Il saggio analizza da molteplici angolature i problemi del lavoro dei rider. È anzitutto esaminata l’incidenza nel nostro ordinamento delle piattaforme digitali e sono affrontate le questioni legate all’inquadramento di questi rapporti nell’ambito del lavoro autonomo o di quello eterorganizzato.
Sono poi sottolineate le criticità dell’accordo stipulato tra Assodelivery e Ugl e le modalità con cui in esso sono regolati i diritti sindacali. In proposito è sostenuta la necessità di considerare la continuità del lavoro dei rider, a prescindere dalla formale tipologia di impiego, con l’esigenza dunque di verificare in concreto quanto le prestazioni eseguite mediante app siano stabili.
L’indagine è poi concentrata sugli aspetti controversi del riconoscimento dei diritti sindacali del titolo III dello Statuto ai rider “eterorganizzati”. Sono esaminati, in questa prospettiva, i problemi legati all’“unità produttiva” e si riflette sulla capacità del concetto di adattarsi a un lavoro privo di un luogo fisico di riferimento.
The essay analyses the problems of the work of riders. First, the incidence of digital plat-forms in our legal system and the issues related to the classification of these relationships as autonomous or hetero-organized work are examined.
The critical aspects of the collective agreement stipulated between Assodelivery and Ugl and the way in which union rights are regulated are then analysed. From this point of view, it is highlighted the need to take in account that the continuity in the work of the riders does not depend on the formal type of employment and it is necessary to verify, in practice, how stable are the services performed through the app.
The investigation then focuses on the controversial aspects of the recognition of union rights under Title III of the Statute to “hetero-organized” riders. From this perspective, the problems associated with “productive unity” and the ability of the concept to adapt to work without a physical location of reference are investigated.
Keywords: rider – collective bargaining – trade union rights.
1. Premesse ricostruttive - 2. Il lavoro mediante piattaforme digitali vs il capitalismo delle piattaforme - 3. Un cambio di paradigma …? - 4. Precisazioni preliminari dal diritto europeo sulla contrattazione collettiva dei lavoratori autonomi - 5. La nascita delle relazioni industriali di livello nazionale nel settore del food delivery - 6. I “soliti” limiti dell’ordinamento sindacale, la rappresentatività comparata e la capacità del contratto collettivo Assodelivery-Ugl di attuare l’art. 47-quater - 7. Segue. … conseguenze della (eventuale) incapacità dell’accordo Assodelivery-Ugl di attuare l’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 - 8. I diritti sindacali per i rider autonomi nel contratto Assodelivery-Ugl - 9. Diritti sindacali e collaborazioni di lavoro autonomo - 10. Segue. Sviluppi sul caso dei rider - 11. Il computo dei rider eterorganizzati ai fini del Titolo III - 12. Gli incerti sviluppi sull’inquadramento giuridico dei rapporti di lavoro dei rider e le conseguenze sui diritti sindacali del Titolo III dello Statuto - 13. Segue. Diritti sindacali dei rider subordinati e unità produttiva: alla ricerca di un criterio di adattamento - NOTE
Il lavoro digitale è stato sinora trattato da molteplici angolature: l’ampiezza della sua dimensione ha richiesto di modulare aspetti decisivi del diritto del lavoro, come la qualificazione [1], il salario [2], la privacy [3]. Anche il profilo delle relazioni industriali, però, è stato oggetto di ricerche e approfondimenti, tesi a verificare gli effetti del rapporto lavoro-nuove tecnologie [4]. Pur nella loro pluriennale crisi di consenso e di capacità rappresentativa [5], i sindacati non sono convitato di pietra rispetto ai più recenti cambiamenti delle organizzazioni produttive, che oggi passano – secondo molti – dal post-fordismo all’era dell’intermediazione digitale [6]. Sono molteplici le cause che hanno portato le organizzazioni sindacali e, in genere, il sistema di rappresentanza in Italia a perdere via via, rispettivamente, consensi e credibilità [7]: tra tali cause la principale resta l’incapacità di reggere le difficoltà di un lavoro che non si svolge più nel contesto chiuso della fabbrica [8]. Alla frammentazione e alla terziarizzazione del mercato del lavoro si è aggiunta da qualche tempo la disgregazione della figura del datore di lavoro, che diviene app, e rispetto a tale processo il sindacato ha bisogno di riflettere su come non essere considerato parte di un sistema di relazioni industriali d’antan. Tra le domande a cui rispondere vi sono quelle poste in questo scritto, che esamina le modalità con cui i diritti sindacali sono esercitabili nel mondo delle piattaforme digitali, e in particolare in quello dei rider [9]. In tale prospettiva, il saggio si occupa di analizzare l’incidenza acquisita nel nostro ordinamento dalle piattaforme digitali, mettendo in evidenza la relazione in cui si pone il lavoro svolto mediante app rispetto al fenomeno più vasto (§2). Poiché le prestazioni dei rider sono al centro di un più esteso dibattito sull’inquadramento tipologico del lavoro, l’indagine premetterà brevi cenni anche sulla dicotomia lavoro subordinato-lavoro autonomo, tenendo in considerazione ciò che le Sezioni Unite hanno affermato nella sentenza del 24 gennaio 2020, n. 1663 (§3). Una volta valorizzata la necessità di preservare gli schemi “classici” di classificazione dei rapporti [continua ..]
Tra le ragioni che hanno contribuito a porre al centro del dibattito giuslavoristico il lavoro mediante piattaforme v’è il fatto che, svolgendosi con caratteristiche profondamente diverse la relazione lavoratore-datore di lavoro – in particolare perché a quest’ultimo pare sostituirsi lo strumento informatico –, è necessario chiedersi qual è la misura del debito a cui il lavoratore si obbliga e, conseguentemente, anche verificare a quali tutele questi abbia diritto. Molti degli istituti applicati al lavoro tradizionale subiscono delle modificazioni per le peculiarità con cui queste attività sono svolte e ciò ha portato a proposte di radicale cambiamento nella regolazione dei rapporti di lavoro [10]. Prima comunque di soffermarci sugli aspetti giuridici controversi [11], questa tipologia di lavoro merita di essere esaminata specificamente dal punto di vista fenomenico, in modo da verificare l’impatto che ha acquisito nella nostra economia. Premesso che gli aspetti controversi e peculiari del lavoro mediante app non si estendono ai rapporti lavoristici intrattenuti da imprese che utilizzano le piattaforme digitali per ragioni diverse da quella di organizzare i tempi e i luoghi del lavoro – si pensi all’uso delle piattaforme da parte di imprese che vogliono accrescere la loro visibilità o intendono accedere al mercato delle vendite online –, ciò che è opportuno mettere in luce è che il lavoro tramite app ha sinora acquisito un’incidenza economica pressoché marginale rispetto al più esteso impatto avuto dalle piattaforme sul mercato della vendita di beni e di servizi. Le indagini Istat hanno stimato che nel 2018 un’impresa italiana su dieci ha messo in vendita beni o servizi su di una piattaforma digitale. Il dato è particolarmente significativo se inserito nel contesto dei singoli settori produttivi: la vendita di beni e servizi tramite web è, infatti, una componente essenziale delle strategie di commercializzazione solo per alcuni settori. Nel comparto turistico, ad esempio, l’80% delle imprese è presente su piattaforme digitali (Booking, Expedia, TripAdvisor) e poco meno del 30% del loro fatturato proviene da tale presenza [12]; allo stesso modo, l’utilizzo delle piattaforme digitali, di intermediazione (Volaregratis, Skyscanner), garantisce un tasso di [continua ..]
L’enfasi con cui sono stati affrontati i problemi legati al lavoro mediante piattaforme digitali ha finanche portato alla proposizione di nuove tesi favorevoli al superamento del binomio lavoro subordinato-lavoro autonomo. Nel corso degli anni ’90, invero, il dibattito sulla classificazione dei nuovi lavori fece ipotizzare modelli regolativi favorevoli a riconoscere le garanzie lavoristiche in maniera trasversale, a prescindere dall’inquadramento contrattuale in cui un certo lavoro può essere riconosciuto [21]. Piuttosto che seguire l’impostazione tradizionale che traccia una linea di confine ideale tra lavoro autonomo e subordinato, in base alle tesi citate il regime di tutele era inteso come graduabile a seconda della debolezza del lavoratore o, in alternativa, in base al grado di ingerenza datoriale sulle modalità esecutive della prestazione (creando – secondo alcune di queste proposte – un tertium genus) [22]. Già quando queste elaborazioni iniziarono a diffondersi, tra le ragioni più rilevanti su cui si basarono vi fu l’intreccio tra tecnica e lavoro [23]. Fu evidenziato come la presenza delle nuove tecnologie nel mercato produttivo creasse una maggiore domanda di manodopera specializzata e dotata, conseguentemente, di maggiore autonomia organizzativa [24]. Al contempo, però, si sottolineò pure che questi nuovi lavoratori, benché dotati di conoscenze tecniche, erano comunque bisognosi di protezione, perché non avevano il “dominio dell’organizzazione tecnica” necessaria a rendersi autonomi anche sotto il profilo socio-economico [25]. Ciò che la dottrina riprese a porre in evidenza è che il lavoro subordinato ha un significato-valore assiologico, basato sulla debolezza socioeconomica con cui il soggetto-lavoratore esprime la sua personalità nella società [26], che va oltre le coordinate tecnico-funzionali con cui la prestazione è svolta al servizio del committente-datore di lavoro e riguarda piuttosto il fatto che il lavoratore non ha a disposizione i mezzi di produzione per potersi emancipare dall’organizzazione altrui [27]. Con l’avvento dei nuovi modelli regolativi (in particolare, le collaborazioni coordinate e continuative dell’art. 409, n. 3, c.p.c.) [28] il significato assiologico della subordinazione ha continuato ad [continua ..]
Se, dal punto di vista qualificatorio, anche il lavoro mediante piattaforme digitali rientra negli schemi classici del diritto del lavoro [38], occorre comunque verificare come il legislatore abbia risposto al bisogno di protezione di questi lavoratori. Lo steccato delle tutele del diritto del lavoro – e, nella prospettiva qui accolta, il valore assiologico della subordinazione – è stato esteso anche ad essi, ma ciò pone nuove questioni sul modo con cui gli schemi garantistici preesistenti si adattino a queste attività: come si avrà modo di verificare, le difficoltà sono molteplici e – come spesso accade – il legislatore rimette all’interprete un impegnativo sforzo di sintesi e di rielaborazione. L’indagine proseguirà, come anticipato, esaminando l’evoluzione recente delle relazioni collettive nel settore del food delivery, così da verificare se e quali modelli di protezione sindacale sui luoghi di lavoro siano stati sinora riconosciuti ai rider autonomi; a ciò sono, però, logicamente antecedenti delle annotazioni sull’interpretazione avanzata dalla Corte di Giustizia sul diritto di negoziare contratti collettivi da parte dei lavoratori autonomi. La sentenza FNV Kunsten – come noto – ha stabilito che i lavoratori autonomi sono da ritenere, in linea di principio, operatori economici equiparabili a imprese e, in quanto tali, soggetti alle norme europee sulla concorrenza, che impediscono di godere delle misure di protezione previste dai contratti collettivi [39]. Rispetto alle limitazioni evidenziate in tale sentenza occorre sin d’ora rilevare perché non si ritiene che esse siano estensibili al nostro ordinamento. Il caso esaminato dal giudice europeo riguardava l’ordinamento olandese e aveva ad oggetto contratti collettivi aventi efficacia generale. Sorgeva dunque il problema di valutare la legittimità di regole collettive (in particolare i minimi tariffari) vincolanti per tutti i lavoratori autonomi di una specifica categoria ed eventualmente svantaggiose per coloro i quali (ad esempio, i più giovani) riescono a trovare opportunità di lavoro grazie alla possibilità di concorrere sul prezzo del servizio [40]. In proposito v’è da precisare anzitutto che gli stessi effetti pregiudizievoli per la concorrenza non pare si producano in ordinamenti come il nostro, [continua ..]
Evidenziati questi aspetti di compatibilità del nostro diritto interno con la giurisprudenza europea, nel merito dei problemi legati ai diritti sindacali per i rider autonomi c’è da segnalare che a questi ultimi si sono interessate le parti sociali più rappresentative del settore logistica e trasporto merci, le quali – su impulso del legislatore –, hanno stipulato un preciso documento, firmato il 2 novembre 2020 e denominato “Protocollo attuativo dell’art. 47-bis ss., d.lgs. n. 81/2015”. Il Protocollo è stato propiziato dall’art. 47-quater, d.lgs. n. 81/2015, introdotto dalla legge n. 128/2019, e dalla breve, ma intensa, attività consultiva del Governo – avviata a partire dal 2018 [44] – con le parti sociali del settore. L’opportunità di annettere tale Protocollo al vigente ccnl logistica è stata resa evidente quando le organizzazioni sindacali stipulanti sono state escluse dall’accordo, presentato come attuativo dell’art. 47-quater, comma 1, che Assodelivery ha stipulato con l’Ugl. È stato a quel punto che Filt‐Cgil, Fit‐Cisl e Uiltrasporti sono corse al riparo servendosi del percorso tracciato dal legislatore, che consente di applicare al settore del food delivery le regole collettive di un settore affine come quello della logistica. V’è da dire infatti che l’art. 47-quater rimette alle parti sociali qualificate il compito di definire «criteri di determinazione del compenso complessivo», secondo le modalità di esecuzione della prestazione e di organizzazione del committente (comma 1), ma prevede anche un regime collettivo alternativo (comma 2) in caso di mancato accordo nei dodici mesi successivi alla conversione della legge n. 128. In tale ipotesi è il comma 2 a stabilire il divieto di remunerazione a cottimo e l’applicazione del «compenso minimo orario» previsto dai contratti collettivi nazionali «di settori affini o equivalenti» [45]. Il modus operandi adoperato dal legislatore, che ha dettato una regolazione provvisoria e suppletiva, in forma di coercizione indiretta, nei confronti delle parti sociali inadempimenti alla stipula dell’accordo indicato al comma 1, è stato giustificato dal forte scettiscismo con cui, sino ad allora, le piattaforme digitali avevano reagito al confronto con le organizzazioni [continua ..]
Pubblicizzato come il primo contratto collettivo nazionale stipulato in uno Stato europeo per il settore del food delivery, l’accordo Assodelivery-Ugl ha acquisito maggior fama per le pronte censure del Ministero del lavoro – e non solo [48] – circa la sua incapacità di attuare il comma 1, dell’art. 47-quater, e, conseguentemente, di evitare l’effetto suppletivo del comma 2 della stessa norma. Le criticità rilevate hanno a che vedere con questioni note agli interpreti – e centrali per il diritto sindacale italiano –, sulle quali, tra l’altro, è ormai condivisa, dai più, la necessità di un intervento legislativo per superare le “solite” incertezze. Il richiamo nella legge alla “maggiore rappresentatività comparata”, quale requisito per qualificare le organizzazioni sindacali e datoriali legittimate a stipulare accordi relativi al compenso dei rider autonomi, non permette infatti di superare i limiti del nostro sistema sindacale, in cui la misurazione della capacità di rappresentare i lavoratori è rimessa alla libera volontà delle confederazioni di aderire ad apposite intese per la scelta dei criteri di misurazione – v. il Testo Unico del 2014 e il Patto per la fabbrica del 2018. L’assenza di un meccanismo erga omnes di verifica della rappresentatività comporta che l’accertamento di tale requisito sia rimesso ex post al giudizio della giurisprudenza, che se ne occupa tramite una serie di indici la cui selettività non è mai stata definita in maniera puntuale [49]. Tra questi, acquisisce peso – a scapito di altri, come l’equilibrata consistenza associativa su tutto l’arco delle categorie e la diffusione dell’organizzazione sul territorio nazionale –, la capacità del sindacato di farsi attore negoziale nei confronti delle controparti datoriali, secondo il principio del reciproco riconoscimento: principio che, a sua volta, come noto, ha informato il nostro ordinamento intersindacale sin dalle origini e che, grazie all’unità d’azione delle grandi confederazioni sindacali, ha saputo dare, in passato, un’adeguata risposta immunitaria ai molteplici mali derivanti dall’anomia del nostro diritto sindacale [50]. La moltitudine di organizzazioni e di accordi stipulati, che ha caratterizzato la più recente [continua ..]
Sulla eventuale invalidità dell’accordo Assodelivery-Ugl ci sono comunque da vagliare due possibili scenari. Il primo è che potrebbe essere privo dei requisiti per attuare il comma 1 dell’art. 47-quater, perché non stipulato da tutte le associazioni sindacali dotate del requisito della maggiore rappresentatività comparativa. In tal caso, pur producendosi – come conseguenza della mancata attuazione del comma 1 – gli effetti in materia salariale del comma 2 dell’art. 47-quater, esso resterebbe valido per le altre regole ivi previste, inclusi i diritti sindacali. In particolare potrebbe esplicare i suoi effetti, nell’ambito dei trattamenti economici e normativi, che possono essere stabiliti ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 81/2015 – a cui, tra l’altro, si rifà espressamente –, la quale norma, come noto, consente di disapplicare il regime del lavoro subordinato del comma 1, tramite accordi collettivi nazionali stipulabili anche da una sola associazione sindacale comparativamente più rappresentativa sul piano nazionale. La formulazione utilizzata in quest’ultima disposizione – «accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative» (enfasi aggiunta) – certamente non richiede che tali contratti siano sottoscritti da tutte le associazioni sindacali più rappresentative – come invece è possibile si debba ritenere per l’art. 47-quater –, benché non sia da sottovalutare la tesi “mediana” secondo cui tali accordi sono validi se stipulati da più di una associazione [56]. Passando comunque al secondo – e più grave – scenario, che vede l’Ugl priva della maggiore rappresentatività comparata o il rinvio dell’art. 2, comma 2, lett. a), cit., riferito solo agli accordi firmati da più di una associazione, in tali casi si aprirebbe uno spazio d’azione – da sfruttare anche per regolare i diritti sindacali – a favore del menzionato protocollo stipulato dalle federazioni categoriali di Cgil, Cisl e Uil. Come vedremo nel prossimo paragrafo, i diritti sindacali sono stati riconosciuti in misura estremamente limitata nel ccnl Assodelivery-Ugl e, ove questo fosse privo dei requisiti per attuare anche l’art. 2, comma 2, cit., è possibile che [continua ..]
A parte le incertezze sulla capacità di attuare i richiamati rinvii legali, sull’accordo Assodelivery-Ugl v’è da registrare una regolazione davvero minimale dei diritti sindacali: ad essi è dedicata una sola disposizione, l’art. 29. È previsto al comma 1 la nomina da parte dell’Ugl dei 5 componenti della Commissione paritetica [57], istituita ai sensi dell’art. 25 dello stesso accordo [58]. Il comma 2 dell’art. 29, invece, si occupa dei permessi retribuiti dei rider nominati dirigenti sindacali [59]. Si tratta di disposizioni con fini evidentemente diversi. La prima riconosce un vantaggio economico all’organizzazione sindacale, nella persona dei suoi dirigenti, per il ruolo “partecipativo” all’interno della Commissione paritetica: è così promossa l’azione di questo organo che, tra gli altri compiti, assicura la continuità delle relazioni tra le due organizzazioni. La seconda disposizione, invece, dovrebbe favorire una ricomposizione dal basso dell’attività sindacale, ma l’intento non è perseguito in maniera così convincente: i rappresentanti sono infatti nominati dall’Ugl e non eletti direttamente dai rider, ipotesi – quest’ultima – che avrebbe favorito democraticità e partecipazione dei lavoratori all’attività sindacale. A parte queste previsioni e benché l’ambito di riferimento sia denso di peculiarità, l’accordo non prevede altro in materia di attività sindacale e ciò alimenta altri dubbi sulla sua capacità di soddisfare l’interesse collettivo. Riferendoci ad esempio al diritto di assemblea, l’esercizio dello stesso non è riconosciuto: non sono affrontati né i problemi legati all’assenza di un luogo fisico comune ai lavoratori, né il tema della sua regolazione tramite l’utilizzo alternativo di strumenti tecnologici (app, social media, ecc.). D’altra parte, neppure si ricavano i criteri su cui ripartire le indennità forfettarie tra i lavoratori che svolgono attività sindacale per l’Ugl [60]. La principale caratteristica rilevabile dal contenuto dell’accordo è il forte interesse a identificare i rider come lavoratori autonomi [61], scelta che, al di là della sua discutibilità, [continua ..]
A parte i limiti di tutela dell’accordo Assodelivery-Ugl, il tema dei diritti sindacali dei rider autonomi evoca una serie di questioni legate alle modalità con cui, in generale, le relazioni sindacali si sono evolute nei settori (o per i lavori) in cui sono impiegati lavoratori autonomi. È il caso di riprendere quelle funzionali al discorso che si vuole condurre e, in particolare, concentrarsi sulla tendenza a riconoscere i diritti sindacali solamente per i rapporti di lavoro autonomo a cui è collegato il carattere della continuità. In tale prospettiva, iniziamo col dire che il legislatore non si è mai realmente cimentato nell’elaborare un percorso strutturato per promuovere la creazione, nei luoghi di lavoro, di rappresentanze a tutela degli interessi di questi lavoratori. Anche quando, sul finire degli anni ’90, si è posto il problema di rappresentare i “nuovi lavori”, quelli cioè derivanti dai cambiamenti sociali ed economici del post-fordismo, l’intervento legislativo a carattere promozionale non è andato oltre lo stabilire i diritti sindacali per i lavoratori non standard rientranti nell’alveo della subordinazione: si pensi al lavoro interinale e poi a quello somministrato, ma anche a quello a termine [63]. Con tali misure è stata favorita l’attività di rappresentanza delle organizzazioni sindacali, le quali, già sul finire degli anni ’90, avevano creato strutture che superavano la categoria professionale e che fondavano l’aggregazione dei lavoratori sulla tipologia contrattuale d’impiego (Nidil-Cgil, Alai-Cisl, Cpo-Uil) [64]. Queste strutture hanno sì incluso nel loro raggio d’azione anche le collaborazioni autonomi bisognose di protezione, tuttavia, i risultati per queste categorie sono stati profondamente diversi e ciò anche a causa delle modalità di intervento del legislatore. Piuttosto che sviluppare un modello di tutela alternativo, le preoccupazioni sull’utilizzo fraudolento del lavoro autonomo hanno spinto nel senso di estendere a tali lavoratori l’impianto del lavoro subordinato [65]. Di fatto i problemi del lavoro autonomo svolto in condizioni di debolezza sono stati assimilati a quelli emergenti quando il lavoratore è inquadrato in maniera fittizia dal datore di lavoro e ciò, dal punto di vista dei diritti sindacali, ha fatto [continua ..]
La ritrosia legislativa nel riconoscere i diritti sindacali ai lavoratori autonomi non continuativi è confermata dalla legge n. 128/2019, che estende ai rider autonomi le tutele «della libertà e della dignità […] previste per i lavoratori subordinati», con una formula – ritenuta dal Ministero del lavoro e non solo – “inclusiva” delle sole norme del Titolo I dello Statuto dei lavoratori [72]. La scarsa attenzione all’attività sindacale sembra però, nel caso dei rider, aggravata dalle caratteristiche dello strumento tecnologico. C’è da premettere che nell’immaginario comune chi accetta questi lavori lo fa in attesa di un’occupazione più confacente alle proprie aspirazioni: ciò contribuisce a far credere che i rider solo fino a un certo punto siano interessati ad essere rappresentati con strutture stabili “nei luoghi di lavoro”. Questo modo di pensare non tiene conto dei casi in cui sono impiegati per lunghi periodi soggetti privi di altre occupazioni [73], ma, soprattutto, dimentica che l’interesse al miglioramento delle condizioni di lavoro – tramite ad esempio le rappresentanze aziendali e i diritti sindacali – travalica i singoli interessi individuali e si esprime nell’ottica di tutelare i lavoratori come collettivo. È noto infatti che le tutele sindacali sono destinate a favorire la “sintesi” degli interessi individuali, e non la loro sommatoria; le stesse norme eteronome con cui, in attuazione della libertà dell’art. 39, comma 1, Cost., sono riconosciute specifiche prerogative per favorire l’attività sindacale sui luoghi di lavoro, intendono far sì che le singole istanze di tutela dei lavoratori diventino espressione – e, in questo senso, “sintesi” – di un più radicato e incisivo interesse collettivo. L’intreccio con le caratteristiche dello strumento tecnologico di questo lavoro finisce, poi, per pregiudicare ulteriormente la creazione delle rappresentanze e l’esercizio dei diritti sindacali, dal momento che l’app rende possibile organizzare l’attività di consegna senza prevedere, in via contrattuale, un obbligo di disponibilità per i lavoratori, permettendo così di eludere la verifica sull’effettiva stabilità dei rapporti. Il dispositivo [continua ..]
Passando ad esaminare i casi che si svolgono secondo modalità alle quali è collegata l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, una prima importante domanda è se ci sono differenze sul riconoscimento dei diritti sindacali, a seconda che i rapporti si configurino come lavoro eterorganizzato piuttosto che come lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. Le collaborazioni eterorganizzate sono l’istituto a cui principalmente ha fatto affidamento il legislatore per regolare le attività dei rider quando esprimono caratteristiche comuni con il lavoro subordinato (continuità, personalità, poteri del committente). Con la legge n. 128/2019, infatti, l’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 è stato modificato nel senso di rendere la norma applicabile «anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali». Inoltre, la stessa legge n. 128, introducendo nel d.lgs. n. 81/2015 l’art. 47-bis, ha stabilito che i livelli minimi di tutela dei rider autonomi si applichino «fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 1», permettendo di ricondurre tali rapporti al lavoro eterorganizzato ove la loro esecuzione sia continuativa [76]. Nella prospettiva dei diritti sindacali il problema è di verificare se il collaboratore eterorganizzato sia incluso nella nozione di “dipendente”, che l’art. 35, della legge n. 300/1970 utilizza al fine di definire la soglia numerica per i diritti del Titolo III. All’art. 2, comma 1, cit., è sì previsto che alle collaborazioni eterorganizzate si applichi la «disciplina del lavoro subordinato», ma tale richiamo potrebbe riguardare – è stato sostenuto – anche solo alcuni istituti, escludendo così i diritti sindacali. In questo senso l’Ispettorato del lavoro, nella recente circolare 30 ottobre 2020, n. 7, ha stabilito che i criteri di computo seguono regole diverse per i collaboratori eterorganizzati: l’art. 2 cit. introdurrebbe, così, un meccanismo di protezione del singolo lavoratore, che non incide «sulla determinazione dell’organico aziendale e di conseguenza sugli istituti normativi e contrattuali connessi alle soglie dimensionali dell’azienda». Tale posizione, tuttavia, non convince. La circolare assume in maniera apodittica che gli [continua ..]
Sul tema dei diritti sindacali incide, comunque, il fatto che oggi le piattaforme digitali per la consegna di cibi e bevande utilizzano, prevalentemente, forme contrattuali riconducibili al lavoro autonomo e, pertanto, che i rider non godano dei diritti dello Statuto. Chi si è interrogato sul tema, non a caso, ha evidenziato l’opportunità di estendere il campo applicativo del Titolo III a tutti i lavoratori che, prescindendo dalla tipologia contrattuale, godono di un certo grado di stabilità [81]. Per ora questa strada, per certi versi “innovativa”, non ha avuto seguito e, nel contesto delle tutele antidiscriminatorie previste dall’art. 47-quinquies del d.lgs. n. 81/2015, ai rider autonomi il cui rapporto è formalmente discontinuo sono stati riconosciuti i soli diritti di libertà e dignità del Titolo I dello Statuto [82]. Tale scelta ha contribuito ad acuire la tensione sul carattere “continuativo” del lavoro dei rider, divenuto l’elemento distintivo per inquadrare tali lavoratori come collaboratori eterorganizzati e per riconoscere ad essi anche – tra le tutele del lavoro subordinato – i diritti sindacali del Titolo III [83]. Per i rider discontinui, come si è avuto modo di precisare, il principale e più verosimile strumento che potrebbe prevedere, in futuro, i diritti sindacali è la contrattazione collettiva, la quale in limine dovrebbe affrontare anche il delicato problema di chiarire i criteri di computo per l’attribuzione di tali prerogative. Non è infatti sufficiente – come si è tentato di sottolineare – un generico riferimento ai tipi contrattuali d’impiego, ma occorrerà definire un sistema che, ai fini del “conteggio” di tali rapporti, valorizzi l’effettiva stabilità di impiego dei lavoratori per la stessa piattaforma. D’altro canto, c’è da considerare che la scelta delle piattaforme di servirsi di tipi contrattuali, che non presuppongono l’obbligo di prestare l’attività in maniera continuativa, potrebbe rivelarsi un boomerang, perché i rider autonomi, una volta acquisita una certa stabilità di impiego, potrebbero poi richiedere di riqualificare il rapporto ex art. 2, comma 1 cit., come collaborazione eterorganizzata. In un contesto del genere a rivestire un formidabile potere di intervento [continua ..]
L’incertezza sulla qualificazione dei rider rende difficile comprendere anche quale sarà il percorso per rendere effettive le tutele sindacali sui luoghi di lavoro. Se il riconoscimento della “subordinazione” fosse accettato ad ampio raggio dalle piattaforme, il problema di estendere il Titolo III ai rider autonomi si ridimensionerebbe e resterebbe da riflettere sul carattere “smaterializzato” del concetto di “unità produttiva”, a cui rinvia lo Statuto in diverse disposizioni riguardanti i diritti sindacali. In attesa degli sviluppi che caratterizzeranno il settore, la riflessione sul concetto di “unità produttiva” merita già considerazione per i casi – benché minoritari – in cui le piattaforme hanno inquadrato i propri rider come subordinati – ai sensi dell’art. 2094 c.c. ovvero dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015. Sul tema v’è da premettere che la “vicenda” dei rider può essere intesa solamente come la punta dell’iceberg del più complesso problema di adeguare il concetto di unità produttiva alle dinamiche dell’odierno mercato del lavoro, in cui si sommano fenomeni come: a) la dematerializzazione dell’impresa; b) il “nanismo” delle realtà produttive italiane; c) l’esternalizzazione dei processi produttivi. La questione di fondo è se, nei contesti produttivi a più alto tasso di dematerializzazione dell’impresa e/o di esternalizzazione della manodopera, l’attuazione del Titolo III dello Statuto possa “passare” con un’interpretazione evolutiva del concetto di unità produttiva o se sia indispensabile un intervento legislativo per “aggiornare” l’ambito applicativo di tali regole [85]. Si tratta, beninteso, di problemi esacerbati dall’organizzazione del lavoro tramite piattaforme digitali e dagli sviluppi della crisi epidemiologica, alla quale si deve una forte accelerazione nella “dematerializzazione” dei luoghi di lavoro: tuttavia, sono problemi da ricondurre alla più ampia necessità di aggiornare lo Statuto dei lavoratori, su cui da tempo la dottrina si confronta [86]. Tentando di contribuire al più esteso dibattito sul tema tramite l’esame delle peculiarità dell’attività dei rider, i problemi [continua ..]