Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Sciopero e contratto collettivo: l'irriducibile dualità del fenomeno sindacale (di Francesco Di Noia, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro nell’Università di Foggia)


Il contributo ha ad oggetto le interconnessioni e le reciproche influenze che nel nostro ordinamento caratterizzano lo sciopero e il contratto collettivo e, quindi, il conflitto e l’au­tonomia collettiva: le due “anime” del fenomeno sindacale. La riflessione prende le mosse dai problemi teorici emersi nell’analisi dottrinale sullo sciopero e sui limiti ad esso imposti dalla dinamica contrattuale e prosegue attraverso l’analisi della prassi negoziale, al fine di comprendere le soluzioni concretamente sperimentate dall’autonomia collettiva, con attenzione particolare agli accordi stipulati negli ultimi anni nel settore industriale.

Strike and collective agreement: the irreducible duality of the trade union phenomenon

This essay focuses on the interconnections between the right to strike and the collective agreement, which represent the two "souls" of the trade union phenomenon: conflict and collective autonomy. After highlighting some theoretical problems relating to strikes and the limits imposed on them by contractual dynamics, the paper analyses collective bargaining practices in order to grasp the solutions concretely experimented by collective autonomy, with particular regard to the agreements stipulated in recent years in the industrial sector.

Keywords: strike – collective agreement – interconfederation agreement

 

SOMMARIO:

1. Sciopero e contratto collettivo: il piano d’indagine - 2. Contratto e obbligo (implicito) di pace sindacale - 3. Conflitto e clausole di tregua: i problemi teorici … - 4. … e la prassi negoziale - 5. Esigibilità del contratto e disponibilità dello sciopero negli accordi interconfederali del settore industriale (2011-2014) - 6. Sciopero e contratto collettivo: le due “anime” del fenomeno sindacale - NOTE


1. Sciopero e contratto collettivo: il piano d’indagine

Sciopero e contratto collettivo: è questo il polo dialettico su cui si snoda la presente riflessione che, già nella sua dimensione semantica, comprende in una dinamica circolare [1] il “fenomeno sindacale”, come riconosciuto nel nostro assetto costituzionale e poi anche nelle fonti sovranazionali. È la stessa Costituzione a stabilire un rapporto stretto tra libertà di organizzazione sindacale (e, quindi, di contrattazione collettiva) e diritto di sciopero [2]. Ed è il Giudice delle leggi, nella sua prima sentenza in materia, ad affermare l’interrelazione tra gli artt. 39 e 40 Cost., che insieme sarebbero «espressione unitaria del nuovo sistema» costituzionale [3]. Stesso rapporto di connessione e interdipendenza sembra cristallizzato nella dimensione “sovranazionale” (sub specie euro-unitaria) e, in modo particolare, nella Carta di Nizza, ove all’art. 28 si afferma che «i lavoratori e i datori di lavoro o le rispettive organizzazioni sindacali hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interesse, ad azioni collettive e per la difesa dei loro interessi, com­preso lo sciopero» (corsivo mio). Sciopero e contratto di categoria, dunque, sono geneticamente connessi e oggi entrambi in trasformazione (e, per alcuni aspetti, in declino) [4], l’uno per effetto della mutazione epidermica del lavoro e del conflitto [5] e l’altro in virtù di una pluralità fenomenica (rottura dell’unità dei sindacati confederali, fuga dall’associazionismo datoriale, pratiche di “disintermediazione”, proliferazione dei contratti nazionali e aziendalizzazione delle relazioni collettive) [6] che ha fatto emergere tutti i limiti dell’ordinamento sindacale meta-costituzionale [7]. Si tratta di una endiadi, quella tra autotutela e autonomia collettiva, che si presta a una pluralità di analisi e approfondimenti, a partire dai gangli vitali delle relazioni di lavoro e, più in generale, della democrazia industriale. Due elementi che, in questa indagine, verranno osservati per indagarne punti di contatto e influenza reciproci. Punto d’avvio della riflessione è, quindi, il [continua ..]


2. Contratto e obbligo (implicito) di pace sindacale

Dalla stipula di un contratto collettivo scaturisce un obbligo di pace sindacale? Tale quesito condensa i termini di un dibattito dottrinale risalente (eppure sempre attuale) sul rapporto tra sciopero e contratto collettivo, ovvero sulla capacità ontologica del contratto di anestetizzare il conflitto (e quindi lo sciopero) durante la sua vigenza. «Patto viene da pace, una pace che si realizza col contratto, ed è destinata a durare quanto dura il contratto, se si tratta di un contratto di durata»: così scrive Francesco Santoro Passarelli agli inizi del decennio ’70 del secolo scorso [9], a proposito del dovere di pace scaturente dalla conclusione del contratto collettivo e ad esso inscindibilmente connesso anche sul piano temporale: «una pace, che è una tregua, proprio perché legata alla durata del contratto». Il dovere di pace, gli fa eco Luigi Mengoni, è proprio la contropartita del­l’obbligo per il datore di lavoro di applicare determinati trattamenti in favore dei lavoratori. I datori di lavoro, infatti, con la firma del contratto «si attendono un vantaggio in cui consiste la ragione giustificativa delle concessioni che essi fanno alla controparte». Un vantaggio rintracciabile nella fissazione di una «base ragionevolmente affidabile per il calcolo dei costi di produzione», il cui «strumento di tutela giuridica» è proprio il dovere di pace [10]. Affermando, invece, l’ammissibilità dello sciopero nel periodo di vigenza di un contratto collettivo – sosteneva già quindici anni prima lo stesso A. – si «verrebbe a negare il principio della obbligatorietà giuridica dei contratti collettivi, e quindi a frustrare la funzione di pacificazione sociale di questi» [11]. Del resto, per Mengoni «il momento del conflitto degli interessi unilateralmente o bilateralmente collettivi è un momento eccezionale e patologico, laddove il momento normale e non patologico consiste, nei rapporti industriali, nella armonizzazione dei conflitti e, in una parola, nella «pace» sinda­cale» [12]. Tali posizioni, com’è noto [13], erano debitrici delle riflessioni sviluppate agli inizi del XX° secolo da Ugo Sinzheimer che, a proposito dell’esperienza tedesca (caratterizzata da una specifica disciplina legislativa sul [continua ..]


3. Conflitto e clausole di tregua: i problemi teorici …

La stessa dottrina che nega l’esistenza di un obbligo implicito di pace sindacale, come si è visto, ammette la possibilità che nell’ambito del contratto col­lettivo possano essere previste clausole espresse di tregua: pattuizioni volte a impegnare le organizzazioni sindacali a non fare ricorso all’azione diretta (clau­sole di tregua “standard”) o a regolare il conflitto mediante procedure di tipo conciliativo o arbitrale (clausole di tregua c.d. «procedurali») [29]. Con qualche isolata eccezione [30], gli studiosi sono ampiamente concordi nel ritenere legittime tali clausole. Alla sostanziale unanimità sulla loro liceità, però, fa da pendant la divergenza sulla loro efficacia soggettiva e, quindi, sui destinatari dell’obbligo. A chi sostiene l’efficacia (obbligatoria) nei confronti delle sole associazioni sindacali [31], si contrappone chi ritiene che le clausole di tregua vincolino anche i singoli lavoratori (efficacia normativa) [32]. Una differenza non da poco, atteso che l’una e l’altra soluzione hanno evidenti ricadute sul piano sanzionatorio: nel primo caso, infatti, il datore di lavoro può avanzare una richiesta di risarcimento dei danni nei confronti delle organizzazioni sindacali, mentre nel secondo può esercitare il potere disciplinare sui lavoratori. Com’è evidente, il problema degli effetti delle clausole di tregua si sovrappone con quello della titolarità del diritto di sciopero che, complice la formula «ellittica e sintetica» cristallizzata in Costituzione [33], ha sempre dato la stura a differenti «modelli dogmatico-precettivi» [34], a cui corrispondono altrettante visioni del conflitto e dell’autonomia collettiva. Il dibattito sulla titolarità del diritto di sciopero [35] vive uno dei momenti di maggiore fermento subito dopo l’entrata in vigore della Costituzione, quando ancora si discute dell’approvazione della legge sindacale che avrebbe dovuto completare il percorso immaginato dai costituenti negli artt. 39 e 40 [36]: un modello che ruota attorno all’«organizzazione sindacale», nel cui ambito è destinata a svolgersi sia l’attività contrattuale e sia lo sciopero «come funzione» della prima [37]. In questa fase prevalgono le [continua ..]


4. … e la prassi negoziale

Esaminati sul piano teorico alcuni dei nodi sottesi alle clausole di tregua, la risposta ai quesiti “aperti” non può che arrivare dall’analisi dei concreti processi negoziali e dall’interpretazione della effettiva volontà dei contraenti [65]. La prassi negoziale – non solo del nostro Paese [66] – restituisce allo studioso del diritto sindacale una molteplicità di esempi di tali clausole, a dimostrazione che la regolamentazione del conflitto è da sempre “materia contrattuale”. L’impegno espresso a non scioperare e a dare attuazione a quanto convenuto pattiziamente è presente sin dalle prime esperienze contrattuali. Si pensi, ad esempio, a quanto previsto gli inizi ’900 in uno dei primi accordi aziendali stipulati nella nascente industria automobilistica, in cui si rinviene una clausola di pace “assoluta” in cambio della stabilizzazione delle condizioni normative per la vigenza del contratto e l’obbligo per l’imprenditore di assumere solo lavoratori iscritti al sindacato stipulante (clausola c.d. di closed shop) [67]. Tale clausola è sicuramente collocabile nella parte obbligatoria del contratto collettivo [68], atteso che per la violazione dell’obbligo risponde l’organizza­zione sindacale con il risarcimento dei danni derivanti all’azienda, alla cui garanzia il sindacato si impegna a versare una cospicua cauzione. Peraltro, la violazione della tregua oggetto di sanzione è solo quella addebitabile all’organizzazione sindacale per l’eventuale azione diretta di cui è promotrice nei confronti dell’impresa e non anche quella a cui prende parte il singolo lavoratore, magari aderendo a uno sciopero proclamato da un altro soggetto sindacale o dall’organizzazione di appartenenza in un contesto extra-aziendale. È quanto sembra emergere dal suddetto contratto, allorché si precisa che «non sarà però causa di conflitto, né di risoluzione del contratto presente, la astensione dal lavoro, causata in uno sciopero generale della classe lavoratrice in Torino» (corsivo mio) [69]. Clausole di tregua in cambio di migliori condizioni normative per i lavoratori. Ma anche come contropartita per la legittimazione della contrattazione decentrata, come è avvenuto con il Protocollo [continua ..]


5. Esigibilità del contratto e disponibilità dello sciopero negli accordi interconfederali del settore industriale (2011-2014)

L’esigenza di garantire «affidabilità» [95] e «certezza alle scelte operate d’in­tesa fra aziende e sindacati» [96] è alla base degli accordi “unitari” stipulati dalle parti sociali nel settore industriale tra il 2011 e il 2014 [97]. Questo composito processo di autoregolazione, proseguito negli anni successivi con l’approvazione di un altro importante accordo nel 2018 [98], ha impresso una forte istituzionalizzazione al sistema di relazioni industriali e, come largamente riconosciuto, il suo obiettivo è l’esigibilità dei contratti stipulati, ovvero l’intangibilità dei loro contenuti, ritenuta un valore sia sul piano del­l’organizzazione aziendale e sia su quello, più generale, della effettività della disciplina convenzionale. L’esigibilità, quindi, come «strumento proprio dell’ordinamento intersindacale che legittima e presidia ciò che nell’ordinamento statuale non sarebbe possibile garantire» [99]: l’interesse dell’azienda al rispetto del contenuto contrattuale da presidiare in primo luogo con l’impegno a non alimentare il conflitto [100]. A tal fine, le parti convengono, da un lato, di prevedere nei ccnl clausole di pace sindacale per garantire «l’esigibilità degli impegni assunti con il contratto collettivo nazionale di categoria e prevenire il conflitto» [101] e, da un altro, di «determinare le conseguenze sanzionatorie per gli eventuali comportamenti attivi od omissivi che impediscano l’esigibilità» [102]. Queste disposizioni, si precisa nel testo, riguardano «i comportamenti di tutte le parti contraenti» [103] e prevedono «sanzioni, anche con effetti pecuniari», dalle quali può derivare «la temporanea sospensione di diritti sindacali di fonte contrattuale e di ogni altra agibilità derivante dalla presente intesa» [104]. Ma non è tutto. Alle descritte pattuizioni se ne aggiunge un’altra, secondo cui i contratti aziendali contenenti tali clausole sono vincolanti, «oltre che per il datore di lavoro, per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori nonché per le associazioni sindacali espressione delle confederazioni sindacali firmatarie del presente [continua ..]


6. Sciopero e contratto collettivo: le due “anime” del fenomeno sindacale

A valle di questo excursus, quali conclusioni è possibile trarre sul rapporto tra sciopero e contratto collettivo? In primo luogo, l’impressione di carattere generale è che, in mancanza di sicuri (e rassicuranti) riferimenti normativi, l’approccio ai grandi temi del diritto sindacale, come quelli affrontati nel presente contributo, possa provocare nello studioso un senso di smarrimento. Molti dei nodi teorici ad essi sottesi sono legati a filo doppio con le variabili interpretative alle quali spesso la dottrina è pervenuta, ora mutuando tecniche e modelli da altre branche del diritto, ora attingendo a un po’ di fantasia. Espedienti utili per “fissare” in un determinato momento storico il fenomeno sindacale ma destinati a scontrarsi brutalmente con la sua cangiante morfologia. Del resto, non si può che convenire con chi ha descritto il diritto sindacale italiano come quel «settore franoso dell’ordinamento giuridico dove sembra impossibile edificare senza pericolo di crolli rovinosi, dove niente è scontato e tutto è reversibile, dove la stessa precarietà è una condizione per esistere e durare» [112]. In questo quadro s’inserisce il rapporto tra sciopero e contratto collettivo, dove emergono tutte le fragilità e le incertezze di un sistema che si fonda sui principi affermati dalla Costituzione, le regole del diritto dei privati e le concrete dinamiche pattizie. A svolgere un ruolo razionalizzante è chiamata da sempre la dottrina, sulle cui spalle si regge il difficile equilibrio tra diritti, quello di sciopero e quello di libertà sindacale, che vanno letti in rapporto di funzionalità biunivoca, laddove il primo “serve” al secondo e viceversa. È in questa prospettiva, ad esempio, che andrebbe affrontato il dibattito sulla titolarità del diritto di sciopero, giacché la scelta sulle opzioni in campo si risolve in una scelta sui principi. Affermare la tesi della titolarità collettiva, ad esempio, significa far prevalere la libertà contrattuale dell’organizzazione sul diritto di sciopero del singolo [113], che è l’arma ultima del lavoratore per manifestare il suo dissenso anche nei confronti dello stesso sindacato [114]. Al contrario, sostenere la tesi della titolarità individuale, non esclude la libertà [continua ..]


NOTE