Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
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Il licenziamento e la legge: una (vecchia) questione di limiti (di Lorenzo Zoppoli (Prof. Ordinario di diritto del lavoro dell'Università di Napoli Federico II)  )


In occasione dei cinquant’anni della legge 15 luglio 1966 n.604 l’A. analizza la dialettica tra iura e leges nella disciplina dei licenziamenti. La tesi sostenuta è che la riforma del 1966 introduce un nuovo principio (la necessaria giustificazione del licenziamento) ma senza intaccare alcuni importanti principi del passato rinvenibili nel codice civile del 1942. Nel periodo compreso tra il 1970 e il 1990 il legislatore tocca in parte i vecchi principi, ma non per tutti. Restano fuori ad esempio milioni di dipendenti delle piccole imprese (in Italia circa il 90%). Con il Jobs Act la legge intraprende una strada che riconduce al codice civile del 1942, ma senza considerare che il principio introdotto nel 1966 è ormai tutelato da norme di rango costituzionale e dalla stessa legge generale dei contratti.

Dismissals and the Law: an (old) question about limits

On occasion of the fifty-year anniversary of the first Italian Act on dismissals (Law 15.7.1966 n° 604), the Author analyses the dialectic between iura and leges in this matter. The proposed thesis is that the 1966 Reform introduced a new principle (the justification of dismissals), without repealing some important principles of the past enshrined in the Civil Code of 1942. In the period 1970-1990, law intervened on some of those principles, even though not for all the workers since millions of workers of the small enterprises were not interested by that reform (in Italy small enterprises are about 90% of the total). Nowadays the so-called Jobs Act tries to come back to the Civil Code, although it does not take into consideration that the principle of the justification of dismissals is currently protected by Constitutional laws and also by the general law of the contracts.

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1. Il paradigma originario: zero stabilità e tutela della libertà di impresa Prima del 1966 nella legislazione italiana non esisteva il licenziamento, come istituto generale riguardante il contratto di lavoro. Esisteva naturalmente il recesso, un negozio “astratto” [1], istituto generale del diritto civile, regolato però in modo speciale dal codice, sulla falsariga della legge sull’impiego privato del 1924. E, come si sa, l’unico limite al potere di recesso (ordinario, fermo restando quello straordinario o in tronco) dei contraenti consisteva nel­l’obbligo di dare un preavviso. Un limite normativo blando, ma teoricamente basato su più di un principio/argomento, ognuno dotato di grande solidità for­male e sostanziale. Sotto il profilo formale si riteneva che il preavviso fosse l’unica possibile restrizione al principio (ottocentesco) secondo cui nessuno può restare vincolato in perpetuo da un impegno contrattuale (art. 1628/1865 c.c.) [2]. Inoltre, essendo il contratto di lavoro ontologicamente connotato dal carattere fiduciario e infungibile della prestazione lavorativa nonché dall’in­fun­gi­bilità della cooperazione creditoria, ogni altro eventuale vincolo legislativo sarebbe stato ineffettivo, tamquam non esset. Dal punto di vista sostanziale si può poi ricordare un’efficace (e nota) argomentazione del Barassi del 1917 [3], secondo cui era necessario evitare il controllo giudiziario sulle cause del licenziamento, “cioè una forma di inquisizione che può degenerare fino a diventare tirannica e che non si sa … quanto sia compatibile con la necessaria autonomia, di cui i capi di azienda sono gelosissimi” [4]. Mettendo insieme i tre principi/argomenti viene fuori il paradigma originario della disciplina dei licenziamenti nel diritto del lavoro in formazione: temporaneità del vincolo contrattuale a garanzia della libertà dei contraenti; incoercibilità degli obblighi di fare infungibili a garanzia della libertà del creditore della prestazione lavorativa; pericolosità del controllo giudiziario per la libertà dell’imprenditore. Un paradigma che, partendo dall’astra-zione del negozio, approda alla tutela di un interesse quanto mai concreto, l’interesse alla libertà dell’impresa di disporre liberamente della forza-lavoro utilizzata. Per converso era pressoché nulla la tutela dell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto (melius del contratto) di lavoro [5]. La legge n. 604/1966 – avvalendosi di un solo precedente del 1963, incentrato su una fattispecie caratterizzata da una condizione particolare, contingente [6] e potentemente evocativa di valori tradizionali (“la famiglia” [7]: il licenziamento delle [continua..]

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