Il saggio ripercorre taluni controversi passaggi della recente legislazione protettiva (dalla riscrittura degli artt. 2, d.lgs. n. 81/2015, e 409, n. 3, c.p.c., alla introduzione di tutele minime per i c.d. riders delle piattaforme digitali con la legge n. 128/2019) per rintracciarne il filo conduttore nella estensione del campo applicativo del diritto del lavoro, in apparente controtendenza rispetto ai discorsi sulla crisi della subordinazione.
Lo scritto accorpa i contenuti delle relazioni svolte, rispettivamente, a Venezia, il 24 gennaio 2020, nell’ambito del convegno Oltre la subordinazione tenutosi presso la Ca’ Foscari, ed a Napoli, il successivo 13 febbraio, all’interno di un corso organizzato a Castel Capuano dalla Scuola Superiore della Magistratura.
The article re-traces some controversial developments of the most recent Italian legislation (from new Articles 2 of Legislative Decree No. 81/2015 and 409, no. 3, of civil procedure code to the newly introduced floor of rights for the riders app-driven by digital platforms) in order to show the, despite the narratives on the crisis of the concept of subordination, labour law is expanding its frontiers.
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1. Premessa - 2. Etero-direzione ed etero-organizzazione nell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 - 3. L’estensione del raggio applicativo della disciplina del lavoro subordinato dopo la legge n. 128/2019 - 4. Il lavoro tramite piattaforme digitali tra legge e giudici - 5. Ai confini della subordinazione “attenuata”: il lavoro agile - 6. Conclusioni - NOTE
Il dibattito sulla crisi della subordinazione – sia come categoria qualificatoria del rapporto di lavoro sia come criterio di imputazione delle tutele [1] – impegna dottrina e giurisprudenza ormai da un quarantennio [2]. Nonostante il diritto del lavoro italiano abbia in questi quarant’anni profondamente mutato i suoi connotati – al punto da suggerire a taluno la metafora kuhniana del cambiamento di paradigma disciplinare e normativo [3] –, quel dibattito pare tuttavia esibire una sorprendente continuità e ricorsività, quasi una coazione a ripetersi per riflesso condizionato, come dimostrano esemplarmente le notissime vicende dei pony express e dei riders delle piattaforme digitali: all’apparenza così lontane nel tempo eppure così vicine, tanto da sovrapporsi nelle immagini come in un gioco di specchi in cui è difficile, e forse impossibile, distinguere tra passato e presente. In questo contributo argomenterò che, a dispetto delle indubbie – e profonde – discontinuità normative di questi ultimi anni [4], la singolare invarianza delle questioni teoriche e pratiche sollevate dal dibattito sulla “doppia crisi” della subordinazione dimostra una sorprendente capacità di resistenza, una sorta di resilienza evolutivo-adattiva della fattispecie dell’art. 2094 c.c. e del suo criterio identificativo essenziale: la etero-direzione. Potrà questa sembrare una conclusione paradossale, specie alla luce della più recente evoluzione legislativa (dall’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 sino alla legge n. 128/2019, passando per la legge n. 81/2017), apparentemente tutta centrata sulla individuazione, in luogo della etero-direzione, dello sfuggente criterio alternativo della etero-organizzazione, quantomeno ai fini della imputazione delle tutele riferibili al lavoro subordinato. Sennonché quella scelta del legislatore, se da un lato sdrammatizza la questione qualificatoria nelle aree ibride di confine dove si è storicamente concentrato il contenzioso giudiziario, grazie ad una pragmatica (e persino spregiudicata) opzione di imputazione delle tutele oltre la subordinazione in senso proprio in favore delle collaborazioni (solo) etero-organizzate, dall’altro si accompagna ad una decisa opera non tanto di de-tipizzazione quanto di de-standardizzazione e di [continua ..]
Come noto, all’entrata in vigore dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 si è accesa una disputa molto raffinata – a dimostrazione dell’inesausta fascinazione dogmatica che la teoria della fattispecie esercita, a dispetto della sua crisi [12], sulla dottrina italiana –, nella quale si sono divise il campo due tesi principali, volendo considerare quella della “norma apparente”, provocatoriamente affacciata da Paolo Tosi [13], come una variante interna (ancorché con opposti esiti applicativi) alla prima delle due posizioni. La prima tesi – apparentemente più fedele al dogma per cui la fattispecie è per gli effetti [14] (e simmetricamente questi devono rimanere in rapporto di stretta coerenza deduttiva con quella) –, ha inteso l’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 come norma di sostanziale incidenza definitoria sulla nozione di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c., che sarebbe stata modificata vuoi direttamente, per addizione, con l’aggiunta del criterio della etero-organizzazione come tratto (necessario e) sufficiente a identificare il tipo accanto a quello della etero-direzione testualmente previsto dalla norma codicistica [15], vuoi indirettamente, in virtù della riconduzione sempre in chiave estensiva alla subordinazione operante in termini di presunzione assoluta [16] ovvero di conversione automatica a ratio anti-elusiva e anti-fraudolenta [17]. La già evocata tesi della “norma apparente” [18] si situa a ben vedere all’interno di questa prima postura interpretativa, ancorché ne ribalti – con uno spiccato gusto per il paradosso – gli effetti applicativi concreti: ed infatti, secondo tale argomentare, la legificazione dell’indice della etero-organizzazione, utilizzato da molto tempo in giurisprudenza per integrare o surrogare quello della etero-direzione nei casi in cui non sussista la prova in giudizio dell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore, avrebbe avuto non già l’effetto di estendere il campo di applicazione della disciplina del lavoro subordinato, ma al contrario – grazie alla scelta legislativa espressa di imporre il coordinamento del committente anche quanto al tempo e al luogo di lavoro – quello di ridurne la portata [continua ..]
Ma la novellazione in tal modo operata dalla legge n. 128/2019, se letta insieme all’intervento correttivo sul testo dell’art. 409 c.p.c. a suo tempo compiuto dall’art. 15 della legge n. 81/2017, assume un rilievo sistematico persino maggiore, muovendosi su di un piano più ampio, che pare potersi ripercuotere sulla stessa delineazione dei criteri ordinatori generali che presiedono alle operazioni di qualificazione dei rapporti di lavoro e di riparto tra autonomia e subordinazione ai fini della imputazione delle tutele. Su tale piano sistematico generale, infatti, la scelta compiuta dal legislatore: a) ribadisce la centralità qualificatoria del criterio della etero-direzione in senso proprio (che non significa – si badi – in senso stretto, come si avrà modo di precisare più avanti) ai fini della individuazione della fattispecie “lavoro subordinato” ex art. 2094 c.c.; b) conferma che la etero-organizzazione, come potere giuridico unilaterale di coordinamento del committente, non è incompatibile con la natura autonoma della prestazione, che resta tale tutte le volte in cui non sia anche propriamente etero-diretta, ma giustifica comunque l’estensione della disciplina protettiva del lavoro subordinato, in coerenza peraltro con le stesse indicazioni desumibili dall’ordinamento euro-unitario e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia; c) al contempo, e conseguentemente, sdrammatizza, facendo così pragmaticamente propria quella prospettiva di tipo rimediale da più parti invocata, il dilemma qualificatorio nelle sempre più ampie zone grigie al confine tra subordinazione e autonomia, assegnando “per l’effetto” al campo applicativo delle tutele tradizionalmente riservate alla prima una serie di situazioni fenomenologicamente ad essa vicine (e per questo oggetto di un vasto e complesso contenzioso giudiziario); d) contribuisce, infine, a meglio delimitare – insieme al nuovo art. 409, n. 3, c.p.c. – il confine che separa la collaborazione etero-organizzata dalla collaborazione, sempre coordinata e continuativa, che quando non sia tout court auto-organizzata dal collaboratore, è tuttavia raccordata con l’organizzazione del committente senza che quest’ultimo eserciti prerogative unilaterali, bensì sulla base di una negoziazione e, quindi, di una pattuizione rigorosamente [continua ..]
Se il criterio della etero-direzione si conferma come detto baricentrico ai fini della individuazione del tipo “lavoro subordinato” ex art. 2094 c.c., si deve tuttavia escludere che la recente evoluzione legislativa ne abbia anche, e sia pure indirettamente o di riflesso, ristretto il significato, riportandolo ad una sorta di immagine archetipica di soggezione “dura e pura”, per così dire, al potere direttivo-conformativo ed alla “signoria” del datore di lavoro. Non che non manchino segnali, anche autorevoli, in questa direzione, come quello che si ricava piuttosto nettamente (e discutibilmente) dalla sentenza n. 76/2015 della Corte Costituzionale. Né può certo negarsi una indubbia suggestione all’osservazione di chi rileva come, “se l’estensione della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate è la risposta del legislatore italiano del 2015 al problema della debolezza contrattuale dei collaboratori privi di una reale autonomia organizzativa della propria attività, ne deriverebbe il ritorno alla centralità, di recente assecondato dalla stessa Corte costituzionale, del potere direttivo come criterio qualificatorio ed il conseguente tramonto o affievolimento della c.d. ‘subordinazione attenuata’, continuando a ruotare il giudizio di sussunzione sulla sussistenza del potere direttivo, valendo al più come indici o – per dirla alla Pera – come criteri-spia altri elementi quali la modalità di pagamento del compenso, la continuità, l’osservanza di un orario di lavoro fisso e continuativo, la suddivisione del rischio, la presenza di una postazione fissa” [62]. La riscoperta o, meglio, la ritrovata centralità della etero-direzione come criterio qualificatorio della subordinazione, non comporta, e non deve comportare, però, anche l’anacronistico recupero di significati d’antan, più o meno ispirati a irrealistici archetipi tayloristi o fordisti “di ritorno”, ormai definitivamente superati dalla grande trasformazione dei sistemi produttivi e, dunque, degli stessi modi di lavorare alle dipendenze e sotto la direzione di altri, senza sosta riplasmati dalla rivoluzione tecnologica permanente che caratterizza l’odierna condizione della neo-modernità [63]. A dover escludere risolutamente ogni opzione [continua ..]
La positiva valorizzazione di una aggiornata nozione di subordinazione attenuata quasi a lambire i confini oltre i quali inizia l’autonomia impronta d’altro canto la disciplina del lavoro agile [80]. L’art. 18 della legge n. 81/2017, con la finalità di incrementare la competitività e di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuove il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro, con possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Nel tentativo di segnare un labile confine con la figura largamente sovrapponibile del telelavoro [81], la disposizione in parola precisa che la prestazione lavorativa in modalità agile deve essere eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. È evidente qui la rarefazione del potere direttivo, che si attenua nelle sue modalità concrete (quantitative, potremmo dire) di esercizio in corrispondenza dell’autonomia esecutiva riconosciuta al lavoratore nei limiti fissati dall’accordo delle parti; ma che resta tuttavia tale – cioè pur sempre potere di conformazione e di scelta potenzialmente comunque incidente sulla struttura interna dell’obbligazione lavorativa – e così continuando a distinguersi qualitativamente dalla mera etero-organizzazione, che pone vincoli organizzativi e funzionali esterni all’oggetto del facere dedotto nel contratto, il cui contenuto è deciso e auto-governato dal collaboratore. In questo senso è preferibile ritenere che quello prefigurato dall’art. 18 della legge n. 81/2017 non costituisca un nuovo tipo speciale di lavoro subordinato [82] e che, in coerenza con la definizione legislativa, l’accordo delle parti abbia l’importante ma limitata funzione di “le forme, ossia le modalità, con le quali le direttive del datore di lavoro sono impartite al lavoratore durante la parte della prestazione in cui possono risultare non funzionali i [continua ..]
L’ordinamento italiano ha dunque reagito alla “crisi” della subordinazione ed a quello che Guy Davidov ha chiamato lo spiazzamento funzionale del diritto del lavoro, dovuto appunto alla “coverage crisis” [94], in due direzioni che appaiono tra di loro complementari. Da una parte, ha proseguito lungo quella linea – da più tempo radicata nell’ordinamento – di articolazione della nozione di nozione di subordinazione e, più propriamente, di de-standardizzazione della disciplina del lavoro subordinato, che, oltre ad assecondare istanze di flessibilità regolativa, risponde a esigenze di governo della crescente complessità e diversificazione dei modi stessi di lavorare alle dipendenze e sotto la direzione di altri; modi che, per lo meno nei contesti maggiormente dinamici e innovativi, grazie alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie della comunicazione [95], sono improntati a modelli sempre meno costrittivi e autorotativi, con un’oggettiva ibridazione di autonomia e subordinazione [96]. Lo smart working – pur senza volerne enfatizzare oltre misura l’effettivo rilievo innovativo – si colloca certamente su questa linea di tendenza, valorizzando positivamente l’autonomia del lavoratore nella subordinazione. Da un’altra parte, la recente legislazione, invertendo una tendenza di lungo corso, ha, in specie con la legge n. 128/2019, riscoperto e in qualche modo rilanciato la “reattività garantista” [97] del diritto del lavoro, con una decisa opzione estensiva dello statuto protettivo della subordinazione al di là dei suoi confini, verso una serie di situazioni e di rapporti che – concretizzando una significativa condizione di asimmetria di potere negoziale nei confronti dell’impresa committente nella cui struttura organizzativa la prestazione è strettamente integrata – sono stati per ciò stesso ritenuti meritevoli di una più intensa protezione legale. Questo secondo movimento “reattivo” attua un’opzione di politica del diritto certamente diversa (anzi, per certi versi persino opposta), non solo rispetto alla lunga e tormentata stagione del lavoro a progetto (d.lgs. n. 276/2003) e della normazione per indici presuntivi a finalità anti-fraudolenta (legge n. 92/2012), ma anche [continua ..]