Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Verso lo Statuto dei lavoratori: il contributo di Mario Grandi al Diritto del lavoro negli anni Sessanta (di Stefano Maria Corso, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro dell’Università di Parma)


Il saggio, prendendo spunto dal cinquantenario dell’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, vuole richiamare il significativo contributo (anche critico) che il Prof. Mario Grandi ha avuto nella nascita di questo progetto e nella sua traduzione in legge. Nella rinnovata e storicizzata riscoperta dello Statuto (e dei valori costituzionali di dignità, sicurezza e libertà dei lavoratori ivi perseguiti) si ripropone, di fronte alla crescente e diversificata trasformazione delle tipologie e delle organizzazioni, l’attualità dell’impegno per la negazione della natura mercantile del lavoro. Tale impegno è a sua volta prodromico alla definizione di un quadro di regole più moderne e razionali in una realtà produttiva caratterizzata da rapidi processi di innovazione tecnologica e da accentuata concorrenza economica globale.

Towards the Workers’ Statute: Mario Grandi’s contribution to Labour Law in the 1960s

With the rethinking of this Law (and of its related constitutional values of dignity, safety and freedom of the workers), the denial of work as a commodity is reaffirmed, even in contexts of growing and diversified transformation. Moreover, it provides a useful axiological method to define a framework of more modern and rational rules in a productive reality characterized by rapid processes of technological innovation and by marked global economic competition.

Articoli Correlati: Mario Grandi - statuto dei lavoratori

SOMMARIO:

1. Il diritto del lavoro nel secondo Dopoguerra: alla ricerca di un ubi consistam - 2. Il contributo di Mario Grandi nella stagione di riforme degli anni ’60 - 3. Produzione scientifica ed attualità dei valori, alla luce dello Statuto - NOTE


1. Il diritto del lavoro nel secondo Dopoguerra: alla ricerca di un ubi consistam

Nell’anno in cui si ricordano i (primi) cinquant’anni dello Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300) non deve apparire una scelta controcorrente una riflessione sul ventennio che separa la Costituzione del 1948 dalla approvazione dello Statuto, anche perché il presente deve tutto alle radici del passato e il futuro – quale che sarà – non può prescindere dal contesto attuale [1]. In un’epoca caratterizzata dalla “rifondazione” su basi privatistiche della materia lavoristica, l’Italia esce dalla seconda guerra mondiale economicamente distrutta e politicamente divisa. Abolisce la monarchia, sfiora la guerra civile, fa – non senza forti contrasti – una precisa scelta di campo collocandosi al di qua della c.d. cortina di ferro. La presa di distanza dal regime fascista lascia un vuoto da riempire, perché – come è stato efficacemente detto – «sotto le macerie del corporativismo» è rimasto anche il diritto sindacale [2], le «degenerazioni autoritarie» tendono a sopravvivere al regime che le ha favorite [3] e, più in generale, tutto il diritto del lavoro, «travolto dalla reazione di rigetto verso il corporativismo» [4], è alla ricerca di un ubi consistam, di un suo ruolo nel nuovo contesto sociale. La Carta costituzionale è un faro potente, ma i contenuti, i tempi e le modalità per far penetrare nella realtà socio-economica i principi e i valori della riforma – in primis, il “principio solidaristico della classe lavoratrice” [5] – rimangono in balìa della sorte. Le associazioni datoriali non escono indebolite dalla guerra (che, anzi, ha costretto la controparte ad astenersi da rivendicazioni), per i sindacati dei lavoratori tornare alla «libertà» riconosciuta in epoca prefascista è meno semplice, anche se l’art. 18 Cost. (sulla libertà di associazione) e l’art. 39 Cost. (sulle organizzazioni sindacali) indicano chiaramente sia la strada della pluralità (come manifestazione della libertà di associazione e della libertà di pensiero) sia la legittimità del conflitto tra le parti sociali anche mediante ricorsi allo strumento dello sciopero (art. 40 Cost.) sia, almeno, un obiettivo da perseguire concordemente e cioè [continua ..]


2. Il contributo di Mario Grandi nella stagione di riforme degli anni ’60

Chiarito, per sommi capi, il contesto di quegli anni, è possibile ora domandarsi se Mario Grandi abbia svolto un qualche ruolo in questa esaltante stagione di riforme (1960-1970) culminata con lo Statuto dei lavoratori. La risposta è no, se dobbiamo limitarci a credere alla “scheda autobiografica” (aggiornata almeno al 1970) [16] con la quale, in punta di piedi, si presentava in ambito universitario. Nato nel giugno 1931, militante fin da giovane nelle file della Gioventù cattolica, dopo il liceo classico a Modena, approda all’Università Cattolica dove nel novembre 1955 consegue la laurea in giurisprudenza. Ratione aetatis non può aver svolto alcun ruolo nella prima metà degli anni 50, ma l’A. ci riferisce che, contestualmente alla laurea, «contattato dal Prof. Mario Romani tramite il dott. Nino Andreatta», accetta di trasferirsi a Roma per lavorare presso l’Ufficio studi della CISL, «con l’incarico di occuparsi dell’attività parlamentare e legislativa riguardante i problemi sindacali del lavoro». Questo è l’unico, remoto, accenno ai contenuti del suo impegno di studioso che, nel frattempo, si è aperto al versante accademico con la libera docenza in Diritto del Lavoro nel 1965 e il posto di professore incaricato – sempre dal 1965 – presso la Facoltà di Economia e Commercio di Bologna. Per il resto – è sempre Grandi che parla – «curo anche i rapporti con il gruppo dei parlamentari sindacalisti della CISL»; «la permanenza all’Ufficio studi CISL si è protratta dal 1955 al 1968», per dieci anni come “funzionario” (1955-1965) e per oltre tre come “consulente” (1965-1968); «per conto della CISL ho fatto parte del Comitato Economico e Sociale della Comunità europea dal 1965 al 1970»; «ho avuto, in particolare, la possibilità di collaborare…per l’attività legislativa e parlamentare con gli on. Amos Zanibelli e Vito Scalia» [17]. Per incidens, a questo va aggiunta un’ultima notazione: il Prof. Grandi ricorda come si è formato e chi ha formato nel periodo 1960-1970 in cui ha insegnato Diritto del lavoro e ha collaborato comunque con il Centro studi CISL di Firenze. Una autopresentazione in tono sommesso, quasi burocratica, che lo [continua ..]


3. Produzione scientifica ed attualità dei valori, alla luce dello Statuto

Poiché scripta manent, è certamente la produzione scientifica il solido terreno sul quale cercare di ricostruire i convincimenti e, soprattutto, i messaggi che con la sua opera Mario Grandi ha inteso trasmettere, sempre battendosi per il riconoscimento del ruolo e dell’azione dei sindacati in fabbrica e nella contrattazione collettiva, per l’idea del lavoro non come “proprietà” della persona ma come opportunità consapevole di un facere in linea con l’aspettativa di progresso umano e materiale nonché per la tutela dei “valori” dell’individuo anche e soprattutto là dove si trova ad agire in una formazione sociale [41]. Il divieto di licenziamento per motivi (anche) sindacali contenuto nella leg­ge n. 604/1966 è il punto di arrivo di un impegno personale al confronto e al dibattito (sempre propositivo) [42] che in ambito sindacale è iniziato con il ruolo di funzionario in CISL ma che aveva come retroterra la dimensione umana del lavoro, cioè la soggettività e dignità di chi è destinato a svolgerlo. Da un lato, la centralità del richiamo costituzionale e dell’interpretazione nel tempo sviluppatasi a latere degli artt. 3, commi 2 e 4, Cost. – secondo cui “la prestazione di lavoro non può essere disgiunta dalla persona del lavoratore” [43] – non si esaurisce con la predetta legge ma, anzi, prosegue nell’analisi critica del titolo I e nel titolo II (in primis, con riguardo agli atti discriminatori) dello Statuto e rimane criterio guida capace di accompagnare l’apparato di tutele dei diritti anche oltre quei gruppi sociali, quel contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato e quelle tradizionali categorie di spazio e tempo intorno a cui era stato tradizionalmente concepito. Dall’altro lato, l’obiettivo del «lavoratore come soggetto di capacità contrattuale» non è – a suo avviso – raggiungibile se non attraverso la mediazione e la rappresentanza del sindacato, il cui ruolo non si esaurisce nel far conseguire un «giusto salario» ma nel creare in fabbrica (e, in generale, nei mercati) le condizioni per “valorizzare orizzonti nuovi” di tutela della dignità in adeguamento al lavoro che cambia [44]. Occorre però chiarire bene in [continua ..]


NOTE
Numero straordinario - 2020