Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Il distacco transnazionale dei lavoratori nell'UE: dal dumping sociale alle nuove prospettive del diritto del lavoro europeo (di Matteo Corti, Prof. Ordinario di Diritto del Lavoro nell’Università Cattolica del Sacro Cuore)


Il saggio ripercorre l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha caratterizzato il distacco transnazionale dei lavoratori nell’Unione europea, collocandola all’interno delle complesse dinamiche di costruzione del mercato interno ed allargamento dell’Unione. In particolare, secondo l’autore le più recenti novità legislative e giurisprudenziali manifestano una rinnovata sensibilità sociale dell’Unione, che contrasta con più decisione il dumping sociale e spinge verso una maggiore convergenza delle condizioni di impiego nel progresso. L’autore conclude con una l’esame della disciplina italiana, ora compendiata nel d.lgs. n. 136/2016 e recentemente novellata, nella quale ravvisa persistenti aspetti problematici connessi all’ambito di efficacia dei contratti collettivi.

The posting of workers in the EU: from social dumping to the new perspectives of European labour law

The essay deals with the evolution of the legislative framework and case law related to the transnational posting of workers in the European Union, by placing it in the frame of the complex phenomena of the internal market building and Union enlargement. In particular, according to the author the most recent developments reveal a renewed social attention by the EU, which fights more convincedly the social dumping and fosters a stronger upward convergence of employment conditions. The author concludes its work by examining the Italian law in this field, now concentrated in the legislative decree n. 136/2016 and recently amended: though greatly improved, this legislation still conserves problematic aspects linked to the lack of “erga omnes” effects of collective agreements.

SOMMARIO:

1. Il distacco transnazionale di lavoratori: una storia a lieto fine? - 2. Da Rush Portuguesa alla direttiva 96/71 - 3. Il quartetto Laval: trionfo delle libertà economiche e legittimazione del dumping sociale - 4. Il revirement della Corte di giustizia: Sähköalojen ammattiliitto e Regiopost - 5. L’intervento del legislatore europeo: dalla direttiva enforcement alla direttiva 2018/957 - 6. La conferma del giudice europeo e l’alba di nuovi sviluppi: il rigetto dei ricorsi di Polonia e Ungheria e la nuova proposta di direttiva sui salari minimi - 7. La trasposizione italiana delle direttive sul distacco: luci ed ombre - NOTE


1. Il distacco transnazionale di lavoratori: una storia a lieto fine?

Nell’ampia tematica della difficile convivenza tra la costituzione economica dell’Unione europea e gli istituti del diritto del lavoro, specialmente nazionali [1], il distacco dei lavoratori nell’ambito di prestazioni transnazionali di servizi occupa un posto di particolare rilievo [2]. La questione si pone, infatti, al crocevia tra gli interessi contrapposti degli Stati esportatori e importatori di manodopera, e pertanto al cuore di un delicato conflitto politico. In questa situazione, non stupisce che la materia abbia subito un’evoluzione continua, ritmata non soltanto dalle dinamiche evolutive del mercato unico, ma anche dall’allargamento della Comunità prima e dell’Unione poi, che ha acuito le differenze socio-economiche tra gli Stati appartenenti all’organizzazione sovranazionale. Nella determinazione delle regole applicabili ai posted workers le fonti caratteristiche del sistema multi-livello si sono intrecciate dando vita a geometrie variabili, sotto la regia del giudice di Lussemburgo e del legislatore europeo. Oggi, a 30 anni da Rush Portuguesa [3], l’arresto che per primo ha attirato l’at­tenzione dottrinale su questa materia [4], è possibile individuare piuttosto nitidamente una traiettoria regolativa che disegna una parabola. In Rush la Corte di giustizia sembrava alludere a una facoltà di estensione pressoché totale del diritto del lavoro nazionale dello Stato ospite ai lavoratori in esso distaccati: le sentenze successive hanno, però, tracciato un quadro ben diverso, salvando soltanto le normative giuslavoristiche non discriminatorie, giustificate dalla esigenza imperativa di interesse generale della tutela dei lavoratori (distaccati), nonché necessarie e proporzionate al conseguimento dello scopo perseguito. La direttiva 96/71, frutto di un faticoso compromesso politico tra gli Stati importatori ed esportatori di manodopera della Comunità, si collocava all’interno dello stesso ordine di idee: essa indicava, infatti, un numerus clausus di condizioni di impiego da applicare ai lavoratori distaccati, limitandosi in materia retributiva a richiamare il salario minimo. L’interpreta­zione della direttiva da parte della Corte di giustizia si è posta in singolare continuità con le pronunce precedenti, tracciando un quadro assai sintonico alla concorrenza [continua ..]


2. Da Rush Portuguesa alla direttiva 96/71

Sulla scorta dell’impulso impresso alla costruzione del mercato interno dal­l’Atto Unico Europeo del 1986, la Corte di giustizia cominciò a innovare la propria giurisprudenza in materia di libertà di circolazione dei servizi e di stabilimento all’inizio degli anni ’90: le due decisioni emblematiche furono i casi Säger [7] e Gebhard [8]. A partire dai due leading cases, la corte non si limitò più a giudicare contrarie alle libertà economiche sancite dal trattato soltanto le disposizioni nazionali direttamente o indirettamente discriminatorie, bensì pure quelle che creavano ostacoli anche soltanto indiretti a tali libertà. In questa seconda ipotesi il giudice di Lussemburgo ammetteva che tali normative degli Stati membri potessero essere giustificate in presenza di esigenze imperative di interesse generale, ma soltanto nel rispetto del principio di proporzionalità, ovvero quando esse non andavano oltre quanto strettamente necessario al conseguimento dell’obiettivo [9]. Rush Portuguesa [10], in realtà, si colloca prima di queste evoluzioni: il precedente più pertinente in materia di distacco di lavoratori nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi si era limitato a stigmatizzare, secondo i canoni consolidati, una disposizione nazionale discriminatoria [11]. In Rush Portuguesa, poi, la questione delle condizioni di lavoro dei dipendenti distaccati nell’ambito della prestazione transnazionale di servizi non costituiva l’oggetto del procedimento, che verteva, invece, sulla necessità o meno dell’autorizza­zione all’ingresso in Francia dei lavoratori dell’appaltatore Rush, poiché il Portogallo era già membro della Comunità, ma non era ancora decorso il periodo transitorio durante il quale la libera circolazione dei lavoratori rimaneva sospesa [12]. Nel sottolineare che i lavoratori di Rush non abbisognavano di autorizzazione per recarsi a lavorare al cantiere francese, poiché non entravano a far parte del mercato del lavoro transalpino, il giudice di Lussemburgo tranquillizzò in obiter dictum la Francia. Secondo la corte, il diritto comunitario non avrebbe impedito ai legislatori degli Stati membri di applicare perfino l’integralità del proprio diritto del lavoro ai [continua ..]


3. Il quartetto Laval: trionfo delle libertà economiche e legittimazione del dumping sociale

Le decisioni del giudice di Lussemburgo successive al varo della direttiva si possono suddividere in due filoni, a seconda che il provvedimento comunitario fosse già applicabile nel caso concreto: e, tuttavia, tra le pronunce del primo e del secondo gruppo esiste una singolare continuità [20]. In Arblade [21], Mazzoleni e Isa [22], Finalarte [23] e Portugaia Construções [24], che si collocano tutte a cavallo del 2000, la corte vaglia le disposizioni giuslavoristiche dello Stato ospite al solo lume del trattato: seppure la restrizione della libertà di circolazione dei servizi sia giustificata dall’esigenza imperativa della protezione dei lavoratori distaccati, le previsioni nazionali devono ancora superare il test di necessità e proporzionalità, in relazione al quale, in particolare, ricevono un responso negativo quelle che non garantiscono ai dipendenti coinvolti una tutela aggiuntiva rispetto alla legislazione nazionale del prestatore di servizi [25]. Nelle tre pronunce del cd. “Quartetto Laval” che riguardano il distacco transnazionale di lavoratori [26], Laval [27], appunto, Rüffert [28] e Lussemburgo [29], tutte collocate tra il 2007 e il 2008, la Corte di giustizia interpreta la direttiva 96/71 nel solco dei canoni elaborati per valutare le restrizioni alla libera prestazione dei servizi, cosicché non sorprende che ne consegua una compressione delle normative lavoristiche degli Stati ospiti analoga a quella osservabile nelle decisioni del primo gruppo. Così, se in Mazzoleni e Isa la corte apre alla possibilità che in determinate situazioni uno Stato membro non sia legittimato a imporre l’equiparazione retributiva tra lavoratori distaccati e lavoratori nazionali, in Laval e Lussemburgo essa sviluppa il principio alludendo a una sostanziale coincidenza delle «tariffe minime salariali» ex art. 3, par. 1 con il salario minimo intercategoriale di fonte legale o contrattuale [30]. L’esegesi restrittiva si afferma anche in relazione ai parr. 7 e 10 della direttiva. In Laval la corte chiarisce che le condizioni di lavoro ex art. 3, par. 1 costituiscono il livello massimo di tutela che lo Stato ospite può imporre ai lavoratori distaccati [31], mentre [continua ..]


4. Il revirement della Corte di giustizia: Sähköalojen ammattiliitto e Regiopost

Nel decennio appena concluso la parabola normativa descritta nel paragrafo precedente cambia direzione, sotto l’impulso combinato della Corte di giustizia e del legislatore europeo. Le radici del nuovo corso sono da rinvenire so­prattutto nell’impetuoso allargamento a Est dell’Unione, verificatosi a partire dal 2004, e nella crisi economico-finanziaria che, affacciatasi negli Stati Uniti nel 2006, ha investito rovinosamente l’Europa soprattutto a partire dal 2009. Questi cambiamenti epocali hanno reso l’UE estremamente eterogenea sotto il profilo socio-economico, innescando dinamiche di dumping sociale molto più accentuate rispetto al periodo anteriore [37]. In questa situazione, il quadro regolativo del distacco transnazionale dei lavoratori nell’ambito delle prestazioni di servizi si è dimostrato sempre più intollerabile per gli Stati importatori di manodopera, suscitando una rinnovata attenzione da parte delle istituzioni del­l’UE. Conviene esaminare, anzitutto, due pronunce quasi coeve della Corte di giustizia, che delineano un revirement abbastanza chiaro: Sähköalojen ammattiliitto [38] e Regiopost [39]. La prima, in particolare, spiana la strada alla novità più emblematica della direttiva 2018/957, ovvero la sostituzione del sintagma «tariffe minime salariali» dell’art. 3, par. 1, lett. c), dir. 96/71 con «retribuzione». Più precisamente, in Sähköalojen ammattiliitto, un caso finlandese, le condizioni di lavoro da applicare ai lavoratori polacchi distaccati erano contenute in un contratto collettivo di categoria che era stato reso efficace erga omnes: la Finlandia, infatti, pur essendo un Paese scandinavo, conosce una procedura per la generalizzazione dell’efficacia dei contratti collettivi. In particolare, la retribuzione era stabilita in modo differenziato secondo l’inquadramento dei lavoratori, e non era previsto un unico trattamento retributivo minimo. Si pose, dunque, la questione se un tale quadro articolato potesse integrare la nozione di «tariffe minime salariali». La Corte di giustizia sorprende tutti con una risposta affermativa [40], che segna il commiato da Lussemburgo e Laval, ove, sebbene in modo non lapalissiano, si era pur accennato al salario minimo intercategoriale come referente [continua ..]


5. L’intervento del legislatore europeo: dalla direttiva enforcement alla direttiva 2018/957

La revisione dell’impianto normativo europeo sul distacco transnazionale dei lavoratori si è articolata in due fasi. Il primo passo è costituito dalla direttiva 2014/67 [43] che, senza intervenire direttamente nel corpo della direttiva 96/71, offre preziose indicazioni interpretative e operative per renderla più effettiva (ovvero potenziarne l’“enforcement”). L’art. 4 elenca una serie di indizi in base ai quali le autorità preposte degli Stati membri possono valutare la genuinità dell’operazione di distacco: in particolare, essi mirano a stabilire se l’impresa abbia un effettivo collegamento con lo Stato di stabilimento e il lavoratore con quello dal quale viene distaccato. Gli artt. 6-8 contengono disposizioni volte a rafforzare la collaborazione amministrativa e lo scambio di informazioni tra le autorità competenti. L’art. 9 chiarisce gli obblighi di comunicazione e le misure di controllo che possono essere imposte dallo Stato ospitante alle imprese che stanno effettuando una prestazione di servizi transnazionale con distacco di lavoratori, mentre l’art. 10 stabilisce i principi in materia di ispezioni, ribadendo gli obblighi di cooperazione tra le autorità amministrative degli Stati membri. L’art. 12 prevede la possibilità per gli Stati membri di stabilire forme di responsabilità solidale fra appaltatori e subappaltatori per le retribuzioni e i contributi dovuti ai lavoratori distaccati, mentre gli artt. 13 ss. realizzano la cooperazione tra gli Stati membri per l’esecuzione transfrontaliera delle sanzioni amministrative pecuniarie e/o delle ammende, irrogate a prestatori di servizi stabiliti in un determinato Stato membro per l’inosservanza delle norme applicabili al distacco di lavoratori in un altro Stato membro. La direttiva 2014/67 raccoglie in parte spunti risuonati in precedenti pronunce della Corte di giustizia, riguardanti disposizioni giuslavoristiche nazionali che si collocavano al di fuori del perimetro applicativo della direttiva 96/71 (principalmente adempimenti di carattere amministrativo) ed erano state di conseguenza vagliate direttamente alla luce della libertà di circolazione dei servizi sancita dal trattato [44]. In particolare, la corte si era mostrata comprensiva su taluni obblighi di comunicazione e documentazione, volti a evitare lo sfruttamento dei lavoratori [continua ..]


6. La conferma del giudice europeo e l’alba di nuovi sviluppi: il rigetto dei ricorsi di Polonia e Ungheria e la nuova proposta di direttiva sui salari minimi

Il nuovo bilanciamento realizzato dal legislatore europeo tra la libertà di circolazione dei servizi e i diritti sociali sanciti nelle legislazioni lavoristiche nazionali è stato subito messo alla prova dai ricorsi per annullamento della direttiva 2018/957, presentati da Ungheria e Polonia [57]. Anche nel conflitto di fronte alla Corte si ripropone la frattura tra Paesi esportatori e importatori di manodopera: da un lato, infatti, Ungheria e Polonia, dall’altro il Parlamento e il Consiglio dell’UE sostenuti da Germania, Francia, Paesi Bassi e Svezia (oltre che, ovviamente, dalla Commissione). Le due cause non sono state riunite, ma possono essere commentate insieme, perché gli argomenti utilizzati dai ricorrenti e le motivazioni addotte dalla corte sono in gran parte sovrapponibili. Anzitutto, è stata contestata la base giuridica della direttiva, radicata negli artt. 53, par. 1, e 62, TFUE, che consentono, in particolare, l’adozione di direttive volte a facilitare l’esercizio della libertà di prestazione dei servizi. La direttiva 2018/957 riguarderebbe principalmente la tutela dei lavoratori, e pertanto avrebbe dovuto essere approvata seguendo le previsioni del capitolo sociale [58]: quanto poi alle novità in materia di retribuzione, nemmeno vi sarebbe una competenza dell’UE in materia [59]. La corte ribatte sottolineando la peculiare natura del provvedimento europeo de quo: come già la direttiva 96/71, approvata con la medesima base giuridica, non armonizza alcuna disposizione di diritto del lavoro degli Stati membri, limitandosi a coordinare l’applicazio­ne delle loro normative nazionali in tale ambito ai lavoratori distaccati con l’obiettivo di favorire la prestazione di servizi transnazionali [60]. Peraltro, la base giuridica prescelta non impedisce affatto all’UE di perseguire obiettivi ulteriori rispetto alla mera agevolazione della libertà economica: in particolare, il provvedimento europeo tiene conto dell’obiettivo di carattere trasversale della «promozione di un elevato livello di occupazione» e della «garanzia di un’adeguata protezione sociale», come del resto richiesto dall’art. 9 TFUE [61]. Il motivo di ricorso più insidioso è senza dubbio quello incentrato sulla violazione dell’art. 56, TFUE, che sancisce il divieto di porre restrizioni [continua ..]


7. La trasposizione italiana delle direttive sul distacco: luci ed ombre

La prima legge italiana di trasposizione della direttiva 96/71 non si è distinta per una tecnica redazionale all’altezza della complessità della materia. Secondo l’opinione comune della dottrina, la disposizione più emblematica del d.lgs. n. 72/2000 era palesemente in contrasto con l’art. 3 della direttiva [74]. Per un verso, infatti, stabiliva la completa parità di trattamento tra i lavoratori distaccati e quelli nazionali, senza alcun riferimento alle specifiche condizioni di lavoro contemplate nel par. 1. Per altro verso, richiamava non soltanto le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nelle quali tali condizio­ni di impiego erano contenute, ma anche i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicabili nel luogo in cui la prestazione di servizi veniva effettuata (art. 3, comma 1, legge n. 72/2000). Insomma, il legislatore nazionale era rimasto fermo a Rush Portuguesa, per di più attribuendo un ruolo centrale ai contratti collettivi stipulati da soggetti collettivi qualificati, ma notoriamente privi di efficacia generalizzata, tanto in via di diritto, quanto nei fatti, disattendendo così anche le indicazioni del par. 8 dell’art. 3, direttiva n. 96/71. In questa situazione è davvero stupefacente che il d.lgs. n. 72/2000 non sia mai finito sotto la lente della Corte di giustizia. Le ragioni di questo “miracolo” non sono chiare: forse ha giocato un ruolo significativo la circostanza che il nostro Paese non si collochi al centro dei flussi di importazione di manodopera e servizi all’interno dell’UE, ma non è nemmeno escluso che abbia fatto la sua parte la non sempre impeccabile azione dei nostri servizi ispettivi. Ad ogni modo, questo capitolo si è parzialmente chiuso con il d.lgs. n. 136/2016 [75], che molto opportunamente non solo ha recepito la direttiva enforcement, ma ha anche abrogato il d.lgs. n. 72/2000, riscrivendo integralmente la disciplina del distacco transnazionale dei lavoratori. Il decreto del 2016 è stato, quindi, novellato dal d.lgs. n. 122/2020, offrendo così recepimento alla direttiva 2018/957. Il decreto 136 si segnala in positivo, anzitutto, per aver posto fine alla situazione di illegittimità europea, provocata dal d.lgs. n. 72 con la parificazione integrale [continua ..]


NOTE