Nella critica di ogni concezione idealistica della persona, il saggio richiama la centralità che la razionalità umana e la capacità di dominio dell’esperienza individuale hanno assunto nel pensiero di Grandi quale fondamento della visione privatistica della rappresentanza e della definizione dell’interesse collettivo fino ai nostri giorni.
Criticizing every idealist conception of the person, the essay highlights the centrality that human rationality and its capability to dominate individual experience have assumed in Grandi’s thought as the foundation of his privatistic vision of trade union representation and in the definition of collective interests up to our days.
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1. Il rifiuto delle concezioni idealistiche e la visione razionale della persona - 2. La visione antropologica della razionalità umana quale premessa della costruzione civilistica della rappresentanza - 3. La razionalità umana e la sua capacità di dominio dell’esperienza individuale - 4. L’espressione giuridica della razionalità umana - 5. L’esercizio della rappresentanza sindacale e la concezione dell’interesse collettivo - 6. La dimensione associativa della rappresentanza sindacale e le nuove tecnologie - NOTE
In una delle sue ultime opere, il prof. Grandi ha rivendicato la sua visione privatistica della rappresentanza e, con notevole energia, ne ha ricostruito il fondamento, ponendolo fuori dal fenomeno giuridico in senso stretto e, come è inevitabile, collocandolo in una dimensione di antropologia filosofica, l’unica in grado di spiegare il senso ultimo della presenza attiva nel divenire sociale. Si legge che il nostro diritto ha espresso la “tradizione teorica della «collettivizzazione» del fenomeno organizzativo sindacale, configurato come soggetto a sé stante, dotato di una propria «alterità», come struttura rappresentativa, rispetto alla base degli organizzati”, tanto che “anche il sindacato, più che una esperienza di libero associazionismo, è teorizzato (…) come un fenomeno di rappresentanza (…) che assume una ragione di priorità, nell’organizzazione della tutela, come espressione di interessi solidali già in natura collettivi e indivisibili” [1]. Più in generale, a livello europeo, “il diritto del lavoro non è, in genere, amico della libertà” [2] e il problema “ha un significato più profondo e più complesso, che riguarda il situarsi del diritto del lavoro in società economiche dominate da sempre più intensi processi di razionalizzazione, che premono sugli spazi di libertà interna (la possibilità di volere liberamente) e riducono quelli della libertà esterna (la possibilità di agire liberamente) in nome di una ‘sovra – organizzazione’ della convivenza civile degli apparati statuali, funzionale al soddisfacimento di sempre più estesi bisogni” [3]. Impegnata nella difesa della declinante (o, forse, già declinata) capacità delle associazioni tradizionali di comprendere e proteggere lo sfrangiato interesse collettivo di questi anni [4], la dottrina non ha avuto tempo per riflettere su una posizione in apparenza così provocatoria [5], in realtà alquanto coerente con una concezione personalista della vita e dei gruppi sociali intermedi, con la conseguente visione del loro fondamento nella rappresentanza [6]. Soprattutto, il saggio coglie i due versanti della posizione idealistica del secolo scorso e ne mette in luce il limite, per chi [continua ..]
Qualora se ne accetti una concezione ascendente, il potere negoziale delle associazioni trae il suo fondamento nell’adesione, che comporta la partecipazione e l’attribuzione della rappresentanza [16], sebbene, per i lavoratori, non si possa fare riferimento al mandato nella sua accezione originaria, se non in ipotesi limite, come quella della disposizione di diritti entrati nel patrimonio individuale [17]. L’iscrizione crea il presupposto della selezione (non di necessità democratica, per la mancata attuazione dell’art. 39 Cost.) degli uffici deliberativi, sulla scorta del diritto comune, poiché non occorre uno specifico riconoscimento di libertà da parte dello Stato, a fronte dell’accettazione del vincolo organizzativo e sulla base della direttiva dell’art. 39, comma 1, Cost., con la costituzione di un organismo deputato, per l’intento dei partecipanti, a determinare i fini perseguiti e a esercitare le iniziative conseguenti [18]. Ne deriva una difesa “aggregata” delle istanze individuali [19], ricomposte a seguito della manifestazione di volontà dei soci, con una coesione destinata a esprimere una analisi superindividuale dei problemi del lavoro, persino qualora collida con alcune aspettative, e ciò accade di frequente [20]. Senza una sfera esclusiva di competenza deliberativa (per la piena accettazione legale delle associazioni), la persona è il perno di qualsiasi strategia collettiva, perché costituisce il sindacato, e il suo radicamento nel diritto privato impone questo fondamento dell’azione del gruppo, comunque nato da un contratto [21]. Il potere negoziale non è né conferito dallo Stato [22], né presupposto, né autoattribuito da parte dell’organizzazione, ma deriva dalla scelta del singolo, lavoratore o imprenditore, secondo un modello insito nell’art. 39, comma 1, Cost., con ogni implicazione sull’efficacia soggettiva del contratto [23]. Se rinnegasse l’art. 2 Cost. e la tutela della persona anche nell’associazione [24], l’iniziativa sindacale sarebbe monca e non in linea con la parte più convincente della Costituzione, a maggiore ragione oggi, quando un rinnovato individualismo pervade l’agire quotidiano, in virtù dei mezzi di comunicazione, tali da permettere un collegamento continuo e una effettiva [continua ..]
Sebbene la menzioni [34], non è facile dire quanto il pensiero del prof. Grandi sia stato influenzato dalla parte più originale e sofferta dell’antropologia filosofica cattolica italiana, per cui, “prima dell’avvento della odierna civiltà industriale a tipo di produzione accentrata, la maggiore parte delle forme del lavoro erano l’opposto dell’automatismo, e permettevano all’individuo di vivere ed esplicare le proprie capacità e trovare appagamento proprio nell’atto di lavorare. Fare che questi casi si estendano; fare che il lavoratore nell’atto del lavoro realizzi il suo vivere con il pieno esercizio delle sue capacità e sia presente con tutto se stesso nell’atto del lavoro e non una pura quantità di forza o di attenzione, è l’esigenza che nasce da questa scoperta che il lavorare è insomma un momento e un modo di vivere del soggetto, e non deve nell’atto stesso del suo realizzarsi trasformarsi nella negazione di se stesso” [35]. In fondo, la costruzione ascendente della rappresentanza sindacale è impossibile se non si muove dall’uomo, anche nelle sue relazioni professionali, e dalla sua razionalità edificatrice [36]. Il diritto del lavoro si cimenta con problemi eterni, poiché ha per oggetto la vita, sia delle imprese, sia dei prestatori di opere, e temi che travalicano qualsiasi realistica, possibile fiducia nell’ordinamento positivo, a prescindere dai meriti dei suoi autori parlamentari; per gli uomini, non solo di oggi, “il lavoro non è altro che il partecipare che fanno alla faticosa creazione della vita sociale le singole vite individuali con la propria attività, col proprio agire e col proprio patire, con le proprie invenzioni e le proprie sofferenze, le proprie forze spirituali e le proprie forze fisiche; e così concepito e qualificato, il lavoro, in quanto non è altro che la vita dell’individuo in moto e in collaborazione nella costruzione della vita associata, acquista il valore che la vita dell’individuo ha assunto, e come tale subordina a sé tutti gli altri valori sociali, diventa quello che effettivamente è, fattore principale della costruzione della vita comune” [37]. La nostra condizione, con quello che ha di grande e di misero, di spaventoso e di mirabile, porta al fondo di ogni [continua ..]
Convinto assertore della razionalità individuale quale presupposto dell’aggregazione sindacale e sua giustificazione, piuttosto di essere affascinato dalla costruzione esistenzialista dell’impegno personale nel lavoro [46], il prof. Grandi guarda alla necessaria mediazione delle categorie del diritto privato, perché “la rappresentanza in senso giuridico designa il potere proprio dei sindacati di negoziare collettivamente in nome e per conto degli affiliati” e “si ispira ai principi propri del diritto civile di associazione e, per quanto riguarda l’efficacia formale della contrattazione collettiva, al diritto civile dei contratti” [47]. Se il riferimento all’esperienza del gruppo prevale sulla semplice visione della rappresentanza secondo il sistema del Codice civile [48], il punto di partenza sono i principi privatistici, non solo perché il rapporto interno all’organismo è così regolato, ma perché tutto riporta all’autonomia, cioè a quella individuale ai fini dell’affiliazione e dell’esercizio delle connesse prerogative, a quella collettiva a proposito delle trattative e della stipulazione. Pertanto, non sarebbe potuta spiacere al prof. Grandi la tesi per cui le clausole normative trovano la loro più convincente spiegazione nel modello “circolare del contratto plurilaterale, o contratto di organizzazione” [49], poiché illustra la dialettica fra la dimensione individuale e quella collettiva [50], con il presupposto nell’interesse del singolo prestatore o datore di lavoro e con la sintesi nella deliberazione degli uffici dell’associazione. Peraltro, “l’accettazione, e quindi instaurazione, della regola di gestione accorpata (…) di solito non è, e per certi versi non può essere nell’attuale contesto italiano, limitata soggettivamente in ragione dell’iscrizione” [51] e, almeno sul versante dei dipendenti, i diretti effetti negoziali regolativi [52] possono essere ricostruiti senza riferimento alla consueta versione civilistica del mandato [53], ma nel nascere e nell’agire del gruppo si fonda il momento dinamico della creazione dell’interesse collettivo [54]. Nel pensiero del prof. Grandi, le categorie civilistiche e, in primo luogo, quelle correlate [continua ..]
Il prof. Grandi era consapevole del punto più discutibile della sua idea della rappresentanza e osservava che, sempre di matrice privatistica, una altra impostazione [66] mentre, “da un lato, configura i rapporti associativi come elementi costitutivi dell’associazione sindacale, la quale, una volta costituita, è titolare di un potere collettivo proprio e, quindi, di natura non rappresentativa, dall’altro, assegna ai predetti rapporti la funzione di circoscrivere l’ambito soggettivo di efficacia dei contratti collettivi, che continuano a essere atti di autonomia privata efficaci soltanto inter volentes” [67]. Il passaggio dalle ragioni individuali all’interesse collettivo è questione nevralgica per la riconduzione alla rappresentanza del negozio sindacale, per l’inevitabile considerazione creativa a opera del gruppo di infiniti punti di vista, non espressi, riportati a unità sulla base delle scelte degli uffici di vertice dell’associazione, rispetto alle prospettive sia dei datori, sia dei prestatori di lavoro. Replica il prof. Grandi che le parti dei rapporti individuali li “mettono nelle mani dell’associazione, che ne assume la rappresentanza nel senso che essa concentra e unifica e, quindi, rafforza la gestione dei medesimi in sostituzione della molteplicità dei titolari”, e “non è logicamente assurdo ritenere che all’unità della gestione si giunga per il tramite di un rapporto rappresentativo con i singoli (…), di cui è mezzo causale l’iscrizione (…); il contratto collettivo si applica agli iscritti non perché hanno voluto l’associazione, ma perché, per il tramite dell’iscrizione e, quindi, dell’associazione, hanno voluto una gestione sostitutiva dei rapporti” [68]. Se ciò è vero, l’affermazione non mette in discussione l’inevitabile originalità dell’interesse perseguito dal gruppo, non solo secondo modelli di formazione del consenso propri (e diversi da quelli della rappresentanza disegnata dal Codice civile, almeno sul versante dei lavoratori), ma con creatività nella comprensione di quanto si possa chiedere e ottenere nel negoziato. In nessun luogo esiste una programmata e rassicurante definizione di quanto possa convenire, ma la coscienza di chi occupi gli uffici di [continua ..]
Profondo studioso della rappresentanza e pessimo conoscitore delle moderne tecnologie, il prof. Grandi non ha avuto modo di vedere le attuali interferenze fra tali fenomeni sociali, soprattutto sul profilo più delicato del primo, cioè il passaggio dalle aspettative individuali all’interesse collettivo, senza alcuna, possibile somma, ma con una selezione. Ciascun gruppo si interroga sul significato ultimo della sua presenza sociale, affinché possa stabilire non solo che cosa difendere, ma come e fino a quale segno e, in questa costruzione della strategia, se ci si allontana dai temi patrimoniali e si guarda alle clausole giuridiche, nell’ultimo ventennio il contratto di categoria ha dimostrato una sorprendente fedeltà alla tradizione, tanto più singolare se è posta a raffronto con l’evoluzione tumultuosa della nostra civiltà [80]. Le trasformazioni [81] sono rare e, per lo più, adottate dietro lo stimolo del legislatore, e non si deve pensare a una reverenza per il passato, ma alla più preoccupante incapacità di governo delle modificazioni [82]. Consapevoli del fatto che, in materie di elevata complessità, l’interesse è sfuggente, i sindacati si rifugiano in logiche sperimentate. Oggi, un rinnovato individualismo pervade l’agire quotidiano dei gruppi [83], in virtù dei nuovi mezzi di comunicazione, tali da permettere un collegamento costante e una effettiva (seppure non sempre saggia) partecipazione [84]. È presto per dire se questi fenomeni, individuati con lungimiranza dalla dottrina [85], potranno avere rilievo sociologico o persino giuridico, incidendo sulla rappresentanza [86], ma, fino da ora, smentiscono l’idea di una prospettiva collettiva non collegata all’impulso individuale, invece più presente e intenso, proprio per lo sfruttamento delle tecnologie contemporanee, anche per il loro uso un po’ ossessivo e irragionevole. Queste incidono in modo pesante sulla prassi associativa, sebbene non sia facile decifrare se portino a scambi di vedute continui fra i dirigenti e gli iscritti o, piuttosto, a una semplice scomposizione della coesione, con la nascita di coalizioni occasionali e di gruppi attenti solo a taluni profili; se non ci si inganna, in un panorama frastagliato, si verificano situazioni varie e, spesso, vi è una deriva verso [continua ..]