Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Contratti di categoria e contratti “pirata” (di Pasquale Passalacqua, Prof. Ordinario di diritto del lavoro dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale)


Il contributo indaga sul fenomeno dei cd. contratti collettivi “pirata”. Una volta definita la valenza della formula, si passa all’analisi del discusso criterio selettivo della “rappresentatività comparata” per individuare il contratto cd. leader. Nel contesto attuale della frammentazione della parte datoriale, l’autore propone di dare maggiore rilievo al dato di effettività dell’applicazione del contratto collettivo. L’indagine si sposta a questo punto alle prospettive de iure condendo per la certificazione della categoria contrattuale. Dopo aver vagliato le varie proposte, l’autore opta per quella favorevole all’intervento di un’autorità indipendente, esplicitandone i possibili meccanismi, nonché, poi, le conseguenze.

Collective trade agreements and “pirate” collective agreements

The paper investigates the phenomenon of cd. “pirate” collective agreements. Once the value of the formula has been defined, we move on to the analysis of the discussed selective criterion of “comparative representativeness” to identify the so-called contract leader. In the current context of the fragmentation of the employer part, the author proposes to emphasize the application of the collective agreement. The investigation moves at this point to the de iure condendo perspectives for the certification of the contractual category. After examining the various proposals, the author opts for the one in favor of the intervention of an independent authority, explaining the possible mechanisms, as well as, then, the consequences.

Keywords: collective trade agreements – “pirate” collective agreements

SOMMARIO:

1. L’emersione dei contratti pirata nell’attuale contesto delle relazioni sindacali - 2. Si fa presto a dire “pirata”: la ritenuta rilevanza della formula nel quadro della contrattazione collettiva “delegata” o “individuata” dalla legge - 3. L’individuazione della categoria contrattuale nel perdurante paradigma della libertà sindacale - 4. La novità della frammentazione della controparte datoriale: perdita di unitarietà della categoria contrattuale e moltiplicazione dei campi di gioco - 5. L’individuazione del contratto leader e dei contratti “pirata” nel­l’attuale sistema retta sul criterio selettivo della “rappresentatività comparata” - 6. Segue. Dalla complicazione sul lato datoriale alla rilevanza del dato di effettività dell’applicazione del contratto collettivo - 7. Le prospettive de iure condendo. L’individuazione degli attori coinvolgibili nel processo di certificazione della categoria contrattuale: a) il problematico loop autoreferenziale dell’affidamento agli accordi interconfederali - 8. b) i limiti intrinseci di un intervento eteronomo anche attraverso un decreto ministeriale - 9. c) la preferibile opzione per l’intervento di un’autorità indipendente - 9.1. Qualche spunto sulla possibile procedura - 9.2. L’eventuale fase di opposizione alla certificazione - 9.3. La complicazione del contratto collettivo aziendale di primo livello - 10. Le conseguenze della certificazione della categoria contrattuale - NOTE -


1. L’emersione dei contratti pirata nell’attuale contesto delle relazioni sindacali

Se il contratto (collettivo) di categoria è il tema prescelto dalla Rivista, nel presente contributo l’elemento di relazione è quello dei cd. contratti collettivi “pirata”. Il focus dell’indagine è pertanto quello di declinare le istanze di selettività implicate dalla stessa formula convenzionale dei contratti “pirata” nel contesto della categoria contrattuale [1]. Al contempo, l’omogeneità del tema implica affrontare alcuni passaggi comuni anche agli altri saggi allo stesso qui dedicati [2]. Guardando allo scenario, da tempo si parla ormai di superamento di quello che è stato l’ordinamento intersindacale, inteso quale sistema ordinato in cui le parti sociali trovavano i loro equilibri prima ancora che con riferimento ai ter­mini di stipula degli accordi, con riguardo al quadro organizzativo della contrattazione, che si svolgeva secondo regole e prassi condivise. Oggi, invece, si avverte la forte difficoltà del contratto collettivo di categoria, ridotto a frutto soltanto di isolato punto di convergenza per soddisfare esigenze contingenti, di rappresentare come un tempo strategie complessive, in un’ottica collaborativa che pare essersi persa [3]. L’accresciuta diversificazione delle attività produttive comporta invero un’accentuata disgregazione e frammentazione degli interessi sia dei lavoratori che delle imprese, di certo acuita dall’incerto quadro regolativo sulla rappresentatività e sulla struttura della contrattazione collettiva; ne deriva un diretto impatto anche sulle categorie merceologiche (di cui viene meno l’ubi consistam) e sui loro confini, sempre più incerti e mutevoli [4], dove si muovono nuo­ve aggregazioni di imprese sia per la ricerca di nuovi margini di costo e di flessibilità, ma anche per fondare la propria azione rappresentativa in nuove aree produttive [5]. In un quadro di contesto così eterogeneo, il giuslavorista che tenti di analizzare il sistema in atto non può non considerare che nelle reali dinamiche quotidiane, al prevalente fine di ridurre i costi per il personale, le imprese si vedono suggerire da vari consulenti di applicare contratti collettivi diversi da quelli “classici” firmati dalla triplice, anche al di fuori delle consuete categorie contrattuali. Il fenomeno, noto come “shopping [continua ..]


2. Si fa presto a dire “pirata”: la ritenuta rilevanza della formula nel quadro della contrattazione collettiva “delegata” o “individuata” dalla legge

Una precisazione a questo punto si impone. In mancanza di una qualificazione da parte del legislatore il termine “pirata” riferito ai contratti collettivi può essere declinato, a nostro avviso, in almeno tre accezioni. Secondo la prima, che definiremmo più esiziale, per accordo “pirata” può intendersi una pattuizione che non soddisfi le regole basilari, ontologiche del contratto collettivo, quanto ai soggetti stipulanti, che dal lato datoriale come da quello sindacale dei lavoratori non possano assumere la veste di soggetti rappresentativi. Basti pensare da un lato a organizzazioni datoriali esistenti solo sulla carta e dall’altra a equivalenti sindacati fantasma o, anche, a sindacati da considerare di comodo ex art. 17 St. Allo stesso modo, l’accordo può risultare privo dei requisiti di contenuto tipici del contratto collettivo, in quanto ad es. volutamente teso a prefigurare elusioni sostanziali della normativa vigente [8]. In questi casi viene a mancare, come si è già notato in passato, la c.d. “fattispecie sindacale” [9], tanto che l’accordo con quelle rilevate e insormontabili carenze non può essere ritenuto abilitato a svolgere qualsivoglia funzione di regolazione di rapporti di lavoro [10]. In una seconda e già più circoscritta accezione, il termine può valere a individuare contratti collettivi comunque veri e genuini, ma che non rispettino le regole poste dalle stesse parti sociali sull’individuazione dei soggetti stipulanti, come quelle declinate dal TU rappresentanza del 2014, o quelle solo tratteggiate per i datori di lavoro dall’Accordo interconfederale del 2018. Tuttavia, in un sistema retto dalla libertà sindacale, quei contratti non possono tecnicamente definirsi “pirata”, come peraltro di fatto è dimostrato dalla sinora scarsa sequela dei citati accordi interconfederali. E allora, in una terza ancora più delimitata prospettiva, preferiamo considerare qui la formula con riferimento soltanto ai casi in cui vi sia la necessità di operare una scelta tra contratti collettivi imposta espressamente dal legislatore, dove il contratto collettivo “pirata” è quello che non superi quella selezione. Si tratta, come noto, dei casi in cui il legislatore opera un rinvio al contratto collettivo stipulato da agenti contrattuali [continua ..]


3. L’individuazione della categoria contrattuale nel perdurante paradigma della libertà sindacale

La ricerca del contratto leader e del o dei suoi relativi contratti “pirata”, nell’accezione qui preferita e assunta a termine dell’indagine, va dunque sviluppata con molta attenzione su un piano necessariamente dinamico, attento a considerare le evoluzioni delle relazioni collettive, con assetti fisiologicamente non fissi, ma fluttuanti, comunque nella prospettiva garantita dal principio di libertà sindacale di cui all’art. 39, comma 1, Cost. Sul punto si è consapevoli dei rilievi di chi, in una comprensibile visione evolutiva, di fronte alla mancata attuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost. rimarca l’emersione di una sorta di iperattuazione [12] del primo comma della norma sulla libertà sindacale o di esaltazione della sua dimensione contenutistica [13], che rischia di produrre effetti paralizzanti [14], rispetto a sempre più attese risposte da parte del legislatore ordinario [15]. Al contempo, tuttavia, si tratta di un principio fondante, che non pare possa essere facilmente eluso o pretermesso, con il quale, quindi, occorre sempre fare i conti [16]. Va a questo punto precisato che la presente indagine si riferisce alla categoria contrattuale, ovvero all’ambito entro il quale si stipula quel determinato contratto collettivo, da non confondere con la categoria sindacale, che attiene, invece, all’ambito di organizzazione del sindacato per rappresentare determinati interessi professionali (es. le federazioni). Nel quadro della libertà sindacale la categoria sindacale può di certo coincidere con la categoria contrattuale, ma potrebbe anche essere più ampia di questa oppure sussistere la situazione opposta [17]. In una tale prospettiva, la cd. autodeterminazione della categoria contrattuale – quale “componente normativa del sistema” [18] – va ancora oggi a nostro avviso considerata non solo un diretto corollario di quel principio, ma anche un elemento di ricchezza del sistema [19]. In questa sede infatti, l’esigenza emer­gente (ma in realtà ciclica nel nostro diritto sindacale) di porre ordine al caos, in relazione proprio all’individuazione della categoria contrattuale, viene considerata e vagliata, anche nella prospettiva di una perimetrazione della categoria che possa avvenire tramite un’attività di certificazione della [continua ..]


4. La novità della frammentazione della controparte datoriale: perdita di unitarietà della categoria contrattuale e moltiplicazione dei campi di gioco

Oggi le questioni qui affrontate acquistano maggiore pregnanza allorché si disgrega la storica unitarietà della rappresentanza datoriale. Il fenomeno va calato nel più generale quadro di contesto, in cui assistiamo a un’accentuata proliferazione dei contratti collettivi. Secondo i dati recenti disponibili, si tratta di un fenomeno in crescita esponenziale proprio negli ultimi anni, in cui si registra un incremento del numero dei contratti collettivi nazionali di categoria del 74% dal 2010 al 2017 [22]. I CCNL vigenti depositati al CNEL sono 935 al 31 dicembre 2020 [23]. Le parti sociali hanno provato, soprattutto a partire dal 2008, tramite accordi interconfederali a prospettare la riduzione del numero dei contratti favorendo l’accorpamento delle categorie contrattuali, ma quegli auspici e dichiarazioni di intenti hanno portato frutti in pochi settori [24], come testimoniato dai dati appena forniti. In un tale contesto vi sono diverse associazioni datoriali di più recente emersione che contrattano in relazione a quella medesima storica categoria contrattuale, come anche compagini datoriali che delineano, attraverso la stipula di nuovi contratti collettivi, categorie contrattuali diverse, spesso più circoscritte rispetto alla prima [25]. Non deve, allora, sorprendere che in un simile scenario le tradizionali organizzazioni sindacali storicamente rappresentative, Cgil Cisl e Uil chiedano di recente, nell’Accordo interconfederale del 2018 un intervento del legislatore, volto anche a porre argine al fenomeno della disgregazione della rappresentanza sindacale, ma ancor di più datoriale [26]. La ciclica ansia regolatoria va tuttavia vagliata con molta ponderazione a causa degli effetti perversi che potrebbe produrre. Il pericolo di regole calate dall’alto è qui quantomai presente, anche per il fatto che la prospettiva di un’analisi che parta dalla realtà concreta delle relazioni industriali risulta generalmente avvertita, insieme tuttavia al rilevato rischio che venga poco praticata o poco alla fine considerata, nella prospettiva di individuare le regole tese a governare questi fenomeni [27].


5. L’individuazione del contratto leader e dei contratti “pirata” nel­l’attuale sistema retta sul criterio selettivo della “rappresentatività comparata”

Posto il problema anche in relazione all’emergente questione della frammentazione del fronte datoriale, occorre volgere l’attenzione agli attuali strumenti presenti nel sistema, che tuttora si affida ai ricordati filtri selettivi di rappresentatività per individuare il contratto leader e, così, gli eventuali intrusi, o contratti pirata. Invero, fino a tempi recenti i filtri di selettività (maggiormente rappresentativo e, poi comparativamente più rappresentativo) si rivolgevano solo alla compagine contrattuale sindacale, sull’implicito presupposto dell’unitarietà o della unicità della compagine o rappresentanza datoriale, come ribadito dalla previsione divenuta generale declinata dall’art. 51, d.lgs. n. 81/2015 [28], senza alcun riferimento alla categoria, che resta in ombra. Si tratta comunque di una formula non esente da critiche, comunque non “spiegata” dal legislatore. Al fine di decodificarla si sono così, in sintesi, proposti i consueti criteri storici presuntivi di accertamento della rappresentatività prima solo “maggiore”, poi “comparata” (ampiezza e diffusione territoriale e categoriale delle strutture organizzative, numero degli iscritti, interlocuzione con i pubblici poteri ecc.); si è fatto altresì riferimento a una rappresentatività “quantificata”, sulla base dei criteri dettati in generale dal TU del 2014 (mix di dato associativo e dato elettorale), ma apprezzabile a monte della stipula del contratto collettivo, come dato, a nostro avviso, comunque potenziale; si propone poi di considerare una rappresentatività “verificata”, desunta dal modello dell’art. 19 St., legata alla sottoscrizione del contratto collettivo applicato in azienda o, anche, alla partecipazione attiva alle trattative per la stipula di quel contratto, come indicato da Corte Cost. n. 231/2013 [29]. In ogni caso, non si deve a mio avviso aver timore di rimarcare, per incidens, che l’intervento in materia delle interpretazioni ministeriali tramite circolari, rappresenti una risposta inadeguata [30], o, ancora, una deriva difficilmente tollerabile [31]; al limite può valere come stimolo a risolvere il problema per altre vie. Prima di valutare la tenuta attuale di tali posizioni interpretative, quella formula generale ex art. 51, d.lgs. [continua ..]


6. Segue. Dalla complicazione sul lato datoriale alla rilevanza del dato di effettività dell’applicazione del contratto collettivo

A questo punto, a nostro avviso, la complicazione data dalla selezione sul lavoro datoriale fa emergere la necessità di valorizzare ai fini dell’apprezza­mento del requisito della rappresentatività comparata il dato di effettività, rappresentato dal tasso di applicazione in concreto del contratto collettivo, che, invece, con riferimento alla selezione sul solo versante della parte sindacale assume minore rilevanza. Si tratta di un criterio – come notato già proposto tra quelle decodificativi della formula della rappresentatività comparata [36] – che ha piena legittimità nel nostro ordinamento, declinato quale requisito di accertamento della rappresentatività ai fini della costituzione delle Rsa, ex art. 19, comma 1, lett. b), come validato dalla Corte costituzionale a più riprese [37]. Il criterio che si richiama all’effettività del tasso di applicazione in concreto del contratto collettivo può contribuire a valutare la situazione in cui le imprese di un determinato settore o categoria contrattuale applicano in misura prevalente un determinato contratto stipulato con sindacati che in quelle aziende abbiano un radicamento inferiore ad altri. Se in questo caso il confronto si svolge tra due o più contratti collettivi che insistono nella medesima categoria contrattuale, allora a prevalere dovrà essere quello stipulato da organizzazioni datoriali e sindacati dei lavoratori insieme comparativamente più rappresentative. In questo caso il dato di effettività si può tradurre nel relativo grado di applicazione in concreto di quei contratti collettivi da parte delle imprese. Anche qui in via incidentale possiamo cogliere l’occasione per osservare che il richiamo all’effettività dell’azione sindacale consente, a nostro avviso, di stemperare la stanca contrapposizione formalistica volta a rimarcare le apparenti distanze nelle due distinte formule utilizzate dal legislatore in tema di rinvii alla contrattazione collettiva, ovvero tra quella che si riferisce a contratti stipulati “da” e quella che, invece, seleziona quelli stipulati “dalle” organizzazioni sindacale comparativamente più rappresentative. In una simile prospettiva, ancorata al dato letterale, mentre nella prima for­mulazione sarebbe sufficiente a integrare la previsione legale [continua ..]


7. Le prospettive de iure condendo. L’individuazione degli attori coinvolgibili nel processo di certificazione della categoria contrattuale: a) il problematico loop autoreferenziale dell’affidamento agli accordi interconfederali

La oramai condivisa centralità del tema della perimetrazione della categoria trova evidente riscontro nei recenti contributi concernenti il nostro sistema di contrattazione collettiva, dove vengono espresse diverse proposte progettuali. Prima ancora di passare a un loro sintetico vaglio, proviamo a esprimere una sensazione di carattere generale. Il tema dell’individuazione della cd. Bargaining Unit ai fini della contrattazione è questione arcinota e affrontata in tanti ordinamenti nazionali, a partire da quello USA da cui il riferimento [49]. Tuttavia, proprio i diffusi riferimenti alle esperienze estere [50] sembrano valgano a rimarcare la complessità e la delicatezza della questione, che trova in ciascun contesto soluzioni peculiari, ben difficilmente trasponibili in altri e, in particolare, in quello nazionale italiano, nel quale si incontrano particolari difficoltà. In generale de iure condendo pare possano delinearsi due linee progettuali. Da una parte vi sono complesse e generali soluzioni, volte a definire un quadro regolatorio in toto della contrattazione collettiva, che passano anche per la abrogazione o modifica dell’art. 39 Cost [51]. Dall’altra parte le diffuse difficoltà insite nel primo percorso, inducono a prospettare interventi il più possibile leggeri, anche per non burocratizzare il sistema e ingessare la fisiologica evoluzione delle relazioni contrattuali. In questa sede, consapevoli della varietà dei percorsi possibili, decidiamo – anche per restare fedeli al campo della presente indagine – di limitarci alla prospettiva minor, volta all’analisi dei progetti che toccano direttamente il tema della categoria contrattuale a costituzione invariata, anche estrapolate da progetti di più ampio respiro. Date le premesse, vanno vagliate innanzitutto le proposte, note e discusse, che intravedono la possibilità per la legge di affidare l’individuazione della categoria contrattuale ad accordi interconfederali, animate dalla condivisibile prospettiva del rispetto della autoregolazione collettiva anche in riferimento alla determinazione dell’ambito della contrattazione. In ordine cronologico, ci si limita al vaglio delle proposte di regolazione presentate dalla rivista Diritti lavori e mercati, dal gruppo Freccia Rossa, poi dalla Cgil [52], nonché di quanto [continua ..]


8. b) i limiti intrinseci di un intervento eteronomo anche attraverso un decreto ministeriale

Analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo a prospettive volte ad affidare la certificazione della categoria contrattuale a un decreto ministeriale. La sensibile idiosincrasia sistemica rispetto all’intervento del legislatore è, ad esempio, in un certo senso dimostrata dalla lettura che la giurisprudenza offre della complessa normativa sugli appalti pubblici, proprio in relazione alle disposizioni che parrebbero imporre alle imprese appaltanti il rispetto di standards retributivi legati all’effettiva categoria contrattuale [66]. La giurisprudenza non parla invero qui di applicazione necessaria del contratto leader, che solleverebbe non poche perplessità, fino a dubbi di costituzionalità della norma, ma, invece, di garanzia della libera scelta del contratto, pur nel rispetto dei parametri previsti [67]. Insomma, la proposta di attribuire alla legge l’identificazione del perimetro di rilevazione della rappresentanza, o anche i soli criteri strumentali alla loro identificazione [68], finirebbe con entrare in evidente conflitto con il principio di libera autonoma determinazione della categoria, riproponendo in sostanza un modello simile a quello delineato dall’art. 2070 c.c., nel quadro del quale la categoria è determinata in via eteronoma [69]. A questo punto – nella consapevolezza che il tema dei minimi retributivi merita un’attenzione che esula dall’economia del presente contributo – per inciso possiamo osservare che anche il recente disegno di legge Catalfo del 2018 sull’istituzione del salario minimo orario [70] non risulti immune da simili critiche. Invero, in quel progetto il parametro esterno di commisurazione della retribuzione sufficiente è individuato in quella determinata dal contratto collettivo nazionale stipulato da associazioni dei datori e dei lavoratori più rappresentative. Per l’individuazione della categoria il disegno di legge detta poi una regola generale, in quanto si fa riferimento al contratto “il cui ambito di applicazione sia maggiormente connesso e obiettivamente vicino in senso qualitativo, anche considerato nel suo complesso, all’attività svolta dai lavoratori anche in maniera prevalente” [71], nel quale poi in caso di pluralità di contratti collettivi nazionali applicabili andrebbe individuato il contratto [continua ..]


9. c) la preferibile opzione per l’intervento di un’autorità indipendente

Se un intervento legislativo desta forti perplessità sia con riguardo a un affidamento selettivo alle parti sociali della certificazione della categoria contrattuale, sia della direzione di un intervento tramite decreto ministeriale, va vagliata la plausibilità di una terza linea progettuale, volta all’affidamento di un tale processo a un’autorità amministrativa indipendente [78]. Troviamo riscontri di una prospettiva del genere, come già evidenziato, nel progetto della Rivista Diritto Lavori Mercati, dove, l’intervento della ivi definita “autorità garante” è prefigurato in via suppletiva, come nel modello delineato dalla l. n. 146/1990 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, cioè solo in caso di inerzia delle parti [79]. Un’opzione del genere, tuttavia, ci riporta alle perplessità sopra palesate in ordine all’affidamento a monte di un tale processo ad accordi interconfederali tra soggetti a quel livello rappresentativi. A nostro avviso, quindi, occorre valutare la percorribilità di un intervento affidato dalla legge in via principale univoca a un’autorità indipendente. Questa, anche a fini esemplificativi, potrebbe anche essere lo stesso CNEL, che, come noto, già attraverso l’archivio dei contratti collettivi ha la possibilità di avere il quadro della situazione [80]. Occorre al contempo precisare che in ogni caso dovrebbe essere appunto garantita la natura indipendente del soggetto deputato, come avviene per il caso della Commissione di Garanzia ex legge n. 146/90, nel quale cioè i componenti non vengano designati dalle parti sociali, come, invece, pare presupposto in una Commissione paritetica [81]; altrimenti il già palesato rischio prima definito di loop autoreferenziale o, se si vuole, di circolarità viziata, si riproporrebbe anche rispetto a una tale opzione [82]. A quel punto immediatamente paiono aprirsi altre due strade. Si può cioè valutare di affidare direttamente all’autorità indipendente il compito di delineare e certificare le categorie contrattuali, oppure lasciare alle parti interessate la scelta e, quindi, l’onere di inoltrare apposita domanda volta a ottenere la certificazione. La prima opzione risulta a prima vista forse più complessa sotto il profilo della compatibilità costituzionale, [continua ..]


9.1. Qualche spunto sulla possibile procedura

In entrambe le ipotesi si potrebbe partire dal riconoscimento della categoria contrattuale relativa al contratto collettivo nazionale depositato al CNEL, quale dato di realtà immediatamente emergente, preesistente alla certificazione della categoria, atto a definirne, almeno in prima battuta, i confini. Così anche la categoria più piccola ha la possibilità di emergere come tale, a garanzia del libero equilibrio realizzato su base pattizia. È in definitiva il sistema già prefigurato e applicato dal CNEL nella tenuta dell’Archivio dei contratti collettivi, dove la nozione di categoria adottata dall’archivio coincide, in sostanza, con il campo di applicazione dei contratti collettivi che vi sono depositati [83]. Un riconoscimento del genere diremmo “puro”, senza verifica del possesso di requisiti particolari da parte dei soggetti stipulanti quel contratto collettivo sembra l’azione più rispettosa della libertà sindacale. In questa ipotesi, la verifica dei requisiti di rappresentatività dei soggetti stipulanti per i casi di rinvio previsti dalla legge verrebbe effettuata solo a valle, dopo l’identificazione certificata della categoria contrattuale. Tuttavia, si è consapevoli che per tale via si rischia l’evanescenza del meccanismo, in quanto la certificazione avrebbe una capacità selettiva affidata soltanto a posteriori alla possibile opposizione di altri soggetti [84], fotografando così meramente l’esistente. Occorre, quindi, valutare la possibilità di introdurre filtri a monte del procedimento di certificazione. In questa più articolata prospettiva, la richiesta di certificazione, oppure l’avvio di questa per impulso dell’autorità, a seconda del modello prescelto, potrebbe allora provenire da un’organizzazione datoriale che abbia già un certo seguito in quell’ambito, ovvero una certa rappresentanza in concreto. Si rifletta, invero, che in questa fase a monte, l’esigenza non è ancora quella di selezionare il contratto leader (e, quindi, il o i contratti pirata), da effettuare poi a valle, attraverso le formule già dettate dal legislatore. Qui occorre soltanto verificare che la parte richiedente oppure, nella diversa ipotesi di certificazione “d’ufficio”, quella che ha stipulato il contratto collettivo che può [continua ..]


9.2. L’eventuale fase di opposizione alla certificazione

Proprio a garanzia del reale apprezzamento del grado di effettività di quel o di quei contratti collettivi identificativi della categoria contrattuale, potrebbe essere delineata altresì un’eventuale fase di opposizione alla certificazione avvenuta. Si tratterebbe di riconoscere ad associazioni datoriali o sigle sindacali dei lavoratori la possibilità di dimostrare che contratti collettivi nazionali di ambito più ampio, da questi stipulati, includano nel loro raggio di copertura anche la categoria più piccola per la quale si è stipulato il contratto collettivo solo a questa riferito; questo al fine di chiedere all’autorità indipendente di considerarla inglobata in quella più grande, che risulterebbe, in caso di accoglimento dei rilievi degli opponenti, la categoria certificata. Nell’impostazione qui seguita l’ipotesi contraria, di opposizione da parte di parti contrattuali di un contratto di ambito più ristretto, potrebbe delinearsi soltanto nell’ipotesi di certificazione a iniziativa di parte, in quanto in quella d’ufficio de plano il contratto collettivo di ambito più ristretto verrebbe preso in considerazione come minimo ambito categoriale. La necessaria coerenza con il principio di libertà sindacale pare imporre che l’onere di opporsi alla certificazione della categoria, come desunta dall’ef­fettività delle relazioni sindacali, possa e debba gravare sui soggetti che riescano a sostenere che quel contratto non sia effettivo, cioè non applicato, in quanto quell’area risulta già coperta da un altro più ampio (o, in ipotesi, al contrario, più circoscritto) ombrello contrattuale. In questa fase non sembra necessario introdurre filtri di rappresentatività in capo al solo soggetto datoriale. Invero, la legittimazione a opporsi potrebbe essere riconosciuta sia alla parte datoriale sia a quella sindacale senza filtri, giacché in questo caso la dimostrazione di effettività dell’azione di quei soggetti viene verificata e si traduce nella prova da fornire per suffragare l’opposizione. Quanto appunto alla prova della prevalenza di quel diverso contratto collettivo delineante una diversa categoria, questa può svolgersi secondo il crinale da considerare implicito anche nel quadro delle relazioni sindacali, cioè quello della [continua ..]


9.3. La complicazione del contratto collettivo aziendale di primo livello

A questo punto emerge una complicazione che non si può sottovalutare. I corollari necessitati del principio di libertà sindacale possono invero condurre alla validazione, ai fini della certificazione della categoria contrattuale, anche di contratti collettivi aziendali di primo, unico o non unico (come nel caso Fiat) livello, che nel nostro ordinamento hanno piena legittimazione. Si deve, quindi, ritenere che la categoria contrattuale possa coincidere anche con l’atti­vità produttiva svolta da una determinata impresa, che decida di adottare quel modello di contrattazione collettiva. Se questo è vero, occorre essere avvertiti del rischio di giungere per tale via alla considerazione ai fini della certificazione di quello che potremmo definire il micro contratto collettivo, cioè, nell’ipotesi limite stipulato da un singolo pic­colo imprenditore per i pochi dipendenti della sua piccola impresa. L’esigenza di porre un freno a derive del genere non può quindi essere al contempo sottaciuta. A tali fini, il concetto stesso di categoria contrattuale potrebbe essere interpretato nel senso di implicare in ogni caso il riferimento a un proprium categoriale, qui da intendere necessariamente come sviluppo e applicazione sul territorio nazionale di quella contrattazione. Anche nel caso Fiat, almeno dal punto di vista nominalistico, si è proceduto alla creazione di una nuova categoria contrattuale, ovvero il settore auto. Non si può invero non notare come una delimitazione del genere incontri coerenti riscontri nelle già diffuse ipotesi di rinvio legale alla contrattazione collettiva, dove il dato di rappresentatività, pur dove riferito anche alla contrattazione di livello aziendale o territoriale, come nel modello “generale” dell’art. 51, d.lgs. n. 81/2015, viene declinato in riferimento normalmente al contesto nazionale [87]. Quindi, in relazione alla certificazione della categoria utile poi nelle ipotesi di rinvio legale selettivo a far emergere il contratto leader, proprio in virtù della medesima ratio selettiva per i fini previsti dalla legge, un apprezzamento della categoria contrattuale in una sua declinazione solo nazionale, precisabile nella legge che dovrebbe inverare un sistema del genere, pare poter reggere sul piano sistemico. Osserviamo peraltro che in relazione al contratto aziendale, comunque la [continua ..]


10. Le conseguenze della certificazione della categoria contrattuale

Quanto alla struttura del nuovo istituto costruito sul ruolo centrale dell’au­torità indipendente si potrebbe prendere a modello quello della certificazione dei contratti di lavoro, già con successo utilizzata nel nostro ordinamento [88]. Si tratta ovviamente di un istituto come tale non trasponibile in un contesto peculiare come quello qui in esame. Al contempo, in solo parziale analogia, la certificazione della categoria contrattuale potrebbe spiegare effetti erga omnes e imporsi come tale sia nei confronti delle parti sociali, sia degli organi ispettivi, ma anche (a differenza di quello) nei confronti del Giudice. Potrebbe inoltre residuare, come nel caso della certificazione dei contratti, la possibilità di ricorso al giudice amministrativo per eccesso di potere, nei confronti della decisione dell’autorità indipendente. Una volta raggiunta la certificazione della categoria contrattuale le strade, almeno formalmente, si biforcano di nuovo. Da un lato il perimetro rappresenta il campo di gioco dove verificare il possesso dei requisiti di rappresentatività imposti dalla legge nel vasto quadro dei rinvii selettivi alla contrattazione collettiva di cui abbiamo detto. Qui la selezione vale a escludere possibili contratti in quella prospettiva definibili “pirata”, in quanto perdenti nel confronto con un altro contratto, individuabile come leader sulla base della verifica di rappresentatività. Allo stesso tempo, come già notato, il medesimo perimetro rappresenta il campo da gioco dove può spiegarsi la contrattazione libera, senza filtri selettivi imposti, e, quindi senza contratti “pirata” da escludere. Tuttavia, l’effetto di trascinamento che la contrattazione “delegata” dalla legge produce su quella libera è stato già rimarcato, tanto da indurre, se il sistema dovesse funzionare, a una progressiva convergenza su un unico contratto collettivo, formato da con­tenuti “spontanei” e contenuti “delegati” o “individuati” dalla legge. La perimetrazione della categoria contrattuale varrebbe, altresì, a porre un freno ad a volte discutibili operazioni giurisprudenziali che, in applicazione implicita o anche esplicita dell’art. 2070 c.c., sono volte a individuare la retribuzione sufficiente in quella determinata da contratti supposti leader, saltando la [continua ..]


NOTE

[1] Va precisato che la questione della concorrenza dei contratti “pirata” non si pone nell’am­bito del pubblico impiego privatizzato, dove, come noto, vi sono criteri legali di selezione degli agenti negoziali, con rappresentanza unica necessaria delle pubbliche amministrazioni in capo all’Aran. Ne deriva che il presente contributo si occupa solo del versante dell’impiego privato. [2] I nessi più evidenti paiono emergere in relazione al tema della libertà sindacale e contratto di categoria di B. DE MOZZI, Contratto di categoria e libertà sindacale: questioni attuali, in q. fascicolo, 229 ss., anche se non mancano possibili connessioni con gli altri in ordine ad aspetti più specifici, anche qui toccati, pur se in via tangenziale, ai quali si rinvia fin d’ora per i relativi aspetti. [3] E. GRAGNOLI, Esiste ancora un ordinamento intersindacale?, in F. CARINCI (a cura di), Legge o contrattazione?, Una risposta sulla rappresentanza sindacale a Corte costituzionale n. 231/2013, Adapt University press, e-book series, 2014, n. 20, 30 ss., 41 ss. [4] Cfr. G. PERONE, Guardare all’attuale crisi e al futuro del sindacato con equilibrio e lungimiranza, in Dir. lav. merc., 2012, 27, il quale, con icastica immagine, vede il sistema di relazioni sindacali poggiare in passato su strutture imprenditoriali costruite in modo saldo e interconnesso come con il meccano ed oggi, invece, su costruzioni come di Lego, scomponibili con la massima rapidità. [5] Così T. TREU, Regole e procedure nelle relazioni industriali: retaggi storici e criticità da affrontare, in Dir. rel. ind., 2020, 458 ss.; cfr. anche per l’analisi del frastagliato panorama attuale, D. GOTTARDI, La contrattazione collettiva tra destrutturazione e ri-regolazione, in Lav. dir., 2016, 877 ss. [6] A. MARESCA, Il contratto collettivo nazionale di categoria nel sistema delle relazioni industriali, in Studi in memoria di Sergio Magrini, Giappichelli, Torino, 2019, 70, per il quale il fenomeno dei contratti pirata costituisce “uno dei fattori più inquinanti del nostro sistema di relazioni industriali”. [7] Cfr. già R. SCOGNAMIGLIO, La dimensione sindacale/collettiva del diritto del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2011, I, 516. [8] Cfr. in [continua ..]