L’articolo ripercorre la lunga storia del contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro: dalle disposizioni del codice civile ai recenti e numerosi interventi legislativi, passando per una giurisprudenza che spesso ha fatto da supplente. Nonostante i numerosi tentativi di contenimento, però, la fattispecie è stata per lo più utilizzata a fini frodatori, per eludere la normativa del lavoro subordinato.
Il legislatore del Jobs act, compiendo un atto tranchant, ha così deciso per la sostanziale eliminazione della fattispecie, vietando alle persone fisiche l’apporto, anche parziale, di lavoro: si analizza tale nuova disposizione, anche nei suoi aspetti più critici.
The end of the profit sharing agreement with labour contribution This article analyses the long history of the profit sharing agreement with labour contribution: from the provisions of the Civil Code to the most recent legislation, going through a case-law that was often used as an alternate. Notwithstanding the various attempts of containment, it was mostly used with fraud purposes, in order to evade the employment rules.
The Jobs act legislator has thus decided to eliminate this particular case and prohibited the individuals to contribute to the contract with their labour: we here analyze this new disposition, pointing out its most critical aspects.
Con il riordino dei contratti di lavoro “scompare” l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro: il decreto attuativo Jobs act 15 giugno 2015, n. 81, art. 53, prevede infatti che, da ora in poi, l’associato in partecipazione che sia persona fisica non potrà più fornire, nemmeno in parte, apporto di lavoro ma esclusivamente risorse finanziarie. Lo stesso articolo, d’altra parte, è rubricato “superamento dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro” e l’abrogazione espressa di parte della normativa civilistica non lascia adito a dubbi sul punto. Il contratto di associazione in partecipazione resta in vita, come si vedrà, per alcune limitate tipologie di rapporto.
La storia lunga e, negli ultimi anni, densa di modifiche legislative, dell’associazione in partecipazione, spiega il motivo di tale intervento che, salvo ripensamenti, appare tranchant e destinato a porre fine a dibattiti e giurisprudenza; i quali hanno avuto nel corso del tempo un unico scopo: quello di provare a porre delle distinzioni fra la fattispecie dell’associazione in partecipazione e quella del lavoro subordinato, in una realtà in cui l’uso del contratto oggetto del presente commento è apparsa sempre di più ad uso frodatorio.
L’associazione in partecipazione è un contratto di antiche origini, la cui disciplina positiva è negli artt. 2549 ss. c.c., scarna e dal carattere dispositivo, caratteristica, quest’ultima, che ha permesso di continuare a mantenere la ormai risalente disciplina ed adattarla alle sopravvenute esigenze. Non va dimenticato, infatti, che all’epoca del codice civile non si era ancora verificato quel boom economico che avrebbe poi reso necessario rivedere tante figure contrattuali alla luce del nuovo formarsi dei rapporti di lavoro: già negli anni ’60 si diceva che il lavoro associato, così com’era, non corrispondeva ad un tipo di civiltà di cui era in atto un processo di definitivo superamento [1]. Al contrario di altri rapporti associativi, però, che sono scomparsi a poco a poco (si pensi alle compartecipazioni in agricoltura) o che sono stati radicalmente modificati (è il caso della disciplina del socio lavoratore di cooperativa), l’associazione in partecipazione è rimasta immutata dal punto di vista della disciplina positiva (con qualche aggiunta, come si vedrà, di non grande rilevanza effettiva) anche se poi plasmata alle nuove esigenze.
Il silenzio del legislatore in tema ha permesso di ritenere che l’apporto dell’associato possa consistere anche in una prestazione di lavoro [2], la cui larga diffusione ha nei fatti creato una sorta di figura autonoma, detta per l’appunto associazione in partecipazione con apporto di lavoro, sulla quale sola [continua..]