Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Funzioni della dignità e regolazione del rapporto individuale di lavoro (di Luca Ratti, Professore associato di Diritto del lavoro Europeo e comparato dell’Università del Lussemburgo)


Le declinazioni della dignità nel rapporto di lavoro sono molteplici, e non sempre riconducibili a tecniche omogenee di regolazione. Nel saggio sono selezionati alcuni ambiti specifici, nei quali il valore della dignità è assunto quale giustificazione costituzionale dell’inter­vento legislativo, criterio orientativo delle parti nel rapporto di lavoro o principio sovraordinato per orientare l’interpretazione delle norme.

The functions of dignity and the regulation of the employment relationship

The value of dignity in the employment relationship can be analysed from different angles, and not always gave rise to omogeneous protection techniques. This article is focused on some ambits of regulation, in which the value is taken as costitutional basis for primary law, parameter for the contracting parties as well as overarching principle of interpretation.

SOMMARIO:

1. Introduzione: promesse e limiti di un discorso sulla dignità nel rapporto individuale di lavoro - 2. Dignità come diritto individuale del lavoratore - 3. Dignità come limite ai poteri del datore di lavoro - 3.1. Dignità e tutela della professionalità - 3.2. Dignità e tutela della sfera personale del lavoratore - 3.3. Dignità ed esercizio del potere disciplinare - 4. Dignità ed estensione dei diritti fondamentali della persona - 5. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione: promesse e limiti di un discorso sulla dignità nel rapporto individuale di lavoro

Il valore della «dignità» permea l’intera regolazione del rapporto di lavoro, a partire dalle sue originarie manifestazioni governate dall’autonomia collettiva, e sino alla stessa legislazione protettiva che mirava, appunto, a restituire dignità (per ora genericamente intesa) all’uomo che lavora. La relazione tra detto valore e la disciplina lavoristica si è nei decenni rafforzata a tal punto da potersi concludere per una complessiva tensione del diritto del lavoro all’af­fermazione, protezione e promozione della dignità umana e sociale del lavoratore. La sua ampiezza ha consentito riletture dell’intero rapporto di lavoro che pongono la dignità quale fondamento del lavoro personale [1]. Addirittura, sul piano comparato, essa costituisce il tratto che più contraddistingue le costituzioni post-belliche della maggior parte dei Paesi mondiali [2]. Oggi, come già al tempo dello Statuto dei lavoratori, il richiamo alla dignità segna la strada delle riforme orientate a garantire la tutela dei diritti fondamentali [3]. A differenza che nella costituzione tedesca o nella Carta di Nizza, la caratteristica di principio generale, o generalissimo, del valore della dignità si manifesta in Italia nella sua reiterazione in più disposizioni costituzionali [artt. 1, 3(2), 4, 35, 36 e 41(2)], che affermano l’equazione lavoro-uguale-dignità, in guise tali da non poter privare il primo della seconda, né viceversa [4]. Il riconoscimento di diritti e valori al lavoratore non quale individuo isolato, ma come persona in relazione ad altri, ne sottintende la natura relativa e impone di volta in volta un bilanciamento o un contemperamento fra distinti interessi. In tal senso l’attributo «inviolabile» della dignità significa non già impenetrabile, bensì coperto da riserva di legge e sottratto al potere di revisione costituzionale [5]. Vi è tuttavia uno iato che separa il valore centrale della dignità dalla sua attuazione nella pratica dei rapporti di lavoro. Esso risulta tanto più evidente se si hanno a mente le situazioni in cui, in concreto, la dignità della persona che lavora è lesa o in pericolo. Percepire una retribuzione inferiore allo standard di vita, subire procedimenti disciplinari sommari e perciò ingiusti, essere sottoposti al [continua ..]


2. Dignità come diritto individuale del lavoratore

La retribuzione adeguata e sufficiente «costituisce un principio che qualifica l’orientamento complessivo del nostro sistema normativo, la cui attuazione è responsabilità diretta dell’ordinamento» e integra il «compito generale di promuovere la eguaglianza e la libertà sostanziale dei lavoratori» [14]. Sulla natura di diritto sociale di rango costituzionale della dignità espressa dall’art. 36 Cost. – che plasma il diritto di credito del lavoratore «prima ancora che transiti nei domini dell’autonomia negoziale individuale o collettiva» [15] – non vi è dubbio alcuno [16]. Molto più complessa, e tuttora insoddisfacente, è invece la sua attuazione concreta, resa cogente dall’inciso «in ogni caso» che precede il criterio costituzionale della sufficienza [17]. Come tutti sanno, le vicende interpretative che hanno visto la regola data dall’art. 36 Cost. estendersi in via diretta e nel rapporto orizzontale fra lavoratore e datore di lavoro (Drittwirkung) sono state influenzate dalle dinamiche interne al sistema di relazioni industriali [18], contribuendo a sostenere la funzione centrale del contratto collettivo [19]. Così, in epoche oramai lontane, l’in­ter­dipendenza del salario dignitoso rispetto al sistema della contrattazione collettiva nazionale di settore ha restituito risultati soddisfacenti pur nello spazio apparentemente illimitato offerto dalla libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost. [20]. Ciò non si è tuttavia sedimentato a tal punto da resistere agli usi estremi di tale libertà. La perdita di centralità del sistema confederale [21], le variazioni territoriali nei livelli di reddito da lavoro [22], la proliferazione delle sigle sindacali e (in specie) datoriali [23], la moltiplicazione dei contratti di settore [24], il dissolvimento dei confini della “categoria” [25], hanno contribuito a una progressiva lacerazione del meccanismo all’apparenza nitido incarnato dall’art. 36 Cost. [26], demandando al giudice di merito il delicato compito di gestire le concrete situazioni di bisogno. Così, per un verso, in giurisprudenza sono stati introdotti correttivi alla retri­buzione-parametro costituita dal minimo economico e normativo previsto [continua ..]


3. Dignità come limite ai poteri del datore di lavoro

Una funzione completamente diversa viene assunta dal valore della dignità nella disciplina dell’esercizio dei poteri tipici del datore di lavoro. Qui, contrariamente a quanto accade per la retribuzione, la tutela della dignità giustifica l’apposizione, per via legislativa, di limiti esterni al potere datoriale, come dimostra la disciplina dettata dal Codice civile e dallo Statuto dei lavoratori. Date le modifiche che hanno interessato tale disciplina negli anni recenti, vi è da chiedersi quale spazio residuo possa esservi, sul piano interpretativo, per il valore della dignità come limite. Un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di cui agli artt. 2103 e 2106 c.c., e 2, 3, 4, 6 e 7 St. lav., sembra suggerire la necessità di intendere la dignità-limite in senso forte, quale valore idoneo a escludere interpretazioni meramente letterali delle norme laddove si dimostrino non più aderenti al mutato contesto dei rapporti di lavoro.


3.1. Dignità e tutela della professionalità

Secondo le sentenze c.d. di San Martino, costituiscono lesione della dignità del lavoratore – tutelata dagli artt. 2, 4, e 32 Cost. – «i pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall’impresa» [48]. Dalla condotta datoriale possono derivare sia danni da perdita della professionalità, sia pregiudizi di natura immateriale, «anche ulteriori rispetto alla salute» [49]. Sottesa all’art. 2103 c.c. vi è la protezione della dignità professionale [50], intesa come «esigenza umana di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo», la cui lesione può addirittura legittimare il lavoratore ad astenersi dalla prestazione ex art. 1460 c.c. [51]. In tale accezione la dignità racchiude l’insieme delle caratteristiche «deontologiche delle competenze che definiscono l’attività esercitata, servendo a identificare il lavoratore come appartenente ad un dato gruppo nell’ambiente lavorativo» [52]. Riferita all’adempimento degli obblighi connessi al rapporto di lavoro, è dunque duplice la dimensione della dignità della persona che lavora [53]. Per un verso, essa è caratteristica individuale, inerente alla sfera personale del lavoratore, e come tale viene apprezzata in sede giudiziale laddove l’esercizio dello ius variandi ne comporti una violazione [54]. Per l’altro, essa costringe a tenere conto dell’ambito di riferimento del lavoratore, tanto più a seguito della riforma del 2015, che consente oramai al datore di lavoro di assegnare qualsivoglia mansione purché ricompresa nel medesimo livello di inquadramento [55]. Professionalità e dignità professionale sono peraltro beni giuridici connessi, che devono guidare il datore di lavoro nell’esercizio del potere direttivo [56]. Ma sono parimenti distinti, come dimostra l’adibizione a mansioni inferiori quale alternativa al licenziamento, ipotesi contemplata prima dalla giurisprudenza [57] e oggi recepita dall’art. 2103, commi 2 e 6, c.c. [58]. Perciò, il “demansionamento concordato” [continua ..]


3.2. Dignità e tutela della sfera personale del lavoratore

Nel rapporto gerarchico che caratterizza il contratto di lavoro subordinato, «non solo si contrappongono due interessi di natura patrimoniale, ma vengono in gioco tutti quei fattori fondamentali della persona umana, che sono la sua dignità, la sua libertà, la sua coscienza» [67]. Ciò contribuisce a rendere particolarmente spinosa la questione del bilanciamento fra tali interessi e fattori. Sono numerosi i profili che attengono alla tutela della vita personale intesa come dignità del lavoratore. Un ambito in cui la sfera personale è tipicamente incisa dall’esercizio delle prerogative datoriali attiene al potere di controllo, rispetto al quale la dignità opera anche qui come limite, con la variante della tutela della riservatezza del lavoratore [68]. La moltiplicazione delle fonti di disciplina della riservatezza del lavoratore è forse il tratto più evidente dell’evoluzione del corpus normativo che ha come fulcro la dignità-limite intesa a proteggere la sfera personale del lavoratore. La stratificazione “alluvionale” [69] di fonti diverse comprende Raccomandazioni OIL, disposizioni dei Trattati europei, Direttive e, da ultimo, il Reg. n. 2016/679. A differenza delle fonti sovranazionali, la disciplina italiana si è mossa nel solco del modello statutario, che pone la riservatezza del lavoratore alla base sia del divieto di controlli diretti e a distanza sulla prestazione di lavoro, sia della proibizione di visite personali di controllo. L’evoluzione della norma di riferimento – l’art. 4 St. lav. – ha così plasmato i limiti al potere di controllo (e, di riflesso, disciplinare) del datore di lavoro. Da norma-divieto nella sua versione originaria, che ammetteva eccezioni solo nel caso di quei controlli curiosamente definiti “preterintenzionali” [70], l’art. 4 St. lav. novellato dall’art. 23, d.lgs. n. 151/2015 tiene conto dell’inar­restabile modificazione degli strumenti di controllo e delle mutate condizioni concrete di esercizio della prestazione di lavoro [71]. Il controllo tramite strumenti a distanza è collegato alla soddisfazione di determinate esigenze dell’impresa, ivi compresa la tutela del patrimonio aziendale, emersa in precedenza nella contraddittoria giurisprudenza sui controlli difensivi [72]. L’art. 4, comma 3, St. [continua ..]


3.3. Dignità ed esercizio del potere disciplinare

L’implicazione della persona del lavoratore nell’esecuzione della prestazione oggetto dell’adempimento «assume il valore di un requisito costitutivo del vincolo di subordinazione al potere» del datore di lavoro. Proprio la «compromissione» della persona nel vincolo di subordinazione sta a fondamento del programma protezionistico tipico del diritto del lavoro [84]. Nell’ambito del potere disciplinare, il valore della dignità è duplice: per un verso, funge da limite in guise analoghe a quanto visto per gli altri poteri, alla luce dell’art. 41, comma 2, Cost., che individua nella dignità umana il limite esterno alla libera iniziativa economica [85]. Come per il potere di controllo, infatti, anche in quello disciplinare la dignità-limite costituisce un criterio che guida l’interprete all’apprezzamento del corretto bilanciamento degli interessi delle parti del contratto [86]. Se ne distingue, tuttavia, tanto nei suoi aspetti sostanziali, quanto in quelli procedurali. La disciplina limitativa del potere disciplinare ne rende tipico, e perciò verificabile, ogni aspetto. È un potere, insomma, compiutamente giuridificato [87], nonostante il suo esercizio implichi sempre un ampio margine di scelta in capo all’organizzatore dei fattori produttivi, quanto all’an e al quomodo dell’azione disciplinare [88]. Il principio generale di proporzionalità fra infrazione e sanzione e, soprattutto, la procedimentalizzazione dettata dall’art. 7 St. lav. hanno contribuito ad assoggettare tale scelta agli interessi delle parti del contratto di lavoro. Vi è poi un diverso rilievo della dignità nell’esercizio del potere disciplinare, che attiene non già al lavoratore soggetto a procedimento disciplinare, bensì alla sfera della persona offesa da un illecito disciplinare. Così, è ricorrente in giurisprudenza l’affermazione per cui la violazione della dignità del lavoratore da parte di colleghi di lavoro costituisce di per sé un illecito disciplinare, che può comportare sinanco il licenziamento del dirigente [89]. Ciò rimanda ai casi di discriminazione, maltrattamenti e più in generale vessazioni sul lavoro. In tali casi l’azione disciplinare del datore di lavoro è imposta, o obbligata, spesso anche da [continua ..]


4. Dignità ed estensione dei diritti fondamentali della persona

La dignità funge da argomento principale per l’estensione di diritti fondamentali della persona in una serie di situazioni che interessano da vicino il rapporto individuale di lavoro [97]. Un primo campo in cui la dignità ha posto le basi per un’estensione dei diritti già riconosciuti dal legislatore è quello dei divieti di discriminazione, a partire dal diritto europeo. È l’accezione accolta dalla Costituzione tedesca a plasmare, ante litteram rispetto alla stessa Carta di Nizza, la dignità quale valore fondante dell’Unione europea [98]. Ciò ha consentito in specie alla Corte di giustizia di estendere la portata dei divieti di discriminazione sulla base del genere e dell’orientamento sessuale. Sul punto la Corte ha affermato che «tollerare una discriminazione del genere [derivante dal licenziamento di un transessuale per causa del cambiamento di sesso] equivarrebbe a porre in non cale, nei confronti di siffatta persona, il rispetto della dignità e della libertà al quale essa ha diritto e che la Corte deve tutelare» [99]. Un secondo esempio di estensione di diritti fondamentali può rinvenirsi nella creazione giurisprudenziale della figura del mobbing. A partire dalle prime pronunce di merito, l’emergere della tutela giuridica del lavoratore contro le vessazioni del datore di lavoro ha fatto leva su di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2087 c.c., per cui l’obbligo di protezione dell’in­tegrità fisica e della personalità morale del lavoratore «non può non mirare a salvaguardare sul luogo di lavoro la dignità ed i diritti fondamentali del lavoratore (artt. 2 e 3, primo comma, della Costituzione)» [100]. Tale linea argomentativa è stata recepita dalla successive giurisprudenza di legittimità [101]. Un terzo ambito in cui tale funzione espansiva ha assunto negli anni recenti il terreno principale per sancire l’applicabilità diretta di diritti fondamentali previsti dalla Carta di Nizza è quello del diritto alle ferie annuali retribuite. La Corte di giustizia ha più volte affermato che tale diritto assume la dignità del lavoratore a fondamento e giustificazione, così da non potersi ritenere semplice principio, ma vero e proprio diritto soggettivo [102]. I [continua ..]


5. Conclusioni

Sono trascorsi più di quindici anni dalla storica sentenza Omega nella quale la Corte di giustizia ha stabilito che «il diritto comunitario non osta a che un’attività economica consistente nello sfruttamento commerciale di giochi di simulazione di omicidi sia vietata da un provvedimento nazionale adottato per motivi di salvaguardia dell’ordine pubblico perché tale attività viola la dignità umana» [106]. La pronuncia è da allora considerata una landmark decision della Corte, per l’affermazione, allora tutt’altro che scontata, che sebbene l’ordina­mento giuridico comunitario sia diretto ad assicurare il rispetto della dignità umana quale «principio generale del diritto», esso non richiede una concezione condivisa da tutti gli Stati membri circa le sue modalità di tutela. Nel caso di specie la dignità umana, posta dalla costituzione tedesca quale principio car­dine del vivere dei consociati [107], ben può comportare una protezione del­l’indi­viduo diversa, più stringente, rispetto alla legislazione di altri Stati membri [108]. Negli anni la parabola del lavoro dignitoso (c.d. Decent Work Agenda [109]) ha informato l’azione stessa dell’OIL e consentito di indirizzare l’equilibrio fra sviluppo economico e giustizia sociale, sino a rivelarsi un principio-car­dine più adatto di altri a riflettere le modalità con cui il lavoro e l’impresa interagiscono (rectius: dovrebbero interagire) nell’economia globale [110]. In tale declinazione, essa assume valenza in concreto diversa a seconda del contesto economico-sociale e normativo considerato: è insomma un valore assoluto che non consente però di individuare uno standard altrettanto assoluto. Il vero snodo, politico prima ancora che giuridico-costituzionale, nell’ac­cen­tuazione di taluni valori posti a fondamento dell’edificazione europea, si manifesta con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che apre il catalogo dei diritti fondamentali dei cittadini europei proprio con la tutela della dignità umana (Art. 1, CDFUE). Questa, che come si è efficacemente osservato, viene addirittura anteposta al diritto alla vita, assurge a pilastro fondamentale per tutti gli altri diritti [continua ..]


NOTE