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La funzione anticoncorrenziale della contrattazione collettiva nazionale di categoria. Nodi critici e prospettive

Marcella Miracolini, Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Palermo

Diversi fattori concorrano a destabilizzare la funzione anticoncorrenziale della contrattazione collettiva. Tra questi, la segmentazione delle categorie e la frammentazione delle rap­presentanze hanno contribuito alla proliferazione dei contratti disponibili, divenuti oggetto di una vera e propria competizione al ribasso. Il piano su cui la crisi della funzione antidumping della contrattazione appare più immediatamente tangibile è quello salariale, acuen­do, piuttosto che arginando, l’ormai dilagante fenomeno di impoverimento del lavoro. Il saggio, dopo l’analisi di tali aspetti, si sofferma sulle opzioni de iure condendo e sul loro contributo in un’ottica di riconquista della tradizionale autorità salariale della fonte autonoma. Questo obiettivo, però, impone la necessità di affrontare i nodi irrisolti della perimetrazione delle categorie e della misura della rappresentatività, anche a partire dagli strumenti a disposizione.

The anti-competitive role of national collective bargaining. Critical issues and perspectives

Many factors contribute to destabilizing the anti-competitive function of collective bargaining. In this context, the segmentation of categories and the fragmentation of representations have contributed to increase the number of collective agreements, that become subject of a competition in downward. The wage is the aspect on which the crisis of the anti-dumping function of the bargaining is immediately tangible and this overgrowth increases the phenomenon of the working poor. The contribution, after the analysis of these aspects, highlights the different options aimed at regaining the traditional wage authority of the autonomous source. This necessarily implies to focus on the unresolved issues of the perimeter of the contractual categories and the measure of representativeness, also through the valorization of existent instruments.

Keywords: national collective bargaining – free competition

Sommario:

1. Premessa - 2. La crisi del paradigma anticoncorrenziale del CCNL: fattori “esterni” ed “interni” - 3. Segue. L’ipertrofica produzione contrattuale nazionale tra segmentazione delle categorie e frammentazione delle rappresentanze - 4. Lo spazio per il recupero dell’autorità salariale della fonte autonoma - 5. Le questioni da risolvere: la perimetrazione delle categorie contrattuali - 6. La coeva necessità di misurazione della rappresentatività - NOTE


1. Premessa

L’idea che il diritto del lavoro, da un certo punto di vista, debba considerarsi parte integrante del diritto della concorrenza è oramai ampiamente nota. Nella sua stessa natura risiede il compito di assicurare l’eguaglianza di condizione nella libera competizione tra attori economici [1]. Sin dai tempi della legislazione sociale tale apparato regolativo ha funzionato come strumento di contrasto della logica utilitaristica dell’homo oeconomicus, producendo importanti meccanismi di condizionamento della razionalità produttiva [2], pur nell’ambito del carattere conflittuale delle relazioni industriali e tenendo conto degli opposti interessi in gioco. In questa prospettiva il diritto del lavoro è riuscito a mantenere un delicato equilibrio tra esigenze di competitività delle imprese (e del sistema produttivo in generale) [3] e tutela dei lavoratori [4], e lo ha fatto per il tramite non solo della sua componente eteronoma, ma anche della fonte autonoma della materia [5], considerata «centro del sistema pluralistico di relazioni industriali sviluppatosi nella società industriale moderna e tratto caratterizzante dei modelli sociali del c.d. capitalismo organizzato» [6]. Ebbene, l’identificazione della contrattazione collettiva quale fonte di disciplina del rapporto, in grado di superare il conflitto attraverso una combinazione dialettica e democratica delle opposte [continua ..]

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2. La crisi del paradigma anticoncorrenziale del CCNL: fattori “esterni” ed “interni”

A tal proposito un primo aspetto destabilizzante appartiene ad una dimensione valoriale. Sebbene l’attuale emergenza sanitaria, destinata ad avere contraccolpi inevitabili anche sul mercato del lavoro [18], sembri segnare un risveglio delle politiche di stampo neo-keinesiano (e post-keinesiano) [19], l’ideolo­gia neoliberale imperante [20], che negli ultimi anni ha spostato il baricentro delle garanzie dal rapporto al mercato del lavoro [21], non ha lasciato indenne neppure il sistema contrattuale. Questo è stato avversato dall’ideale di un’ar­monizzazione automatica delle condizioni di vita e di lavoro all’interno di un mercato svincolato. La soppressione delle differenze costituirebbe una distorsione e il contratto collettivo nazionale lo strumento per determinare situazione monopolistiche sul mercato del lavoro [22], a fronte tutt’al più di «intese aziendali» in grado di rilanciare il «mercato delle regole» in funzione dell’ef­fi­cienza economica [23]. Su un piano esterno [24], invece, connesso cioè a macro-dinamiche, la globalizzazione ha posto definitivamente il sindacato, per tradizione paladino dei diritti dei lavoratori contro le leggi del libero mercato, davanti ad un bivio, costretto a trasformarsi in «demiurgo della competitività» [25], intesa come capacità dell’impresa [continua ..]

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3. Segue. L’ipertrofica produzione contrattuale nazionale tra segmentazione delle categorie e frammentazione delle rappresentanze

Le alterazioni strutturali, dovute ai macro-fattori descritti, da un lato hanno condotto ad una disgregazione degli interessi collettivi, dall’altro hanno reso più incerti i limiti tra le attività e moltiplicato i settori o sottosettori all’interno delle categorie “merceologiche”. Ne è derivato il proliferare di contratti collettivi di categoria (da intendersi in questo caso nell’accezione di categoria “contrattuale”), spesso in competizione tra loro all’interno degli stessi settori storicamente unitari [33]. Per ragioni legate alla tradizione delle relazioni industriali del Paese, infatti, la “categoria”, quale proiezione identitaria del gruppo che si autodetermina [34], si è identificata con le unità negoziali (segmenti della realtà socioeconomica), definite sulla base del settore produttivo di beni o servizi. Le dinamiche in atto hanno condotto ad una frammentazione che, in parte, è proiezione dell’evoluzione del tessuto produttivo [35]. Uno dei macrosettori in cui la disintegrazione è stata maggiore è, non a caso, quello del commercio e del terziario, che si presta ad una più accentuata diversificazione. Per altro verso, invece, la segmentazione è sempre più spesso proprio l’esito di scelte opportunistiche delle parti sociali, che decidono di regolare una certa attività in modo alternativo [continua ..]

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4. Lo spazio per il recupero dell’autorità salariale della fonte autonoma

L’aspetto su cui le molteplici problematiche descritte e l’aumento dei contratti disponibili hanno un effetto destabilizzante, immediatamente tangibile, è quello salariale. È indiscutibile che sul piano reale proprio la perdita di leadership del contratto collettivo nella determinazione dei minimi retributivi [50] abbia contributo, e non di poco, ad aggravare il già preoccupante fenomeno di “impoverimento” del lavoro, da intendersi come aumento dell’in-work poverty [51]. Il lavoro “povero” non è un fatto nuovo, ma negli ultimi anni esso è in costante crescita anche in Paesi “avanzati”, tra cui l’Italia [52], che si ritrova in una situazione di stagnazione salariale di lungo periodo [53]. Qui, un sistema di relazioni industriali forte e ad alta contrattualizzazione, incentrato sul ruolo primario del contratto di categoria, era stato in grado di garantire, unitamente agli interventi giurisprudenziali di estensione dell’efficacia dei contratti, una certa armonizzazione con l’art. 36 Cost. [54]. La contrattazione aveva assicurato un minimum di tutela anche alle fasce più deboli di lavoratori, resistendo all’int­roduzione di una legislazione sui minimi [55]. I processi segnalati, invece, hanno sottratto al sistema uno strumento essenziale di riequilibrio e fissazione della retribuzione sufficiente. [continua ..]

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5. Le questioni da risolvere: la perimetrazione delle categorie contrattuali

L’adozione di meccanismi siffatti, che fanno riferimento alle determinazioni dell’autonomia collettiva, impone in ogni caso di sciogliere due nodi problematici del sistema, il primo dei quali è la necessaria definizione dei confini delle categorie contrattuali entro cui operare il confronto. Per poter adottare il contratto cosiddetto leader, anche ai sensi di un’e­ven­tua­le disciplina che disponga in tal senso, occorre preventivamente perimetrare lo spazio negoziale entro cui operare la “scelta”. Gli stessi disegni di legge in discussione fanno emergere chiaramente l’esigenza; ma si tratta di un problema ben noto da tempo, ad esempio, all’INPS e agli organi ispettivi, nella misura in cui questi sono chiamati ad operare una comparazione tra i trattamenti previsti da contratti collettivi per individuare le retribuzioni cui commisurare i contributi previdenziali, fissate dagli accordi comparativamente più rappresentativi (prima con l’art. 1, comma 1, d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito in legge 7 dicembre 1989, n. 389; poi con l’art. 2, comma 25, legge 28 dicembre 1995, n. 549) [75]. Del resto, se è vero che «l’ambito di misurazione della rappresentatività ha carattere costituivo della stessa» [76], questo passaggio è imprescindibile per limitare le incertezze che ruotano attorno alla rappresentatività, da [continua ..]

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6. La coeva necessità di misurazione della rappresentatività

In ogni caso, non si può pensare di risolvere una questione di perimetrazione, senza passare attraverso gli ampiamente dibattuti e coevi problemi legati alla rappresentatività. A rigor di logica i casi di sovrapposizione sarebbero in parte controllati se fossero il frutto di un reciproco riconoscimento tra parti sociali sufficiente coese. Tanto più, invece, le rappresentanze si sfaldano, quanto più le possibilità di sovrapposizione tra unità negoziali della contrattazione collettiva si moltiplicano. In questo contesto individuare tra i CCNL moltiplicatisi quello a cui accordare il privilegio di stabilire il paramento retributivo valido erga omnes presuppone, dunque, la definizione di criteri di misurazione della rappresentatività degli attori negoziali. La difficoltà del sistema contrattuale di regolare efficacemente le condizioni salariali rappresenta soltanto la punta di un iceberg. Alla base permane l’in­certezza della rappresentatività [91] per l’assenza di un meccanismo oggettivo di misurazione/verifica, che non sia più solo il frutto di regole-quadro negozialmente assunte a livello interconfederale. Da tempo è consolidato il ricorso alla «escogitazione linguistica intelligente e feconda» [92] del comparativamente più rappresentativo (comparso per la prima volta nell’art. 2, comma 25, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 [continua ..]

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NOTE

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