoro è tema classico della materia dei rapporti tra fallimento e diritto del lavoro, dalla vasta eco pratica, che non ha ricevuto sostanziali modifiche d’impostazione teorica, da ormai lunghi anni a questa parte, né dal formante giurisprudenziale né da quello dottrinale [2]. Nondimeno, mi sembra che esso possa essere ottimo laboratorio d’indagine per verificare la correttezza dell’impostazione tradizionale tutt’oggi seguita, che nemmeno la penetrante riforma della legge fallimentare degli anni 2006 e 2007 ha saputo mutare nelle sue linee essenziali. Prima di scendere in maggiori dettagli ed iniziare a sviluppare il percorso prefissatomi, conviene subito chiarire che il problema che s’intende toccare con le presenti note è esclusivamente quello dei rapporti tra i due giudici (ed i due riti) nel caso in cui il lavoratore vanti un diritto di credito nei confronti del datore, tale da considerarsi anteriore al fallimento e, dunque, partecipante al concorso materiale e (potenzialmente) formale con gli altri creditori del medesimo soggetto fallito. Fissato in questi ristretti termini il tema d’indagine, va da sé che sono escluse dall’analisi le questioni inerenti alle cause che, di converso, sono proposte dal datore di lavoro nei confronti del prestatore, ovvero quelle concernenti crediti dei lavoratori sorti dopo la dichiarazione di fallimento, nel caso di prosecuzione dell’attività d’impresa. Ciò chiarito, ineludibile diviene il confronto con la posizione tradizionalmente fatta propria dalla giurisprudenza, la quale, pur con le inevitabili semplificazioni dovute all’istanza di sintesi, predica la “competenza” del tribunale fallimentare per le domande aventi ad oggetto il «diritto di credito», mentre considera persistente la “competenza” del giudice del lavoro per le domande a queste pregiudiziali (che, di regola, nella materia d’interesse, sono rappresentate da quelle concernenti l’impugnativa del licenziamento) [3], salvo poi, in alcuni casi, sostenere che sono sottoposte alla vis attractiva concursus anche le domande di mero accertamento – pur sempre pregiudiziali –, a condizione che siano direttamente strumentali (sic, nella giurisprudenza) alla [continua ..]


2. Il ruolo ed il significato da attribuirsi, nel sistema concorsuale, all'art. 72, comma 5, l. fall.; le due principali proposte ricostruttive della soluzione da darsi alla questione del riparto di "competenza" in discussione

Chi voglia andare alla ricerca di un sostegno normativo per risolvere il problema prospettato, non troverà particolare soddisfazione nel testo della legge fallimentare, la quale, pur dopo le numerose riforme, che tanto in profondità hanno mutato lo scenario normativo – e, per quanto di mio attuale interesse, il complesso procedimento di verificazione dei crediti –, non si occupa ex professo del tema ma, solamente, lo lambisce, dettando la disposizione di dettaglio di cui all’art. 72, comma 5. Detto testo, invero, disciplina, nel primo periodo, gli effetti, nei confronti della procedura medesima, della domanda di risoluzione contrattuale proposta prima della dichiarazione di fallimento, mentre nel secondo e ultimo periodo – al centro di questa analisi – così dispone: «se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al capo V». Se da una parte è fuori discussione il contenuto assai speciale del disposto in parola, non è nemmeno negabile la sua importanza sistematica, atteso che esso, come accennato, rappresenta l’unica presa di posizione del legislatore sul problema affrontato, poiché l’ipotesi regolata è proprio quella della proposizione di una domanda (costituiva) di risoluzione del contratto, la cui deduzione giudiziale, però, non è fine a sé stessa, ma è finalizzata anche all’ottenimento della tutela giurisdizionale per il diritto di credito dipendente da tale domanda. In una parola, la disposizione regola una fattispecie che, strutturalmente, è perfettamente sovrapponibile allo schema teorico in cui s’inserisce il problema in discussione, con specifico riguardo al sotto-caso – come si vedrà, più incerto e complesso – in cui la domanda pregiudiziale al diritto di credito aspirante al concorso accede alla tutela costitutiva. Come ipotesi di lavoro, ritengo che detta disposizione, pur dedicata alla soluzione di uno specifico problema, sia da considerarsi come più ampiamente espressiva del principio generale che, secondo la legge fallimentare, regola tutti i rapporti tra la causa devoluta al rito della verificazione e la causa ad essa pregiudiziale [8]. Assunta detta ipotesi di lavoro, il discorso [continua ..]


3. Critica delle esposte teorie, i principi generali violati; posizione delle due premesse essenziali per una differente proposta ricostruttiva: la determinazione dell'oggetto del processo di accertamento del passivo e l'enucleazione del suo elemento caratterizzante

È innegabile l’intrinseca coerenza interna ed il sicuro pregio da attribuirsi alle sopraesposte teorie, così come, a mio modo di vedere, pure la condivisa ed inevitabile necessità, sebbene per differenti ragioni, di piegare alcuni principî generali [21], allo scopo di rendere coerenti le soluzioni proposte col tessuto normativo in cui esse s’inseriscono. Tuttavia, si ritiene che nessuna delle due impostazioni seguite sia pienamente condivisibile, né che esse rappresentino le soluzioni, tra quelle in astratto pensabili, più aderenti alle esigenze ed alla struttura del giudizio di verificazione per come s’impone oggi, de lege lata, allo studioso. Dalla mia prospettiva, due dei punti sui quali entrambe le teorie sono concordi possono essere fatti oggetto di critica, al fine di addivenire alla ricostruzione del contenuto precettivo dell’art. 72, comma 5, l. fall. nel modo che pare più corretto e rispondente alla speciale natura del procedimento di accertamento del passivo. I punti comuni cui ci si riferisce sono i seguenti: 1) quello concernente l’assunto secondo cui, laddove il processo avente ad oggetto la pregiudiziale (sia essa costituiva, sia essa meramente dichiarativa) si celebri avanti al giudice competente secondo le regole generali e nel rito che ordinariamente lo governa, comunque il giudicato sostanziale che da esso dovesse conseguire sarebbe opponibile a tutti gli altri creditori concorrenti nel procedimento di verificazione dei crediti; 2) quello riguardante l’idea che nemmeno nello specifico ambito del procedimento di verificazione sia pensabile l’ammissibilità di una cognizione in via meramente incidentale anche della pregiudiziale costitutiva. Per cercare di sviluppare le ragioni che mi spingono a dissentire dai detti presupposti, ritengo valga conto porre l’attenzione, dapprima, sull’individuazione dell’oggetto del procedimento di verificazione dei crediti, in seguito, su quale sia, dal punto di vista fenomenologico, il suo elemento caratterizzante. Quanto alla prima questione, senza alcun intento di dar conto nell’esposizione delle differenti teorie che si sono contese il campo [22], ai presenti fini sembra sufficiente evidenziare come l’oggetto del processo di accertamento del passivo fallimentare, lungi dall’essere costituito dal «diritto di [continua ..]


4. L'inopponibilità ai creditori concorrenti dell'eventuale giudicato formatosi aliunde sulla pregiudiziale, nonché l'ammissibilità in subiecta materia della cognizione meramente incidentale della pregiudiziale costitutiva, sono i capisaldi attorno cui costruire la proposta ricostruttiva di soluzione al discusso problema del riparto di "competenza"

Svolte le considerazioni che precedono, è ora più semplice esporre le ragioni per cui si ritiene che, nell’ambito del procedimento di accertamento del passivo, nessuno dei due principî, condivisi dalle teorie discusse e sopra ricordati sub 1) e 2), possa trovare applicazione nella materia oggetto d’indagine. Come detto, in primo luogo ci si riferisce (sub 1) a quello della ritenuta opponibilità del giudicato formatosi nel processo avente ad oggetto la domanda pregiudiziale (abbia essa natura costitutiva o di mero accertamento) nei confronti di tutti i creditori insinuati, i quali dunque dovrebbero patirne gli effetti, con riferimento all’ammissione del «diritto di credito» da questa dipendente. Invero, considerati la specifica funzione riservata dal nostro ordinamento al procedimento di accertamento del passivo [29] e l’oggetto della relativa cognizione, la quale si salda, quasi fatalmente, con l’efficacia – necessariamente endoconcorsuale – da attribuirsi al provvedimento che si pronuncia sull’esercizio di detto potere; considerato pure il ruolo di interlocuzione necessaria riconosciuto a ciascun singolo concorrente nel procedimento (due facce della stessa medaglia, mi sentirei di dire), pare inevitabile concludere che l’opponibilità a tutti gli altri creditori del giudicato sostanziale sulla pregiudiziale [30] eventualmente formatosi aliunde, sarebbe in contrasto con entrambi i profili sopra riassunti. Giacché, rispetto al primo (quello dell’oggetto del procedimento), si violerebbe manifestamente la regola generale dell’ordinamento, canonizzata nell’art. 2909 c.c. (e, nei casi di tutela costitutiva, nell’art. 2908 c.c. [31]), secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato sì, ad ogni effetto, ma solo tra le parti del processo ed i loro aventi causa [32], e ciò proprio in quei casi ove il giudicato non s’impone ai soggetti potenzialmente interessati, in via di mero fatto, ma quale mediato elemento della fattispecie costituiva della situazione soggettiva ivi dedotta [33] (poiché titolari di situazioni soggettive dipendenti da quella accertata). In quanto si è detto che la fattispecie costitutiva del potere processuale esercitato già con la domanda di ammissione al [continua ..]


5. Conclusioni

In via di conclusione, riavvicinando nuovamente il fuoco del discorso alle controversie relative a diritti di credito di lavoro, una volta impostato il ragionamento dei rapporti tra giudice ordinario e giudice fallimentare come si è testé fatto, non rimane che affrontare un ultimo problema che, a ragione, la giurisprudenza [46] e molti commentatori sollevano, tipicamente come argomento funzionale alla difesa della ripartizione di “competenza” in discussione nel senso tradizionale [47]. Ci si riferisce alla considerazione secondo cui, in molte ipotesi, la decisione sulle liti pregiudiziali non rileva solamente rispetto alla statuizione sul credito dipendente dedotto in via d’insinuazione al passivo, ma è capace di riverberare i suoi effetti anche in ulteriori direzioni, in quanto, ad esempio, pregiudiziale ad altri diritti che il lavoratore potrebbe vantare nei confronti di soggetti diversi dal fallito. Si pensi, esemplificando ancora, all’importanza della decisione circa la legittimità del licenziamento al fine di ottenere prestazioni previdenziali ovvero al fine di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, in caso di prosecuzione dell’attività d’impresa ovvero in funzione di una cessione dell’azienda successiva alla dichiarazione di fallimento. Ebbene, in tutte queste ipotesi, va da sé che il processo che un qualche rilievo possa avere rispetto alle (ulteriori) situazioni soggettive rivendicate dal prestatore, dovrà svolgersi avanti al giudice ordinario in quanto, come detto, in sede di verificazione, la pregiudiziale verrà esclusivamente delibata (ma non accertata) nel contraddittorio con gli altri creditori concorrenti, ai meri fini dell’individuazione dell’estensione degli effetti dell’esercitato «diritto processuale al concorso». E così, solo nei casi in cui il lavoratore tenderà, con la propria domanda, verso la prosecuzione del rapporto di lavoro, pur in costanza di fallimento – in vista dell’eventualità di un esercizio provvisorio, della cessione dell’azienda o di un concordato fallimentare –, detto processo ordinario, se instaurato prima del fallimento, in seguito all’interruzione prevista dall’art. 43, l. fall., dovrà proseguire direttamente nei confronti del curatore (se instaurato in seguito – al netto dei problemi di [continua ..]


NOTE