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Parasubordinazione e subordinazione: un ennesimo giro di valzer?
Antonio Di Stasi (Prof. associato di diritto del lavoro dell’Università Politecnica delle Marche)
Nel saggio, dopo aver affrontato la questione dogmatica della subordinazione ai giorni d’oggi, si analizza criticamente la nuova disciplina sulle collaborazioni c.d. eterorganizzate contenuta nel d.lgs. n. 81/2015.
Ed infatti l’intervento normativo che ha finalità di razionalizzare e di ridurre la discrezionalità giudiziale rischia invece di moltiplicare i regimi giuridici della subordinazione e di riaffidare alla giurisprudenza un ruolo creativo nella individuazione per le diverse fattispecie della disciplina del lavoro subordinato concretamente applicabile.
L’interprete dovrebbe, dunque, utilmente concentrarsi sulla doppia alienità del lavoratore con la valorizzazione del criterio della dipendenza economica.
In the essay, after facing dogmatic issue of nowadays employed work, so called “collaborazioni eterorganizzate” (previeded by d.lgs. n. 81/2015) are critically analyzed.
In effect the Act, that has the purpose of rationalise and reduce judicial discretion, risks instead to increase employed work regulation and to give back to jurisprudence a creative role in recognition of different status of employed work.
Commentator should therefore focus on the concept of “doppia alienità” of the worker, by enhancing economic dependence criterion.
Keywords: Employed work, quasi-independent work, “etero-organizzazione”, economic dependence
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1. Vecchie e nuove questioni dogmatiche della subordinazione
La proliferazione del ricorso a tipologie contrattuali c.d. atipiche rispetto al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, che rimane anche a seguito della stratificazione normativa il contratto tipico all’interno dell’ordinamento lavoristico, ha indotto il legislatore a limitare l’utilizzo delle fattispecie flessibili soltanto alle ipotesi che avessero presentato profili di genuinità, in un’ottica di tutela delle sole situazioni meritevoli ed in attuazione del principio di c.d. indisponibilità del tipo contrattuale.
Tale principio, a mente del quale non è consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura qualora da ciò derivasse l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento, nonché autorizzare le parti ad escludere, direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, l’applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela dei lavoratori a rapporti con contenuto e modalità di esecuzione propri del rapporto subordinato, ha oltretutto trovato conferma recentemente nella giurisprudenza costituzionale [1]. Quest’ultima, di fronte al moltiplicarsi degli interventi legislativi di qualificazione espressa dei rapporti di lavoro, ha ribadito il ruolo sistematico del principio di indisponibilità del tipo negoziale, sia nell’opera interpretativa, sia nel controllo di costituzionalità [2], vagliando così in modo critico le scelte del legislatore, che avevano la funzione di sottrarre arbitrariamente taluni rapporti di lavoro subordinato alla sfera delle norme inderogabili, espressione di principi costituzionali. Ed infatti lo statuto protettivo previsto per la subordinazione determina, quale conseguenza ineludibile, l’indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti individuali.
Se la necessità di evitare la proliferazione di contratti che mascherassero il reale carattere di collaborazione del rapporto [3] induceva il legislatore all’adozione della legge delega n. 30/2003 e del successivo d.lgs. n. 276 di attuazione, che vincolava la genuinità della collaborazione coordinata e continuativa alla individuazione di un “progetto, programma o fase di esso” [4], dall’altro lato tali interventi normativi ampliavano la c.d. flessibilità tipologica (introducendo il c.d. lavoro a chiamata, il lavoro accessorio, il lavoro somministrato, il lavoro ripartito, ecc.), lasciando alcuni ambiti di lavoro parasubordinato al di fuori dell’obbligo di previsione del progetto, nelle quali dunque residuavano alcune tra le tradizionali collaborazioni coordinate e continuative [5].
Invero la finalità repressiva delle collaborazioni coordinate e continuative non genuine, per le quali è stata prevista la sanzione civilistica della trasformazione nel rapporto di lavoro subordinato, non è stata appieno raggiunta dalla riforma del 2003, tanto da rendere necessario un ulteriore intervento diretto alla limitazione dell’utilizzo di tale contratto, ad opera della legge n. 92/2012, sebbene tale intervento abbia reso palese ancora una volta l’inidoneità del progetto ad assolvere la funzione di contrastare le pratiche elusive, tanto da continuare ad essere fonte di un elevato contenzioso giudiziale [6].
Lo scenario è stato reso maggiormente complesso dalla normativa introdotta dalla legge n. 183/2014 [7] e dal d.lgs. n. 81/2015, che ha modificato la disciplina in tema di flessibilità delle tipologie contrattuali. Dopo aver confermato all’art. 1 che la forma comune di rapporto di lavoro è quello subordinato a tempo indeterminato, tanto che dall’analisi dei recenti interventi normativi in materia di lavoro emergerebbe una ritrovata centralità della subordinazione [8], la nuova disciplina prevede all’art. 2 che dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative, le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro [9].
Si intenderebbe così reprimere l’elusione della normativa in tema di rapporto di lavoro subordinato qualora si sia in presenza di collaborazioni non genuine, declinando la subordinazione sub specie di etero-organizzazione, attraverso il riposizionamento dei confini delle tutele legali associate a subordinazione, parasubordinazione e autonomia [10].
Sennonché non è chiaro se la nuova disciplina voglia anche ridisegnare la nozione di subordinazione, senza modificare espressamente l’art. 2094 c.c. [11], ovvero se la nuova topografia della parasubordinazione sia da intendersi come semplice rinvio, per talune fattispecie, alla normativa più protettiva prevista dall’ordinamento in favore del lavoratore subordinato [12].
Tale profilo si collega alle criticità del nuovo testo in punto di qualificazione delle collaborazioni etero-organizzate, tanto che davanti alla nuova fattispecie delle collaborazioni organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, che si affianca o giustappone alla tradizionale fattispecie ex art. 2094 c.c., i primi osservatori si sono divisi tra chi ha ricondotto tale categoria all’interno del lavoro autonomo, chi nell’area del lavoro subordinato e chi infine sostiene si sia in presenza di un tertium genus [13].
D’altro canto non sfugge che l’actio finium regundorum della nozione di lavoro subordinato, se può apparire centrale nella ricostruzione sistematica dell’ordinamento giuslavorista, sembra invero marginale da un punto di vista operativo. Ed infatti, sebbene la nozione di subordinazione implichi l’applicazione di uno statuto giuridico ben preciso, concernente tutti gli aspetti del rapporto di lavoro, ovvero solo una parte, dal momento che anche la portata del rinvio pone questioni da risolvere, ciò che effettivamente costituisce oggetto necessario di indagine per l’interprete pare essere piuttosto l’individuazione della disciplina da applicare al caso concreto, che può derivare ora da una espansione della portata inclusiva del lavoro subordinato, ora da un rinvio o richiamo alla disciplina dell’autonomia ovvero della subordinazione, senza che la questione strettamente definitoria appaia davvero indispensabile né tanto meno esaustiva [14].
Parrebbe pertanto preferibile un approccio interpretativo che, pur attento alle questioni classificatorie, non perda di vista l’obiettivo principale di cogliere i caratteri di innovazione e criticità della disciplina di recente emanazione, che secondo autorevole dottrina rischia di mascherare una falsa evoluzione [15], rendendo per altro verso necessaria una rimeditazione in chiave espansiva dei limiti soggettivi di protezione del lavoratore, al di là delle concrete modalità di svolgimento della prestazione di lavoro.
2. Alla ricerca della disciplina applicabile alle collaborazioni c.d. etero organizzate: rinvio al regime della subordinazione sic et simpliciter o cum grano salis?
Se è vero che per effetto degli artt. 2 e 52 del d.lgs. n. 81/2015, è ormai superata la disciplina relativa al contratto di lavoro a progetto [16], che potrà continuare ad avere applicazione solo per regolare fino alla loro naturale scadenza i contratti già in essere al momento di entrata in vigore del decreto, le collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. rimangono in vita [17].
Per quanto riguarda però le collaborazioni coordinate e continuative “genuine”, la cui qualificazione giuridica riflette il reale atteggiarsi del rapporto contrattuale tra le parti, è stato puntualmente rilevato [18] che a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 81/2015, i rapporti di collaborazione esclusi dalla riconduzione al lavoro subordinato ex art. 2, comma 1, e cioè le collaborazioni coordinate e continuative non organizzate dal committente ovvero quelle organizzate dal committente ma rientranti nelle eccezioni del comma 2, continuano ad avere piena cittadinanza nel nostro ordinamento, nel rispetto dell’effettiva parasubordinazione [19].
Evidentemente anche per tali fattispecie di collaborazioni rimane ipotizzabile la qualificazione del rapporto in termini di subordinazione, in forza della predetta giurisprudenza costituzionale in materia di “indisponibilità della tipologia contrattuale”, nonché in ragione del fatto che le stesse costituiscono delle eccezioni all’applicazione del solo regime di applicazione automatica dello statuto della subordinazione cui all’art. 2, comma 1.
Poiché nessuna norma sancisce l’eliminazione o il divieto di rapporti di parasubordinazione, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c. i privati potranno utilizzare schemi contrattuali tipici e atipici, dando vita a rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera coordinata e continuativa e che saranno, per tale ragione, soggetti al rito del lavoro ed alla normativa ad essi applicabile in un’ottica di valorizzazione del lavoro autonomo economicamente dipendente funzionale alle esigenze del sistema produttivo [20].
Ciò è tanto vero che dall’abrogazione del requisito del progetto e della relativa disciplina discende anche l’eliminazione del divieto di normare tipologie di lavoro autonomo continuativo a tempo indeterminato al di fuori delle fattispecie codicistiche [21].
La questione relativa alla portata dell’applicazione del regime giuridico della subordinazione, di fronte alla scarna disposizione legislativa, che si limita a richiamare la “disciplina del rapporto di lavoro subordinato”, sembrerebbe di pronta soluzione, sennonché tale particolare statuto viene circoscritto alle prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, con il limite delle esclusioni di cui al secondo comma.
La ratio di questa esclusione non è facile da cogliere, trattandosi di rapporti assai eterogenei tra loro che, in concreto, possono assumere caratteristiche che giustificano l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, ben potendosi inverare in una prestazione esclusivamente personale, continuativa ed etero-organizzata dal committente [22].
Poiché lo spazio in concreto ricoperto dalle collaborazioni in questione dipenderà dai confini entro i quali verrà circoscritta la fattispecie delle collaborazioni organizzate dal committente, va da sé che l’area ricoperta da queste ultime, rientrante nell’alveo della disciplina del lavoro subordinato, è inversamente proporzionale all’area che in concreto verrà lasciata ai tradizionali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, e viceversa.
Pertanto, se il legislatore una volta eretto con il d.lgs. n. 23/2015 il totem del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nella versione ulteriormente svuotata di tutele sul lato dei rimedi contro i licenziamenti illegittimi [23], proclama di voler fare chiarezza, separando “il grano dal loglio”, cioè il lavoro parasubordinato vero da quello parasubordinato fittizio, l’intentio legis si scontra con problemi interpretativi di non poco conto, che rischiano invero di vanificare l’intera operazione.
Dalla volontà del legislatore di reprimere il fenomeno delle collaborazioni mascherate attraverso l’applicazione coatta della disciplina della subordinazione discende per altro verso il riconoscimento del corretto regime giuridico ai rapporti parasubordinati genuini, così che la normativa in concreto applicabile sarebbe quella applicata tradizionalmente a tali fattispecie, pena un regresso dello statuto protettivo inconciliabile con l’avanzamento previsto invece per le collaborazioni etero-organizzate.
All’abrogazione della seppur scarna disciplina prevista per il contratto a progetto fa seguito un vuoto che dovrebbe essere colmato dal mero rinvio all’art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c. che secondo una interpretazione letterale dovrebbe condurre alla mera applicazione della disciplina processuale compresa la regola, di carattere sostanziale, concernente la rivalutazione automatica dei crediti. Sulla base, d’altro canto, di una esegesi storica e razionale del dato normativo, alle collaborazioni coordinate e continuative poste in essere dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015, dovrebbero applicarsi anche la disciplina sostanziale delle rinunce e delle transazioni di cui all’art. 2113 c.c., nonché la tutela previdenziale costituita da un’assicurazione pensionistica obbligatoria presso la c.d. gestione separata e la tutela, prevista in via sperimentale per il 2015 contro la disoccupazione involontaria (c.d. Dis-Coll) [24]. Appaiono parimenti applicabili alle collaborazioni parasubordinate l’obbligo di assicurazione dei collaboratori all’Inail, l’art. 34, legge n. 342/2000 che assimila ai redditi di lavoro dipendente quelli di collaborazione coordinata e continuativa, l’eterogenea normativa concernente gli assegni al nucleo familiare, la corresponsione dell’indennità di maternità o paternità, con le forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente, la tutela indennitaria per malattia in caso di degenza ospedaliera, il divieto di adibizione al lavoro della collaboratrice coordinata nel periodo di gravidanza e post-partum, il regime in materia fiscale nonché la normativa prevista dall’art. 6, legge n. 604/1966 anche per l’impugnazione del recesso del committente nelle collaborazioni coordinate e continuative [25].
Ed invero una tutela meramente processuale per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa “genuinamente parasubordinati” posti in essere dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015 parrebbe irragionevole e in contrasto con la stessa ratio dell’intervento normativo, che ha voluto circoscrivere l’ambito della parasubordinazione effettiva e non comprimerne ulteriormente le tutele. D’altro canto, se così non fosse, sarebbe ben poca cosa aver previsto il “rito lavoro” per una tipologia contrattuale ormai autonoma tout court, per la quale dunque sarebbe illogico prevedere uno status giuridico a sé rispetto all’art. 2222 c.c. [26].
Se quindi sembrerebbe obbligata l’interpretazione non regressiva in punto di disciplina applicabile, che dunque dovrebbe riconfermare quanto sinora previsto per il lavoro parasubordinato [27], maggiori problemi riguardano l’applicazione del regime giuridico della subordinazione a rapporti di lavoro che divengono subordinati ope legis, anche soltanto per il trattamento normativo e a prescindere dalla loro natura ontologicamente subordinata o meno, questione che come detto rischia di costituire una mera velleità gnoseologica.
Da un lato è innegabile che il rinvio da parte della norma è alla “disciplina del rapporto di lavoro subordinato”, così che parrebbe inevitabile che si proceda all’applicazione in blocco del trattamento giuridico previsto per la subordinazione, ma dall’altro non sfugge che l’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 compie un’operazione di correzione normativa di un dato reale irriducibilmente diverso [28].
Ed infatti le modalità di esecuzione del lavoro in collaborazione non sempre sono idonee a garantire l’applicazione della normativa in punto di esercizio del potere disciplinare, direttivo e di controllo, ovvero in tema di orario di lavoro, per fare qualche esempio.
Non sfugge poi che la tesi che ritiene autonomi [29] i rapporti organizzati dal committente si fonderebbe sul rilievo che l’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 prevede la non applicabilità della normativa sulla subordinazione alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali prevedano discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo [30], in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore, così che l’eccezione del comma 2 si tradurrebbe nell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato solo in via sussidiaria, laddove non sia intervenuta una specifica disciplina collettiva, pur residuando problemi interpretativi in ordine alla rappresentatività delle organizzazioni sindacali firmatarie rispetto ai lavoratori definiti autonomi [31].
E infatti dal momento che ai rapporti organizzati dal committente si applica la disciplina del lavoro subordinato, i sindacati dei lavoratori non avrebbero interesse a stipulare accordi che prevedano un trattamento meno favorevole di quello legale, mentre si comprende l’ovvio interesse dei datori di lavoro a concludere siffatti accordi [32]. La nuova disciplina si propone però l’obiettivo di eliminare o comunque ridurre drasticamente l’area del lavoro parasubordinato, così che continuare a qualificare tali rapporti etero-organizzati come lavoro autonomo ovvero parasubordinato diverrebbe un’affermazione priva di effetto normativo [33].
Quello che quindi vorrebbe essere un intervento normativo di razionalizzazione e di riduzione della discrezionalità giudiziale, rischia di moltiplicare invece i regimi giuridici della subordinazione, dando la stura alla giurisprudenza per l’individuazione di discipline à la carte a seconda del tipo di collaborazione e della sua distanza/vicinanza da una archetipica subordinazione, tanto presupposta quanto inconoscibile [34].
Sotto tale profilo, appare davvero non felice l’espressione utilizzata dal legislatore “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, che oltre a lasciare insoluta la questione relativa alla riconduzione all’interno della subordinazione delle collaborazioni necessariamente ovvero non necessariamente etero-organizzate sotto il profilo di tempo e luogo della prestazione, porta con sé la questione interpretativa relativa alla disciplina applicabile alle collaborazioni organizzate ovvero non organizzate anche sotto il profilo spazio-temporale. È evidente che in tale caso la diversificazione della normativa applicabile avrà esiti quanto mai disparati, ad esempio dal punto di vista della regolamentazione dei poteri datoriali, ovvero dell’orario di lavoro.
Di non poco momento è infine la questione dell’applicazione della disciplina previdenziale prevista per i lavoratori subordinati alle collaborazioni attratte nell’ambito della subordinazione, con conseguente diversificazione tra collaboratori destinatari di trattamenti previdenziali ben più consistenti rispetto agli iscritti alla gestione separata, nonché, a priori, nella individuazione delle gestioni competenti ai fini del prelievo contributivo, diversificate tra iscritti a quella tradizionale (separata) e il Fondo pensioni lavoratori dipendenti.
In particolare, è stata notata la possibile dissociazione per le collaborazioni etero-organizzate tra retribuzione lavoristica di cui alla contrattazione collettiva efficace inter partes, e la retribuzione imponibile a fini previdenziali, prevista dal contratto collettivo più oneroso sottoscritto dalle organizzazioni sindacali complessivamente più rappresentative per i lavoratori subordinati appartenenti alla categoria [35].
Si può dunque ritenere che pur partendo da una condivisibile intenzione di “promuovere la stabilizzazione dell’occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonché di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo”, mediante l’abrogazione del lavoro a progetto e dell’associazione in partecipazione [36], oltre che attraverso la riconduzione alla disciplina della subordinazione delle prestazioni di lavoro personali, continuative ed etero-organizzate dal committente, il legislatore abbia finito per “mescolare le carte” e tornare al punto di partenza, non solo lasciando aperta la questione relativa a come regolare come subordinato ciò che subordinato, almeno tecnicamente, non è, ma addirittura aprendo la strada ad una possibile proliferazione di status normativi della subordinazione.
In sostanza, il rischio è quello di affidare alla giurisprudenza un ruolo creativo nella individuazione in ciascuna fattispecie della disciplina del lavoro subordinato concretamente applicabile, di volta in volta diversificata a seconda delle caratteristiche intrinseche del rapporto di lavoro oggetto di giudizio.
3. Collaborazioni e statuto della subordinazione nella sciarada definitoria. Il dubbio che sia “vera innovazione”
L’individuazione dei confini tra la cittadella (sempre meno fortificata) della subordinazione e quelli del lavoro parasubordinato residuo passa per un combinato disposto invero non felice, che vede giustapporsi la formula di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, che predica per le collaborazioni “neo-subordinate” i caratteri della esclusiva personalità, della continuatività e della organizzazione da parte del committente delle modalità di esecuzione, e l’art. 409 c.p.c. richiamato espressamente dall’art. 52, comma 2 del medesimo decreto.
Da un lato quindi le collaborazioni attratte nel regime della subordinazione sarebbero quelle etero-organizzate, continuative ed esclusivamente personali, ad eccezione di quelle tassativamente elencate al comma 2 dell’art. 2 [37], mentre la parasubordinazione genuina continuerebbe a sussistere a fronte di una prestazione di opera continuativa, coordinata e prevalentemente personale. Dal momento che la continuatività della prestazione è comune e il carattere esclusivamente personale dovrebbe essere di lampante evidenza, trattandosi in tal caso di collaborazione senza ulteriori apporti di manodopera altrui, a differenza di quella prevalentemente personale in cui invece si riconosce la possibilità di un parziale ma minoritario contributo lavorativo esterno, il limen tra l’una e l’altra tipologia si ridurrebbe all’individuazione del discrimine tra coordinazione ed etero-organizzazione [38].
Sennonché non si prevede né l’alternatività, né la totalità, né la prevalenza tra tali requisiti, così che preliminarmente si pone il problema di una individuazione quantitativa dei criteri [39]. Invero, posto che la continuatività è comune e dunque ininfluente ai fini della qualificazione della collaborazione, si potrebbero verificare i casi di rapporti etero-organizzati come quelli di cui all’art. 2, comma 1 e prevalentemente (ma non esclusivamente) personali ai sensi dell’art. 409 c.p.c., ovvero collaborazioni coordinate ma esclusivamente personali.
Una siffatta casistica da un lato renderebbe impossibile la sussistenza di tutti e tre i criteri previsti per l’una ovvero per l’altra fattispecie, ma dall’altro renderebbe inutilizzabile anche il criterio dell’alternatività, dal momento che non si avrebbe un elemento “più forte” in base al quale dare preferenza ai due criteri contro l’altro e viceversa. Tanto meno si potrebbe affermare che possa darsi corso ad un criterio di prevalenza, dal momento che essendo necessariamente il carattere della continuità comune ai due tipi, gli altri due elementi deporrebbero l’un contro l’altro in favore di una ovvero dell’altra qualificazione.
A questo punto la soluzione più lineare sarebbe quella di qualificare le collaborazioni sulla base della persistenza della totalità dei criteri summenzionati e per l’effetto attrarre all’interno del lavoro autonomo tout court queste collaborazioni con caratteri spuri, sennonché potrebbe porsi allora un profilo di incostituzionalità poiché a fronte di fattispecie tra loro contigue si avrebbe una graduazione di tutele dall’autonomia alla subordinazione, passando per la parasubordinazione, rendendo quanto mai urgente un intervento anche sul piano del lavoro autonomo, come peraltro il legislatore si appresta a fare in un’ottica di potenziamento del relativo regime protettivo con il d.d.l. 28 gennaio 2016, n. 102 [40].
In particolare, il disegno di legge, dopo aver individuato i rapporti oggetto di tutela in quelli di lavoro autonomo, ad esclusione dei piccoli imprenditori artigiani e commercianti iscritti alla Camera del commercio, oltre a dettare disposizioni in materia di ritardi di pagamento dei compensi, di clausole abusive, di apporti originali e invenzioni del lavoratore, di deducibilità delle spese di formazione e accesso alla formazione permanente, nonché di accesso alle informazioni, predispone una apposita disciplina in tema di indennità di maternità, di congedi parentali, di tutela della gravidanza, malattia e infortunio, in materia di salute e sicurezza del luogo di lavoro.
Particolarmente significativa da un punto di vista sistematico sarebbe la modifica proposta all’art. 409, n. 3, c.p.c., che qualifica come collaborazione coordinata quella in cui, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente la propria attività lavorativa, con ciò apportando un ulteriore elemento al dibattito relativo alla distinzione dei rapporti di lavoro tra autonomo, subordinato e parasubordinato.
Se dal punto di vista della differenziazione qualitativa le modalità di esecuzione della prestazione sono oggetto di negoziazione delle parti anche durante lo svolgimento del rapporto, si avrebbe una forma di coordinamento, mentre nella etero-organizzazione è sempre il committente ad essere investito di un potere di determinare e imporre le modalità di esecuzione [41]. Ciononostante anche la coordinazione comporta l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e un certo grado di ingerenza del committente sulle modalità, anche spazio-temporali, di esecuzione della prestazione, tanto che, qualora il collaboratore sia contrattualmente debole, la coordinazione si avvicina alla etero-organizzazione [42].
Pertanto, se è vero che la distinzione teorica tra il lavoro organizzato dal committente e quello coordinato può apparire chiara, nel concreto svolgimento del rapporto anche la linea di confine tra etero-organizzazione e coordinazione non appare agevole, perché tanto il primo quanto il secondo implicano una relazione complessa, tendenzialmente unilaterale la prima e bilaterale la seconda, con una vasta “gradazione di grigi” tra l’una e l’altra polarità.
Non sfugge poi che la Corte costituzionale nella recente sentenza n. 76/
2015 ha stabilito che l’etero-organizzazione del lavoro e l’obbligo di attenersi alle direttive impartite dai superiori non sarebbero indici inequivocabili della subordinazione, mentre sfumerebbe l’importanza degli altri criteri, quali le modalità di corresponsione della retribuzione, lo svolgimento della prestazione nei locali e con gli strumenti messi a disposizione dal committente.
Ed invero la Corte appare individuare la cartina di tornasole per l’individuazione del rapporto di lavoro subordinato nel potere direttivo, che pur nella molteplicità di manifestazioni, si sostanzia nell’emanazione di ordini specifici, in una direzione assidua e cogente, in una vigilanza e in un controllo costanti, in un’ingerenza, che privano di autonomia il lavoratore.
Davanti ad un dato normativo che continua ad interrogare con nuovi “giochi di parole”, la soluzione pragmaticamente gattopardesca [43] sarebbe quella di rinverdire l’orientamento giurisprudenziale per il quale va valorizzato in termini indiziari il criterio di etero-organizzazione della prestazione lavorativa ai fini della riconduzione dei casi dubbi nell’ambito della subordinazione [44]. Ed invero il legislatore ha fatto riferimento ad una formula aperta di valutazione in giudizio delle modalità concrete di svolgimento della prestazione, ampliando per tale via l’area della subordinazione [45], anche attraverso l’estensione del mero regime giuridico al di là della qualificazione in concreto della quidditas della subordinazione, così invero contraddicendo la linea di tendenza seguita dal Jobs act, a partire dalla legge delega sino ai vari decreti attuativi, che parrebbe invece andare nel senso della diminuzione degli spazi di discrezionalità del giudice, sia con riferimento alla nuova disciplina delle conseguenze del licenziamento illegittimo, sia perché la nozione di etero-organizzazione dovrebbe contribuire a circoscrivere a negativis l’area della parasubordinazione genuina.
Sembrerebbe dunque che l’enfatica riforma del mercato del lavoro, animata dalla volontà di superare la precarietà, si sia in realtà risolta in un “giro di valzer”, muovendosi in cerchio con l’effetto di tornare al punto di partenza [46].
4. La doppia alienità del lavoratore e la necessaria valorizzazione della dipendenza economica
Se le modalità con le quali è resa la prestazione appaiono un terreno sfuggente che ha alimentato il contenzioso giudiziario piuttosto che la certezza giuridica, e di fronte ad una realtà produttiva nella quale la tutela del lavoratore debole si giustifica per la sua vulnerabilità economica e contrattuale, un contributo invero decisivo potrebbe avere quella giurisprudenza costituzionale [47] e di legittimità [48], tornata in auge in una recente pronuncia di merito [49], che lega il concetto di subordinazione a quello di “doppia alienità” [50] .
In particolare le due condizioni concorrenti sarebbero costituite dall’alienità nel senso di destinazione esclusiva ad altri del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata e dall’alterità dell’organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce, sub specie di etero-organizzazione [51]. Secondo siffatto orientamento assume rilievo non tanto lo svolgimento di un’attività di lavoro con elementi di subordinazione, quanto il tipo di interessi cui l’attività è funzionalizzata e il corrispondente assetto di situazioni giuridiche in cui è inserita, a prescindere dalle eventuali dichiarazioni contrattuali con detto regolamento eventualmente contrastanti. Si tende per tale via a depotenziare, nell’identificazione della fattispecie del lavoro subordinato, il ruolo dell’etero-determinazione valorizzando invece il criterio della dipendenza socio-economica [52].
Il lavoro “alle dipendenze” al quale fa riferimento l’art. 2094 c.c., esprime infatti un concetto qualitativamente diverso rispetto all’etero-direzione e coincide con una condizione di doppia alienità del lavoratore, potendo essere riconosciuta solo quando la prestazione lavorativa si svolga nel contesto di un’organizzazione produttiva altrui ed in funzione di un risultato di cui chi detiene i mezzi di produzione è immediatamente legittimato ad appropriarsi, per la successiva collocazione nel mercato.
Ed invero tale opzione sembrerebbe quella maggiormente idonea a cogliere senso e ragione della tutela del lavoro subordinato ovvero ad esso assimilabile, in quanto l’esigenza fondante lo status protettivo forte della subordinazione coincide con la situazione di intrinseca debolezza di chi lavora sub ordine, nel senso che non ha un reale ed effettivo potere di gestire l’attività di impresa, essendogli alieni questa, il risultato del lavoro e il profitto che ne consegue [53].
Tale subordinazione non coinvolge le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, quanto invece la posizione economica e sociale del collaboratore/lavoratore, che potrebbe erogare la propria prestazione di lavoro in regime di partita IVA ovvero di coordinamento con il committente ovvero in posizione di lavoratore tradizionalmente subordinato.
Si tratterebbe a ben vedere di una soluzione in nuce proposta dall’art. 2094 c.c., che ha colto nella dipendenza economica [54] un criterio discretivo essenziale in punto di delimitazione dello status del soggetto da tutelare, fino ad arrivare alla più recente legge n. 92/2012 che, nell’operazione (pur contorta) di riconduzione all’interno dello statuto della parasubordinazione (e quindi, in assenza di progetto, nella subordinazione), del lavoro autonomo in regime di partita IVA non genuino, ha previsto tra i criteri anche quello della riconducibilità al medesimo centro d’imputazione di interessi di più dell’80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore [55].
E allora, se è vero, come si ritiene, che storicamente la legislazione protettiva del lavoro è stata annessa al lavoro subordinato perché alle origini del lavoro industriale questo era l’epifenomeno con cui si presentava il lavoro economicamente dipendente, sembra davvero inevitabile sviluppare la prospettiva che lega la protezione legale e contrattuale proprio allo stato di dipendenza economica [56], e non alla etero-direzione ovvero etero-organizzazione in sé, al quale dovranno essere annesse le tutele retributive e normative, al di là delle diverse modalità di esecuzione [57].
NOTE
[1] Cfr. Corte cost. 7 maggio 2015, n. 76: “Se l’organizzazione in turni appare coessenziale alla prestazione di lavoro, l’obbligo di rispettare le prescrizioni del direttore del carcere e del personale medico non rispecchia l’assoggettamento dell’infermiere al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Quanto alle direttive del personale medico, esse hanno natura eminentemente tecnica e non si pongono in contraddizione con l’autonomia delle prestazioni d’opera concordate con l’amministrazione. L’obbligo di uniformarsi alle prescrizioni di tenore generale del direttore del carcere, per un verso, non sminuisce l’autonomia e, per altro verso, si spiega con la peculiarità del contesto, in cui la prestazione si svolge, caratterizzato da imperative ragioni di sicurezza e di cautela, che finiscono con il permeare la disciplina del rapporto di lavoro degli infermieri incaricati e ne giustificano particolarità e limitazioni”.
Più risalenti Corte cost. 29 marzo 1993, n. 121, in Foro it., 1993, I, 2432; Corte cost. 31 marzo 1994, n. 115, in Foro it., 1994, I, 2656 e in Riv. it. dir. lav., 1994, II, 277.
[2] A partire da tale assunto A. VALLEBONA, Incostituzionalità del divieto di lavoro parasubordinato, in G. SANTORO PASSARELLI-G. PELLACANI (a cura di), Subordinazione e lavoro a progetto, Utet, Torino, 2009, 185 s., ha sostenuto che, così come non può essere qualificato per legge autonomo un rapporto di lavoro in concreto subordinato, così il legislatore del d.lgs. n. 276/2003 non avrebbe potuto qualificare subordinato un rapporto in effetti autonomo seppur a tempo indeterminato e sganciato da un progetto o programma, incorrendo così nella possibile censura di incostituzionalità della norma. D’altro canto, la stessa certificazione dei contratti non potrebbe determinare un aggiramento del principio di indisponibilità del tipo, essendo tale istituto finalizzato ad attribuire maggiore certezza alla determinazione del contenuto del contratto di lavoro, non già ad aggirare i limiti inderogabili di legge. Cfr., contra, F. PASQUINI (a cura di), Autonomia, subordinazione, parasubordinazione: guida pratica alla costruzione di un contratto di lavoro. La certificazione come strumento per la corretta qualificazione del rapporto di lavoro, Centro studi internazionali e comparati “Marco Biagi”, 5.
[3] Per un’analisi del concetto originario di parasubordinazione si rinvia a G. PERA, Rapporti di c.d. parasubordinazione e rito del lavoro, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1974, 422 ss.; M.V. BALLESTRERO, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, in Lav. dir., 1987, 41.
[4] Condivisibilmente M. MAGNANI, La riforma dei contratti e del mercato del lavoro nel c.d. jobs act. Il codice dei contratti, in Dir. rel. ind., 2015, 4, 961 ss., “il requisito del progetto non poteva avere questa funzione discretiva perché esso in sé è un elemento neutro: anche il lavoratore subordinato può lavorare a progetto”. Secondo M. MAROCCO-E. RUSTICHELLI, Dalle collaborazioni coordinate e continuative al lavoro a progetto, Isfol, Roma, 2004, 23 s., il riequilibrio auspicato dalla riforma del 2003 sarebbe stato imposto vincolisticamente, al fine di produrre lo svuotamento del bacino delle collaborazioni e il corrispondente aumento delle forme di lavoro subordinato atipiche.
[5] Era questo il caso delle professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in albi, dei rapporti di collaborazione a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., dei componenti di organi di amministrazione e controllo delle società e dei partecipanti a collegi e commissioni, nonché dei percettori della pensione di vecchiaia.
[6] G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro parasubordinato, lavoro coordinato, lavoro a progetto, in R. DE LUCA TAMAJO-M. RUSCIANO-L. ZOPPOLI (a cura di), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, Editoriale scientifica, Napoli, 2004, 187 ss.; ID., Prime chiose alla disciplina del lavoro a progetto, in Arg. dir. lav., 2004, 27 ss.; ID., Il lavoro a progetto, in G. SANTORO PASSARELLI-G. PELLACANI (a cura di), Subordinazione e lavoro a progetto, Utet, Torino, 5 ss.
[7] M. DELFINO, Note su jobs act, flexicurity e ordinamenti sovranazionali, in Dir. lav. merc., 2015, 2, 407 ss. rileva che la legge non intende proporre “il superamento di questo o di quel rapporto di lavoro, ma solo chiarire quali sono i vincoli in materia derivanti dall’ordinamento dell’Unione”.
[8] Cfr. in tal senso M. MAGNANI, Il formante contrattuale: dal riordino dei “tipi” al contratto a tutele crescenti (ovvero del tentativo di ridare rinnovata centralità al lavoro subordinato a tempo indeterminato), in M. RUSCIANO-L. ZOPPOLI (a cura di), Jobs act e contratti di lavoro dopo la legge delega 10 dicembre 2014 n. 183, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 2014, 3, 23.
[9] Secondo T. TREU, In tema di jobs act. Il riordino dei tipi contrattuali, in Dir. lav. rel. ind., 2015, 2, 155 ss., “la decretazione proposta ha avuto come contributo centrale il superamento del contratto a progetto e la spinta alla trasformazione delle collaborazioni in rapporti di lavoro subordinato, tramite incentivi economici e con un allargamento della nozione di subordinazione”. Così facendo il legislatore ha predisposto un tassello importante, ancorché parziale e non privo di difficoltà applicative, del disegno di revisione dei tipi contrattuali.
[10] Cfr. G. FERRARO, Collaborazioni organizzate dal committente, Relazione all’XI seminario di Bertinoro “Jobs act: un primo bilancio”, Bologna, 22-23 ottobre 2015, dattiloscritto. Secondo A. PERULLI, Costanti e varianti in tema di subordinazione e autonomia, in Lav. e dir., 2015, 259, nella teoria giuridica della subordinazione e dell’autonomia il quid novi sarebbe costituito dalla sostituzione della nozione con quella di soglia, che implica il superamento della scansione tipologica dell’aut-aut in favore del nuovo criterio topo-logico, “dove la determinatezza del confine lascia il passo ad uno spazio che prescinde dalla presenza di barriere tipologiche, prospettandosi, e realizzandosi in termini normativi, quella situazione combinatoria per cui ciascuna regola costituente l’alfabeto normativo dei singoli modelli contrattuali, si declina in ambiti non necessariamente coincidenti con quelli designati dal tipo”.
[11] Cfr. in tal senso M. MAGNANI, La riforma dei contratti e del mercato del lavoro nel c.d. jobs act. Il codice dei contratti, in Dir. rel. ind., 2015, 971 ss., per la quale muovendo dal dato letterale della conservazione del testo originario dell’art. 2094 c.c. e della mancata qualificazione come subordinati dei contratti di collaborazione etero-organizzata, per i quali si prevede soltanto l’applicazione della disciplina relativa alla subordinazione, è probabile che il legislatore intenda allargare lo statuto protettivo del lavoro subordinato.
[12] Secondo M. DEL CONTE, Premesse e prospettive del jobs act, in Dir. rel. ind., 2015, 939 ss., “L’estensione della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate è, dunque, la risposta del legislatore italiano del 2015 al problema della debolezza contrattuale dei collaboratori dell’impresa privi di una reale autonomia organizzativa della propri attività ... archiviata quindi l’idea di creare un tertium genus di lavoratori economicamente dipendenti, a metà strada tra il lavoro subordinato e quello autonomo, il quadro della riforma deve essere completato da una disciplina, interamente nuova, del lavoro autonomo, in forza della quale non soltanto potrà completarsi l’equilibrio tra le tutele previste dall’ordinamento nel suo complesso per ogni forma di lavoro, ma si potrà anche trovare soluzione ai profili problematici legati alle differenti fattispecie delle collaborazioni ... Il jobs act ha affrontato la “questione precarietà”, smarcandosi dalla sterile disputa ideologica tra “precarietà cattiva” e “flessibilità buona” e facendo la “mossa del cavallo” rispetto alla disciplina preesistente: ritornare alla centralità del lavoro subordinato”.
[13] Cfr. in tal senso A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente. Prime considerazioni, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 2015, 266, 4 ss.
[14] Tale profilo è stato prontamente colto da M. CINELLI-C. A. NICOLINI, L’attuazione del jobs act tra riorganizzazione dei contratti di lavoro, mansioni e difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro – la perequazione delle pensioni tra corte costituzionale e interventi legislativi “riparatori” – il testo unico sull’assicurazione infortuni compie cinquanta anni, in Riv. it. dir. lav., 2015, 161 ss., che si chiedono “che differenza c’è tra qualificare un rapporto come di lavoro subordinato, o affermare che semplicemente se ne applica la relativa disciplina?”.
[15] Cfr. in tal senso A. PERULLI, Il “falso” superamento dei co.co.co. nel jobs act, in Nel merito, 9 marzo 2015.
[16] Nel silenzio della legge sul significato e la funzione del progetto come elemento selettivo della nuova fattispecie è stata lasciata all’interprete ampia discrezionalità, peraltro in controtendenza rispetto con la volontà del legislatore di limitare quest’ultima, cfr. G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro a progetto, in G. SANTORO PASSARELLI-G. PELLACANI (a cura di), Subordinazione e lavoro a progetto, Utet, Torino, 2009. Ciò ha fatto sì che anche la dottrina si dividesse tra i sostenitori della tesi secondo la quale la nuova fattispecie di lavoro a progetto sarebbe inclusiva, ricalcando sostanzialmente quella di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., con le uniche aggiunte del termine e del progetto (cfr. R. DE LUCA TAMAJO, Dal lavoro parasubordinato al lavoro “a progetto”, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 2003, 9; A. MARESCA, La nuova disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative, profili generali, in Guida lav., 2004, inserto n. 4; A. VALLEBONA, La riforma dei lavori, Cedam, Padova, 2004, 22; F. LUNARDON, Lavoro a progetto e lavoro occasionale, in F. CARINCI (coordinato da), Commentario al d. leg. 10 settembre 2003 n. 276, vol. IV, in P. BELLOCCHI-F. LUNARDON-V. SPEZIALE (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali – Certificazione dei rapporti di lavoro, commento agli art. 61-86, Giuffrè, Milano, 2004; M. TIRABOSCHI, Il lavoro a progetto: profili teorico-ricostruttivi, in Guida lav., 2004, inserto n. 4; M. PEDRAZZOLI, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in AA.VV., Commentario al d.lgs n. 276 del 2003, Zanichelli, Bologna, 2004) e i fautori dell’orientamento per il quale la fattispecie del lavoro a progetto sarebbe stata esclusiva, coerentemente con la ratio antifraudolenta della disciplina dettata dal d.lgs. n. 276/2003 (cfr. G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro parasubordinato, lavoro coordinato, lavoro a progetto, in R. DE LUCA TAMAJO-M. RUSCIANO-L. ZOPPOLI (a cura di), Mercato del lavoro, riforma e vincoli di sistema, Esi, Napoli, 2004; G. PROIA, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di lavoro, in Arg. dir. lav., 2003; G. FERRARO, Tipologie flessibili, Giappichelli, Torino, 2004; A. PIZZOFERRATO, Il lavoro a progetto tra finalità antielusive ed esigenze di rimodulazione delle tutele, in Dir. lav., 2003, 6).
[17] Cfr. M. PALLINI, Dalla eterodirezione alla eterorganizzazione: una nuova nozione di subordinazione, Relazione alla tavola rotonda organizzata dalla Rivista giuridica del lavoro, Magistratura democratica e Associazione giuslavoristi italiani su subordinazione e autonomia dopo il d.lgs. n. 81/2015, Roma 14 ottobre 2015; A. PERULLI, Il lavoro autonomo, coordinato e le prestazioni organizzate dal committente, Relazione ult. cit.; G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 n. 3 c.p.c. (art. 2), in F. CARINCI (a cura di), Commento al d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81: le tipologie contrattuali e lo ius variandi, Adapt University press, 2015, 4 ss.
[18] Cfr. P. ICHINO, Il lavoro parasubordinato organizzato dal committente, in www.pietro
ichino.it, ottobre 2015; G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 n. 3 c.p.c. (art. 2), in F. CARINCI (a cura di), Commento al d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81: le tipologie contrattuali e lo ius variandi, Adapt University press, 2015, 4 ss.; M. PALLINI, Dalla eterodirezione alla eterorganizzazione: una nuova nozione di subordinazione, Relazione alla tavola rotonda organizzata dalla Rivista giuridica del lavoro, Magistratura democratica e Associazione giuslavoristi italiani su subordinazione e autonomia dopo il d.lgs. n. 81/2015, Roma 14 ottobre 2015; A. PERULLI, Il lavoro autonomo, coordinato e le prestazioni organizzate dal committente, Relazione ult. cit.
[19] Cfr. sul tema M. MISCIONE, Le collaborazioni autonome dopo il jobs act, in Dir. prat. lav., 2015, 14, 863 ss.
[20] Cfr. A. PERULLI, Costanti e varianti in tema di subordinazione e autonomia, in Lav. dir., 2015, 2, 259 ss.
[21] Cfr. G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 n. 3 c.p.c. (art. 2), cit.
[22] Secondo L. MARIUCCI, Il diritto del lavoro ai tempi del renzismo, in Lav. dir., 2015, 13, la nuova disciplina prevede la conversione automatica in rapporti di lavoro subordinato del collaboratore in condizioni di sostanziale subordinazione ovvero dipendenza.
[23] A. PERULLI, Costanti e varianti in tema di subordinazione e autonomia, in Lav. e dir., 2015, 281, rileva che il c.d. Jobs Act punta alla centralità del contratto di lavoro subordinato standard, con discipline deteriori in materia di licenziamenti e connotato da una maggiore flessibilità funzionale in materia di mansioni e controlli a distanza, così da non cogliere il senso del lavoro autonomo di “nuova generazione”, nel quale si colloca tutta una serie di lavoratori economicamente dipendenti, “che avrebbero urgente bisogno di riconoscimento e di sostegno selettivo, e non di forzate e universalistiche riconduzioni nell’alveo della subordinazione”.
[24] Cfr. G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 n. 3 c.p.c., WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 278, 2015, 23 s.
[25] Cfr. G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni coordinate e continuative …, cit., 26 s.
[26] Per G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro a progetto, in G. SANTORO PASSARELLI-G. PELLACANI (a cura di), Subordinazione e lavoro a progetto, Utet, Torino, 2009, 37, va tenuto presente che l’art. 2222 c.c. costituisce un limite invalicabile ai fini della qualificazione come autonomo del lavoro personale prestato senza vincolo di subordinazione. Secondo M. MARAZZA, Lavoro autonomo e collaborazioni organizzate nel jobs act, in Le riforme del lavoro (contratti e mansioni. Il riordino dopo il d.lgs. 15/6/2015, n. 81), Il Sole 24 Ore, luglio, 2015, 8, il quadro normativo delineato dal d.lgs. n. 23/2015 lascerebbe “ampi margini all’autonomia negoziale individuale per dedurre in contratto prestazioni d’opera (art. 2222 c.c.) e prestazioni d’opera coordinate e continuative (art. 409 c.p.c.), con la sola, ma non trascurabile, incognita derivante dalla nuova e sfuggente fattispecie delle “collaborazioni organizzate dal committente” che per legge sono attratte dal 1° gennaio 2016 nella disciplina del lavoro subordinato ... può sorprendere che la legge delega in più passaggi faccia riferimento al “superamento” del co.co.co., mentre l’art. 52 del d.lgs. n. 81/2015 fa salvo l’art. 409 c.p.c.”.
[27] Cfr. L. FAILLA-E. CASSANETI, La riforma delle collaborazioni e dell’associazione in partecipazione, in Giur. lav., 2015, 27, 7 ss.
[28] Si è espressa per una generale nonché generica applicazione alle collaborazioni etero-organizzate della disciplina relativa alla subordinazione la Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociale, 1 febbraio 2016, n. 3.
[29] A. PERULLI, Costanti e varianti in tema di subordinazione e autonomia, in Lav. dir., 2015, 259 ss.
[30] Su tale profilo si rimanda a C. SANTORO, La delega “in bianco” alla contrattazione collettiva sulle collaborazioni “etero-organizzate” e prime applicazioni concrete, in Dir. rel. ind., 2015, 1165 ss.
[31] Sul punto v. P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lg. n. 81/2015: una norma apparente?, in Arg. dir. lav., 2015.
[32] I primi esiti della contrattazione, però, sembrano andare in direzione opposta considerato che ad oggi diversi CCNL escludono l’estensione della disciplina dettata per i subordinati ai collaboratori. L’esercizio del potere rimesso all’autonomia collettiva sembra invero scontrarsi con gli obiettivi che il legislatore si è dato, tanto che, ma non è questa la sede, andrebbe analizzata la legittimità di un tale rinvio.
[33] Cfr. G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 n. 3 c.p.c. (art. 2), cit. A ciò si aggiunga che è prevista la possibilità per le parti di richiedere alle commissioni ex art. 76 d.lgs. n. 276/2003 di certificare l’assenza dei requisiti che determinano l’automatica trasformazione della collaborazione in contratto di lavoro subordinato.
[34] Per un’analisi dell’orientamento giurisprudenziale per il quale la prova della natura subordinata del rapporto non è più sempre necessaria agli effetti dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, essendo sufficiente la deduzione e la prova da parte del lavoratore di una subordinazione atipica, si rimanda a A. PILEGGI, La subordinazione come sanzione nella giurisprudenza romana, in G. SANTORO PASSARELLI-G. PELLACANI (a cura di), Subordinazione e lavoro a progetto, Utet, Torino, 2009, 231 ss.
[35] Cfr. Su tali aspetti A. ANDREONI, La nuova disciplina per i collaboratori “etero-organizzati”: prime osservazioni, in Riv. dir. sic. soc., 2015, 731 ss.
[36] Cfr. F.S. IVELLA, Il riordino delle tipologie contrattuali e delle mansioni, in Le riforme del lavoro (contratti e mansioni dopo il d.lgs. 15/6/2015, n. 81), Il Sole 24 ore, 2015.
[37] Rimangono espressamente nell’alveo delle collaborazioni “genuine” e dunque assoggettate alla disciplina propria della parasubordinazione: le collaborazioni oggetto di discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle esigenze produttive ed organizzative del relativo settore, dettate dagli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in albi professionali; le attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; le collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall’art. 90, legge 27 dicembre 2002, n. 289. Nota G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 n. 3 c.p.c. (art. 2), cit. che “se si riconosce che la formula utilizzata nel comma 1, abbia ricondotto nel lavoro subordinato le collaborazioni organizzate dal committente, le esclusioni previste al comma 2 appaiono irragionevoli, perché sottraggono alla disciplina del lavoro subordinato fattispecie che ai sensi dell’art. 2, comma 1, dovrebbero essere ricondotte al lavoro subordinato per tutte le ragioni esposte precedentemente. E infatti, come si è detto, sotto questo profilo non sembra manifestamente infondata la questione di la legittimità costituzionale di queste norme, quantomeno sotto il profilo della irragionevolezza ex art. 3 Cost. della separazione fra fattispecie e relativo trattamento normativo”.
[38] G. PROIA, Riflessioni sulla nozione di coordinazione, in G. SANTORO PASSARELLI-G. PELLACANI (a cura di), Subordinazione e lavoro a progetto, Utet, Torino, 2009, 149, il contenuto e l’effetto della coordinazione devono essere individuati dal modo in cui essi si realizzano nel tipo contrattuale, il contratto di agenzia, che è assunto a paradigma della nuova categoria. Pertanto essi andrebbero individuati “nell’assoggettamento del prestatore d’opera al potere del committente di impartire istruzioni che, fermo l’oggetto del contratto e nel rispetto dell’autonomia nell’esecuzione della prestazione dovuta, assicurino la proficua integrazione tra l’attività del prestatore e l’organizzazione del committente”.
[39] Secondo la Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociale, 1° febbraio 2016, n. 3, tali condizioni devono ricorrere congiuntamente.
[40] “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. Al titolo II del d.d.l. si prevedono quindi disposizioni in materia di lavoro agile inteso come flessibilità del lavoro finalizzata a incrementarne la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
[41] Per un lungo periodo l’elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato è stato individuato nella c.d. etero-direzione alla quale è soggetto il prestatore di lavoro, consistente nel potere attribuito negozialmente al datore di lavoro di dettare e modificare in modo unilaterale e continuo modalità esecutive e spazio-temporali della prestazione di lavoro. Sennonché, con il tramonto nei Paesi occidentali dei sistemi fordisti e tayloristi e con il passaggio ad una economia “post industriale”, tale criterio non è più idoneo ad assolvere una funzione discretiva tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, essendosi le due tipologie contrattuali progressivamente “contaminate” tra loro. Cfr. in tal senso, M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, Cedam, Padova, 2013, 7 ss.
[42] Cfr. L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015: alla ricerca dell’“autorità del punto di vista giuridico”, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 2015, 267, 24.
[43] Secondo E. ROCCHINI-A.D. ZUMBO, Il nuovo regime dei contratti flessibili e la disciplina del mutamento delle mansioni, in R. PESSI-G. SIGILLÒ MASSARA, Jobs Act. Prime riflessioni e decreti attuativi, Eurilink, 2015, 45, vi sarebbe una reviviscenza delle elaborazioni giurisprudenziali precedenti all’entrata in vigore della c.d. Riforma Biagi, che si prefiggeva l’obiettivo di distinguere il lavoro coordinato e continuativo da quello dipendente verificando la ricorrenza di un potere organizzativo così pregnante da trasformare il coordinamento della prestazione in etero-direzione.
[44] Cfr. in tal senso Cass., sez. lav., 22 gennaio 2014, n. 1318; Cass., sez. lav., 22 gennaio 2014, n. 1318; Cass., sez. lav., 22 gennaio 2014, n. 1318; Cass., sez. lav., 22 gennaio 2014, n. 1318; Cass., sez. lav., 22 gennaio 2014, n. 1318, con nota di C. SANTORO, Eterorganizzazione e attività lavorative tipologicamente subordinate, in Lav. giur., 2015, 8/9, 814 ss.; G. BUBOLA-D.VENTURI, La parasubordinazione non etero-organizzata dopo il jobs act, Adapt, 2015, 187 ss.
[45] Cfr. M. TIRABOSCHI, Il lavoro etero-organizzato, in Dir. rel. ind., 2015, 986 ss.
[46] Per una ricognizione dell’elaborazione giurisprudenziale in tema di criteri distintivi tra collaborazione e lavoro subordinato in costanza della disciplina precedente al d.lgs. n. 81/2015 si rimanda a L. CACCIAPAGLIA-E. DE FUSCO, Collaborazione a progetto e lavoro occasionale, Il Sole 24 Ore, 2005, 9 ss. e a P. PIRRUCCIO, Le collaborazioni a progetto, Giappichelli, Torino, 2006, 4 ss. Per un quadro degli orientamenti dottrinari in materia, si rinvia a M. SFERRAZZA, Il contratto di lavoro a progetto, Giuffrè, Milano, 2004, 8 ss.
[47] Cfr. Corte cost., 5 febbraio 1996, n. 30, in Riv. crit. dir. lav., 1996, 616 ss., a mente della quale: “Per l’applicazione degli altri aspetti della tutela del lavoro, invece, e in particolare di quelli concernenti la retribuzione, assume rilievo non tanto lo svolgimento di fatto di un’attività di lavoro connotata da elementi di subordinazione, quanto il tipo di interessi cui l’attività è funzionalizzata e il corrispondente assetto di situazioni giuridiche in cui è inserita. Devono cioè concorrere tutte le condizioni che definiscono la subordinazione in senso stretto, peculiare del rapporto di lavoro, la quale è un concetto più pregnante e insieme qualitativamente diverso dalla subordinazione riscontrabile in altri contratti coinvolgenti la capacità di lavoro di una delle parti. La differenza è determinata dal concorso di due condizioni che negli altri casi non si trovano mai congiunte: l’alienità (nel senso di destinazione esclusiva ad altri) del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata, e l’alienità dell’organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce. Quando è integrata da queste due condizioni, la subordinazione non è semplicemente un modo di essere della prestazione dedotta in contratto, ma è una qualificazione della prestazione derivante dal tipo di regolamento di interessi prescelto dalle parti con la stipulazione di un contratto di lavoro, comportante l’incorporazione della prestazione di lavoro in una organizzazione produttiva sulla quale il lavoratore non ha alcun potere di controllo, essendo costituita per uno scopo in ordine al quale egli non ha alcun interesse (individuale) giuridicamente tutelato”.
[48] Cfr. Cass., sez. lav., 9 ottobre 2006, n. 21646, in Riv. giur. lav., 2, 2007; Cass., sez. lav., 6 settembre 2007, n. 18692 in Riv. it. dir. lav., 2008, 2.
[49] Cfr. App. Genova, 30 settembre 2013, con nota di C. SANTORO, La subordinazione come “doppia alienità” del lavoratore, Bollettino Adapt, 2013.
[50] Come autorevolmente affermato da M. ROCCELLA, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, oggi, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 65, 2008, 34 s., la giurisprudenza costituzionale ricordata ha avuto il pregio di distinguere fra la subordinazione tecnico-funzionale (quella che, attraverso l’accertamento dell’etero-direzione, caratterizzerebbe il tipo legale del lavoro subordinato, secondo l’impostazione dominante contestata dalla Corte) e la “subordinazione in senso stretto”, tipica ed esclusiva di quel rapporto economico-sociale cui si allude, quando si parla di lavoro subordinato.
[51] Sul punto M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, Cedam, Padova, 2013, 23 ss., ritiene che la tendenza legislativa degli Stati membri e della giurisprudenza della Corte sia nel senso che la etero-direzione costituirebbe l’elemento decisivo per la qualificazione.
[52] Per P. ICHINO, Sulla questione del lavoro non subordinato ma sostanzialmente dipendente nel diritto europeo e in quello degli Stati membri, in Riv. it. dir. lav., 2015, 578 ss., la soluzione al problema di qualificazione del rapporto di lavoro potrebbe derivare dall’analisi economica del diritto e in tal senso la legge n. 92/2012 avrebbe avuto il merito di individuare quali criteri sintomatici della subordinazione l’apprezzabile durata del rapporto di lavoro, al mono-committenza, il livello di professionalità medio-basso e la corrispondente retribuzione. T. VETTOR, Tra autonomia e subordinazione. Problemi definitori e tendenze regolative negli ordinamenti giuridici europei, in M. PALLINI (a cura di), Il “lavoro a progetto” in Italia e in Europa, il Mulino, Bologna, 2006, 197 s., rileva che nelle tesi dottrinali tedesche della dipendenza economica questa si esplica in un insieme di indici, consistenti: nella non occupazione di altri lavoratori alle proprie dipendenze; l’assenza di una propria organizzazione imprenditoriale; l’assenza di propri capitali investiti nell’attività lavorativa; la prestazione di attività di lavoro tendenzialmente in favore di un unico datore. Si tratterebbe di una nozione presente, in termini sostanzialmente analoghi, nel panorama giurisprudenziale inglese mediante l’uso del criterio di qualificazione – non dirimente – dell’economic reality test.
[53] Secondo G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro a progetto, in P. LAMBERTUCCI (a cura di), Diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2010, 283, la prospettiva metodologica che vuol potenziare il concetto della dipendenza economica dovrebbe affidare alla contrattazione collettiva la determinazione dell’ambito del lavoro autonomo continuativo economicamente dipendente, trattandosi di un’area di dimensioni variabili e diversificata a seconda del settore merceologico.
[54] Nel dibattito europeo emergerebbe la convergenza dei tratti fenomenologici del lavoro autonomo economicamente dipendente, individuabili nella personalità della prestazione, nell’assenza di rapporto diretto da parte del prestatore con il mercato dei beni e servizi, l’esclusività ovvero assoluta prevalenza del compenso rispetto alle altre fonti di reddito da lavoro del prestatore, l’inserimento organico della prestazione nel processo produttivo d’impresa e conseguente necessità di coordinamento con questo, nonché la continuità della prestazione. Cfr. M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, Cedam, Padova, 2013, 72.
[55] M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, Cedam, Padova, 2013, 33, ha rilevato come l’Unione europea non abbia ancora maturato piena consapevolezza della tematica del lavoro economicamente dipendente e sia priva di strumenti per uniformare le nozioni giuridiche dei tipi contrattuali che governano una prestazione di lavoro. Sennonché un intervento regolativo di tal fatta, qualora adottato, finirebbe molto probabilmente per travalicare le competenze normative dell’Unione, coinvolgendo la retribuzione e i diritti sindacali, per i quali continua ad essere espressamente esclusa la possibilità di legiferare per l’Unione.
[56] Secondo A. PERULLI, Costanti e varianti in tema di subordinazione e autonomia, in Lav. dir., 2015, 263, il concetto del lavoro “economicamente dipendente” accomunerebbe il lavoro subordinato e alcuni settori di quello autonomo, qualificando un “intermediate group of dependent contractors” la cui inclusione dell’orizzonte del diritto del lavoro si giustificherebbe sia in una logica selettiva, sia in una direzione universalistica. In particolare, la parasubordinazione e i contratti di lavoro autonomo economicamente dipendente rappresenterebbero “un terreno elettivo per testare i possibili innesti tra mercato e gerarchia alla luce della teoria dei contratti relazionali e dei nuovi fluttuanti confini dell’impresa […] L’esperienza del lavoro economicamente dipendente è emblematica del tentativo di ibridare in un rapporto formalmente autonomo gli elementi del mercato e della gerarchia, della transazione discreta e del contratto relazionale: viene così a definirsi una forma negoziale mista ove, da un lato, il progetto organizzativo predisposto dal committente predefinisce la sfera debitoria con un inedito effetto di “riduzione al presente” delle aspettative obbligatorie delle parti; dall’altro lato il coordinamento e la continuità del rapporto garantiscono la soddisfazione di un interesse organizzativo del committente”. Sul tema v. anche R. VOZA, Interessi collettivi, diritto sindacale e dipendenza economica, Cacucci, Bari, 2004.
[57] Cfr. in tal senso P. ALLEVA, Il “Libro Verde” della Commissione UE e l’esperienza italiana della “flessicurezza”, Bollettino Adapt, 20 marzo 2007, n. 9, 4; ID., Per una vera riforma del lavoro a progetto, in G. GHEZZI (a cura di), Il lavoro tra progresso e mercificazione, Ediesse, Roma, 2004, 333 ss. Più recentemente sull’equiparazione fra sostanziale subordinazione e dipendenza cfr. L. MARIUCCI, Il diritto del lavoro ai tempi del renzismo, in Lav. dir., 2015, 13.