Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Solidarietà e tutele negli appalti (di Giovanni Costa (Avvocato in Milano, Dottore di ricerca in Diritto del lavoro e Relazioni industriali dell’Uni­versità Cattolica di Milano))


Il saggio si prefigge di ricostruire il quadro normativo e concettuale venutosi ad enucleare a seguito dell’abrogazione della legge n. 1369/1960 in tema di interposizione di manodopera, nonché della contemporanea dilatazione della responsabilità solidale del committente di un appalto, in forza del disposto dell’art. 29, d.lgs. n. 276/2003. Vengono, pertanto, esaminate le innumerevoli evoluzioni cui la responsabilità solidale negli appalti è stata sottoposta, estendendo l’analisi alla disciplina relativa alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, al tema della successione dei contratti di appalto e a quello della compatibilità delle clausole sociali con il diritto europeo, cercando di evidenziare le criticità cha allo stato ancora permangono in punto di universalità delle tutele per i lavoratori utilizzati negli appalti.

Joint liability and legal protections in contracts

The essay aims to reconstruct the legal and conceptual framework occurred as a result of the repeal of the Law No.1369/1960 concerning the interposition of labor, as well as the simultaneous expansion of the joint liability of the buyer of a contract, pursued to article 29, Legislative Decree No. 276/2003. Therefore, are examined the many developments which the joint liability in contracts was submitted, extending the analysis to the rules on the health and safety of employees, the issue of succession of contracts and the compatibility of social clauses in contracts with the European Law, trying to highlight the problems that still remain concerning legal protections of the workers employed in contracts.

1. Un sistema a geometria variabile nel tempo e nello spazio L’utilizzazione indiretta del lavoro negli appalti è un tema in continua evoluzione, nutrito di una pluralità di intrecci come pochi altri nel diritto del lavoro: basti pensare alle implicazioni di ordine economico-aziendale e a quelle del diritto europeo e comparato che da esso promanano. Ciò spiega perché l’at­tenzione degli attori istituzionali e degli operatori del diritto non si sofferma più, esclusivamente, sulla distinzione tra fattispecie “patologica” e fattispecie “fisiologica” dei fenomeni di esternalizzazione che si realizzano tramite appalto, ma si dirige nell’ottica delle politiche di competitività dell’impresa. E cioè, a me pare che, in questo ambito, il diritto del lavoro, più che in altri, compia uno sforzo maggiore sul piano del suo intrinseco rinnovamento, non svolgendo più esclusivamente la tradizionale e, ad esso connaturata, funzione di tutela dei lavoratori e delle condizioni di lavoro, quanto, interessandosi anche all’altro soggetto del contratto di lavoro – spesso posto in secondo piano – giungendo così a definire tecniche di regolazione della competitività tra le imprese. 2. L’evoluzione normativa in tema di utilizzazione indiretta del lavoro L’atteggiamento del legislatore nei confronti di tale fenomeno non è stato sempre promozionale, anzi. Già l’art. 2127 c.c. vietava all’imprenditore di “affidare a propri dipendenti lavoro a cottimo da eseguirsi da prestatori di lavoro assunti e retribuiti direttamente dai dipendenti medesimi”. Si trattava, in realtà, di un caso del tutto peculiare di interposizione che determinava la responsabilità dell’imprenditore per i crediti dei lavoratori assunti dal proprio dipendente. Come ben noto, la successiva legge 23 ottobre 1960, n. 1369 introduceva, invece, una disciplina completa e rigorosissima del fenomeno interpositorio che assorbiva la disposizione codicistica. Tale legge, infatti, non si limitava a porre un divieto di interposizione nel cottimo realizzata mediante qualsiasi intermediario, ma vietava l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l’im­piego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’interme­diario, ponendo, inoltre, una presunzione assoluta di legge a favore dell’ille­gittimità dell’appalto per il caso in cui esso fosse eseguito con utilizzazione di mezzi, capitali e macchinari di provenienza dell’appaltante, quand’anche per il loro utilizzo venisse corrisposto a questi un compenso. Ne conseguiva che, anche un appalto d’opera o servizio eseguito dall’appaltatore con organizzazione e gestione propria, nonché con assunzione del rischio d’impresa, rientrava nel [continua..]

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SOMMARIO:

1. Un sistema a geometria variabile nel tempo e nello spazio - 2. L'evoluzione normativa in tema di utilizzazione indiretta del lavoro - 3. La disciplina della responsabilità solidale negli appalti: il restyling infinito - 4. Successione di appalti e tutela della continuità dell'occupazione - 5. Il sistema delle tutele nell'appalto non genuino - 6. La qualificazione delle obbligazioni solidali negli appalti - 7. Qualche considerazione conclusiva - NOTE


1. Un sistema a geometria variabile nel tempo e nello spazio

L’utilizzazione indiretta del lavoro negli appalti è un tema in continua evoluzione, nutrito di una pluralità di intrecci come pochi altri nel diritto del lavoro: basti pensare alle implicazioni di ordine economico-aziendale e a quelle del diritto europeo e comparato che da esso promanano. Ciò spiega perché l’at­tenzione degli attori istituzionali e degli operatori del diritto non si sofferma più, esclusivamente, sulla distinzione tra fattispecie “patologica” e fattispecie “fisiologica” dei fenomeni di esternalizzazione che si realizzano tramite appalto, ma si dirige nell’ottica delle politiche di competitività dell’impresa. E cioè, a me pare che, in questo ambito, il diritto del lavoro, più che in altri, compia uno sforzo maggiore sul piano del suo intrinseco rinnovamento, non svolgendo più esclusivamente la tradizionale e, ad esso connaturata, funzione di tutela dei lavoratori e delle condizioni di lavoro, quanto, interessandosi anche all’altro soggetto del contratto di lavoro – spesso posto in secondo piano – giungendo così a definire tecniche di regolazione della competitività tra le imprese.


2. L'evoluzione normativa in tema di utilizzazione indiretta del lavoro

L’atteggiamento del legislatore nei confronti di tale fenomeno non è stato sempre promozionale, anzi. Già l’art. 2127 c.c. vietava all’imprenditore di “affidare a propri dipendenti lavoro a cottimo da eseguirsi da prestatori di lavoro assunti e retribuiti direttamente dai dipendenti medesimi”. Si trattava, in realtà, di un caso del tutto peculiare di interposizione che determinava la responsabilità dell’imprenditore per i crediti dei lavoratori assunti dal proprio dipendente. Come ben noto, la successiva legge 23 ottobre 1960, n. 1369 introduceva, invece, una disciplina completa e rigorosissima del fenomeno interpositorio che assorbiva la disposizione codicistica. Tale legge, infatti, non si limitava a porre un divieto di interposizione nel cottimo realizzata mediante qualsiasi intermediario, ma vietava l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l’im­piego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’interme­diario, ponendo, inoltre, una presunzione assoluta di legge a favore dell’ille­gittimità dell’appalto per il caso in cui esso fosse eseguito con utilizzazione di mezzi, capitali e macchinari di provenienza dell’appaltante, quand’anche per il loro utilizzo venisse corrisposto a questi un compenso. Ne conseguiva che, anche un appalto d’opera o servizio eseguito dall’appaltatore con organizzazione e gestione propria, nonché con assunzione del rischio d’impresa, rientrava nel divieto in esame, nell’evenienza di impiego di mezzi, capitali e macchinari forniti dal committente, anche se a titolo oneroso [1]. Un primo varco al divieto di interposizione di manodopera venne aperto dalla giurisprudenza a partire dagli anni ’70 del Novecento. I giudici [2], infatti, nonostante le perplessità illustrate da parte della dottrina [3] cominciavano a ritenere conforme alla legge il c.d. distacco che, seppur lontano dall’essere considerato un istituto di generale applicazione configurava lecito, per la prima volta, il decentramento dell’attività di lavoro, profilando un modello alternativo di organizzazione dell’impresa. Una seconda deroga al divieto di interposizione di manodopera era stata poi prevista con l’introduzione del lavoro temporaneo tramite agenzia [4]. Esso, tuttavia, costituiva solo [continua ..]


3. La disciplina della responsabilità solidale negli appalti: il restyling infinito

A) D.lgs. n. 276/2003 I confini dell’appalto genuino sono stati ridisegnati dal legislatore del d.lgs. n. 276/2003. L’art. 29 del suddetto decreto [15], infatti, al primo comma, ha introdotto una definizione degli elementi costitutivi dell’appalto diretta a precisare la fattispecie di cui all’art. 1655 c.c., alla luce del rischio di impresa, del requisito dell’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può, così, risultare, in relazione alle specifiche esigenze dell’opera o del servizio dedotti nel contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto [16], secondo quanto già in precedenza accolto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità [17]. Il secondo comma dell’art. 29, invece, prevede che il committente sia obbligato in solido con l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori per i trattamenti retributivi e contributivi previsti in favore dei lavoratori occupati nell’ambito dell’appalto, entro il limite di due anni dalla data di cessazione dello stesso. Il suddetto vincolo solidale è derogabile dalla contrattazione collettiva nazionale a condizione di prevedere metodi e procedure di controllo e verifica della regolarità degli appalti. Si prevede, inoltre, che l’obbligato in solido possa opporre il beneficio della preventiva escussione del patrimonio del debitore principale e degli eventuali subappaltatori. Rispetto alla disciplina di cui alla legge n. 1369/1960, dunque, la vera novità si registra non sul piano dell’introduzione di una nuova fattispecie, quanto semmai, sul piano delle tecniche di tutela predisposte dal legislatore: difatti essa opera a prescindere dall’esame concreto della tipologia delle prestazioni effettuate e dalle caratteristiche dell’organizzazione dell’ap­pal­tatore, di talché, il committente risponde comunque per il pagamento delle retribuzioni dei dipendenti dell’impresa appaltatrice anche qualora non vi siano dubbi sulla sussistenza della genuinità dell’appalto [18]. Di grande impatto è il coinvolgimento dell’intera filiera contrattuale: rispondono in solido per il pagamento delle retribuzioni, dei contributi e dei premi assicurativi non soltanto il committente e [continua ..]


4. Successione di appalti e tutela della continuità dell'occupazione

L’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 276/2003, dispone che l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito del subentro di nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto non costituisce ipotesi di trasferimento d’azienda o di un suo ramo, privando i lavoratori della pregante tutela di cui all’art. 2112 c.c. Nelle ipotesi di successione di contratti di appalto, dunque, la legge, non impone all’appaltatore subentrante di riassumere i lavoratori del precedente appaltatore preservandone i diritti maturati presso quest’ultimo. A questo risultato, tuttavia, si può giungere attraverso la contrattazione collettiva e, più precisamente, attraverso le clausole di riassunzione contenute nei contratti collettivi. Esse, presenti oramai nella quasi totalità dei contratti collettivi, rientrano nella categoria delle c.d. clausole sociali, le quali, a seguito di un processo di “mutazione funzionale” hanno assunto compiti di gestione dell’occupazione e dei conflitti nelle relazioni industriali, ponendo inevitabilmente alcuni vincoli alla libertà di organizzazione dell’impresa [48]. Vi sono clausole che stabiliscono forme incisive di condizionamento attraverso la previsione in capo all’impresa subentrante dell’obbligo di assumere senza periodo di prova tutto il personale già addetto all’esecuzione del­l’ap­palto presso l’appaltatore uscente e di garantirgli al contempo il mantenimento di un trattamento economico non inferiore a quello di cui godevano in precedenza [49]. Altre clausole, invece, fissano vincoli meno incisivi attraverso la previsione in capo all’appaltatore subentrante di obblighi di assunzione limitati o soggetti a condizioni: si prevede, così, accanto alla condizione che il cambio di appalto avvenga a parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali, quella in cui il cambio di appalto avvenga con modificazioni contrattuali in cui l’obbligo di riassunzione degrada ad obbligo procedimentale di ricerca di accordo con le parti sociali [50], oppure quella che subordina l’operatività dell’obbligo di assunzione alla circostanza che il numero di lavoratori coinvolti sia superiore ad una certa soglia [51]. Infine, vi sono clausole che si limitano a [continua ..]


5. Il sistema delle tutele nell'appalto non genuino

Secondo una tesi ampiamente condivisa in dottrina [82], la conclusione di un contratto di appalto non genuino prevede l’applicazione di conseguenze sanzionatorie parallele rispetto a quelle previste per il ricorso illecito alla somministrazione di lavoro. Ai sensi dell’art. 29, comma 3 bis, d.lgs. n. 276/2003, infatti, il lavoratore interessato può richiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione qualora il contratto di appalto sia stato stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1 del medesimo art. 29, d.lgs. n. 276/2003. Come si evince, il contenuto dell’art. 29, comma 3 bis riproduce quanto previsto dall’art. 27, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 in tema di somministrazione irregolare – con l’unica differenza di non considerare l’efficacia retroattiva della costituzione del rapporto di lavoro – per il resto rinviando alla disposizione di cui al comma secondo del medesimo articolo 27, che fa salvi i pagamenti e gli atti compiuti dal somministratore nel periodo in cui la somministrazione ha avuto luogo, i quali, rispettivamente, valgono a liberare e si intendono compiuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione. Da qui la considerazione per la quale l’art. 27 è la norma sanzionatoria cardine all’interno della disciplina dell’interposizione delineata dal d.lgs. n. 276/2003, idonea a governare gli “ampi territori dell’interposizione vietata” [83] e ad assorbire tutte le “patologie esterne” [84] alla somministrazione lecita ed autorizzata, nonché a ricondurre ad unità tutte le ipotesi di interposizione illecita, attraverso la determinazione di effetti uniformi in conseguenza dell’applicazione della sanzione [85]. Venendo ad esaminare le concrete modalità operative della sanzione [86], va detto che, ad una prima lettura, l’art. 27, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, sembra riproporre il vecchio meccanismo sanzionatorio previsto dalla legge n. 1369/1960: il lavoratore, infatti, ha facoltà di chiedere, ex art. 414 c.p.c. la “costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze” del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, con “effetto dall’inizio della somministrazione”. In realtà, tra le due norme vi è una [continua ..]


6. La qualificazione delle obbligazioni solidali negli appalti

Sin dalla vigenza della legge n. 1369/1960 la dottrina si è mostrata sensibile alla questione della qualificazione delle obbligazioni solidali negli appalti senza, tuttavia, riuscire ad elaborare ricostruzioni perfettamente coerenti con i principi positivi che regolano la materia. In particolare, tre sono le opinioni proposte per cercare di trovare una soluzione alla problematica sopra emarginata [98]. Secondo la prima, l’obbligazione solidale del committente e dell’appalta­to­re per i crediti retributivi e previdenziali rappresenterebbe un’ipotesi di accollo ex lege [99]; in forza di una seconda opinione, invece, si tratterebbe di un’ipotesi di fideiussione ex lege [100]; per una terza opinione [101], infine, ricorrerebbe un’i­potesi di obbligazione solidale “pura”, nella forma di obbligazione soggettivamente complessa disciplinata dagli artt. 1292-1313 c.c.. La teoria che colloca le obbligazioni solidali in materia di appalti all’in­ter­no della categoria delle obbligazioni solidali ad interesse unisoggettivo, sebbene appaia ancor più plausibile all’indomani dell’introduzione del litisconsorzio necessario e del beneficio di preventiva escussione ad opera della legge n. 92/2012, può apparire riduttiva, se si ha riguardo alle funzioni che le obbligazioni solidali esplicano nell’ambito degli appalti [102], funzioni che, travalicano la mera tutela del credito dei soggetti interessati. Dall’altro lato, l’inquadramento delle obbligazioni solidali in materia di ap­palti nella categoria delle obbligazioni solidali soggettivamente complesse deve prima passare attraverso la verifica della sussistenza dei presupposti necessari ai fini dell’esistenza della solidarietà: pluralità di debitori, identità del debito e unicità del fatto generatore dell’obbligazione. Quanto al primo presupposto non si pongono particolari problemi, dato che è la legge stessa a riconoscere, sia nell’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, sia nell’art. 26, comma 4, d.lgs. n. 81/2008, in capo all’appaltatore e al committente, la sussistenza di un debito verso il lavoratore, loro comune creditore. Per quanto riguarda il presupposto della “eadem res debita”, nessuna questione si pone in ordine alle ipotesi di responsabilità solidale di cui agli artt. [continua ..]


7. Qualche considerazione conclusiva

Sin dalla promulgazione del Codice civile il legislatore ha rivolto la propria attenzione ai lavoratori utilizzati negli appalti riconoscendo ai dipendenti dell’appaltatore la possibilità di agire ex art. 1676 c.c. direttamente nei confronti del committente. A questa prima forma di responsabilità l’art. 3 della legge n. 1369/1960 ha affiancato l’obbligo dell’imprenditore appaltante di garantire ai lavoratori dipendenti dell’appaltatore, in solido con questi, un trattamento minimo inderogabile retributivo e un trattamento minimo non inferiori a quelli spettanti ai dipendenti del committente, oltre che all’adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza ed assistenza [106]. Il d.lgs. n. 276/2003, poi, ha ampiamente modificato il sistema di tutele rappresentato dalle norme citate, abrogando integralmente la legge n. 1369/1960 e introducendo uno specifico regime solidale fra committente e appaltatore. Con il d.lgs. n. 223/2006, inoltre, è stata prevista la responsabilità solidale in materia fiscale e tributaria, introducendo un meccanismo di controllo a catena esteso all’intera filiera produttiva [107], salvo poi essere definitivamente soppressa dall’art. 28, d.lgs. n. 175/2014, mentre l’art. 26, d.lgs. n. 81/2008 ha esteso alla salute e alla sicurezza dei lavoratori impiegati negli appalti la responsabilità solidale di appaltatore e committente (ed eventuali subappaltatori) “per tutti i danni per i quali il lavoratore non risulti indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni (INAIL)…”. Come può agevolmente ricavarsi l’ambito di applicazione della responsabilità solidale si è notevolmente dilatato, venendo ad incidere su settori in precedenza privi di una tutela così pregnante per i lavoratori, tanto da fare sostenere l’esistenza di un principio generale della solidarietà nell’ordinamento lavoristico [108]. In realtà, un’affermazione di tal genere non pare essere condivisibile: la solidarietà negli appalti è e rimane una regola speciale del nostro ordinamento, tanto più che ad una prima fase in cui il suo operare veniva esteso sempre più ne sta seguendo una nuova in cui essa viene via via restringendosi. In particolare, il legislatore del 2012 con [continua ..]


NOTE