Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Retribuzione e contratto di categoria: tra principi giurisprudenziali e autonomia collettiva (di Nicolò Rossi, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro nell’Università Cattolica del Sacro Cuore)


Il saggio analizza il tradizionale rapporto tra il contratto collettivo nazionale di lavoro e la disciplina della retribuzione, con esclusivo riferimento al settore privato, concentrandosi soprattutto su problematiche attuali come quelle poste dalla frammentazione della rappresentanza sindacale e dall’aumento del numero di c.c.n.l. In questa prospettiva, dapprima vengono esaminati alcuni degli orientamenti emersi nella giurisprudenza relativa all’appli­cazione dei principi sanciti dall’art. 36, comma 1 Cost., alla luce del recente dibattito dottrinale e delle prospettive di riforma attualmente in discussione. Quindi, particolare attenzione è dedicata alle soluzioni introdotte dai principali soggetti del panorama sindacale, nel tentativo di offrire un affresco delle tendenze oggi riscontrabili nella regolamentazione collettiva del trattamento economico dei lavoratori subordinati.

Wages and national level collective agreement: between case law and collective bargaining

The essay examines the relationship between the national level collective bargaining agreement and wage regulation, with exclusive reference to the Italian private sector, focusing especially on current issues such as those posed by the fragmentation of union representation and the increase in the number of national collective agreements. In this perspective, the paper first analyses some of the case law rules concerning the application of Article 36, paragraph 1 of the Italian Constitution, in the light of the recent doctrinal debate and reform prospects currently under discussion. Particular attention is then paid to the solutions introduced by the main trade unions, in an attempt to offer a picture of the trends that can be seen today in the collective regulation of the employees’remuneration.

Keywords: wages – national level collective agreement – collective autonomy

SOMMARIO:

1. Introduzione. Contrattazione e dinamiche retributive tra consolidati orientamenti e nuovi problemi - 2. Questioni giurisprudenziali in materia di retribuzione - 3. Recenti prospettive a livello interconfederale. Le indicazioni contenute nel c.d. Patto per la fabbrica del 2018 - 4. Segue. Differenti soluzioni nella regolazione dei minimi retributivi e nell’adeguamento alle dinamiche dell’inflazione - 5. Alcuni spunti provenienti dalle ultime trattative contrattuali: il rinnovo del c.c.n.l. metalmeccanici - NOTE


1. Introduzione. Contrattazione e dinamiche retributive tra consolidati orientamenti e nuovi problemi

Com’è ampiamente risaputo, il contratto collettivo nazionale di lavoro ha sempre svolto un ruolo di primaria rilevanza nella determinazione del trattamento retributivo dei lavoratori subordinati. Invero, sebbene non siano configurabili in materia riserve di competenza in favore della disciplina collettiva [1], essa rappresenta senza dubbio il principale punto di riferimento utilizzato dagli interpreti per individuare il livello salariale adeguato ai sensi dell’art. 36, comma 1, Cost. [2]. Tanto che, com’è stato osservato, parlare di retribuzione nell’ordinamento giuridico italiano significa occuparsi anzitutto delle complesse dinamiche che investono la contrattazione «quale fattore prioritario che consente negli Stati democratici di determinare il costo del lavoro nella sua complessa articolazione interna» [3]. Com’è noto, in assenza di un salario minimo legale, la consolidata elaborazione giurisprudenziale da tempo ravvisa nei minimi tabellari previsti dai c.c.n.l. il parametro privilegiato per valutare la conformità del corrispettivo riconosciuto al prestatore di lavoro ai principi costituzionali di sufficienza e di proporzionalità [4]. Nonostante le incertezze alla base di questo orientamento e al netto delle oscillazioni che in concreto ne sono derivate, in linea generale si può rilevare che i presupposti argomentativi da cui esso trae fondamento sono oggi pacificamente condivisi da parte della giurisprudenza [5]. Le conseguenze pratiche che da ciò discendono, peraltro, sempre più frequentemente inducono a concentrare l’attenzione attorno alle questioni che la regolamentazione collettiva della retribuzione pone in un contesto, come quello attuale, che negli ultimi anni è stato attraversato da significativi cambiamenti sul piano degli attori negoziali e dei prodotti delle loro relazioni. Il feno­meno di frammentazione che ha interessato le associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e la conseguente moltiplicazione dei contratti collettivi nazionali hanno infatti accentuato alcune criticità del sistema di relazioni industriali, riportando in primo piano la riflessione sulle possibili degenerazioni del pluralismo sindacale e sulle loro ripercussioni nei confronti dei salari [6]. Da questo punto di vista, il rischio da più parti evidenziato è che – in uno scenario [continua ..]


2. Questioni giurisprudenziali in materia di retribuzione

La considerazione del c.c.n.l. come parametro di valutazione in sede giudiziale dell’adeguatezza delle retribuzioni se da un lato è apparsa come operazione dotata di realismo oltre che in linea con il testo costituzionale, dall’altro non ha mancato di suscitare riserve nel dibattito dottrinale [9]. Se si tralasciano i ben noti rilievi inerenti alla correttezza formale della tradizionale argomentazione seguita dai giudici [10], si può dire che anche di recente le obiezioni si sono non di rado concentrate intorno ad alcuni risvolti dell’impiego dei margini di discrezionalità riservati all’interprete in argomento [11]. In quest’ottica, talune osservazioni sono state rivolte in primo luogo all’ap­proccio selettivo solitamente adottato dalla giurisprudenza per raffrontare la retribuzione pattuita in via individuale e quella definita dal contratto collettivo [12]. L’orientamento prevalente al riguardo tende a effettuare il confronto assumendo come termine di comparazione soltanto il c.d. «minimo costituzionale», composto da trattamento tabellare, indennità di contingenza e tredicesima mensilità, mentre sono normalmente esclusi dalla valutazione istituti retributivi tipicamente contrattuali e collegati a particolari qualità della prestazione o del prestatore, come i premi di produzione, le maggiorazioni e le indennità speciali [13]. Per converso, nel momento in cui si tratta di individuare il corrispettivo da confrontare con il parametro così determinato, il giudice tiene conto dell’insieme di tutti gli emolumenti concretamente percepiti dal lavoratore, i quali acquistano rilevanza nel loro complesso, indipendentemente dalla specifica consistenza delle singole voci [14]. Seppur abbia contribuito a fugare ogni dubbio in ordine al rispetto del­l’art. 39 Cost., tale modus operandi conferma il carattere creativo della impostazione giurisprudenziale [15] e, non a caso, ha sollevato interrogativi sull’op­por­tunità di comparare due grandezze teoricamente eterogenee [16]. Perplessità maggiori, d’altro canto, sono state avanzate dinanzi alle pronunce che hanno affermato con più decisione la facoltà del giudicante di prendere le distanze dalle determinazioni economiche dell’autonomia collettiva [17]. Questa [continua ..]


3. Recenti prospettive a livello interconfederale. Le indicazioni contenute nel c.d. Patto per la fabbrica del 2018

Evidenti riflessi della discussione sulle problematiche sin qui delineate sono percepibili, per esempio, nell’accordo interconfederale su «contenuti e indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva» (meglio noto come «Patto per la fabbrica»), stipulato nel 2018 da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil [38]. Con esso le parti hanno inteso ribadire la propria autorità in campo salariale, sforzandosi di apparire in grado di contrastare anche gli abusi connessi alla abnorme proliferazione dei contratti collettivi [39]. A tal fine, è stata riaffermata la validità dei meccanismi di misurazione della rappresentatività definiti dal c.d. “Testo unico” del 2014 che, malgrado le difficoltà applicative sinora registrate [40], vengono riproposti con l’aggiunta di alcune nuove indicazioni. Tra queste, occorre ricordare, in primo luogo, l’enunciata necessità di estendere la rilevazione del peso rappresentativo dei soggetti sindacali anche alle organizzazioni dei datori di lavoro, sulla scia di quanto già dichiarato dalle principali confederazioni e da Confcommercio negli accordi del 27 novembre 2015 e del 24 novembre 2016 [41]. In secondo luogo, l’intesa esprime la volontà dei firmatari di individuare un percorso che possa coinvolgere anche attori negoziali esterni al sistema di Confindustria, non senza l’obiettivo di «garantire una contrattazione collettiva con efficacia ed esigibilità generalizzata» [42]. Per quanto potenzialmente risolutiva di alcune delle criticità oggi esistenti, quest’ultima prospettiva si scontra peraltro con i limiti connaturati agli strumenti a disposizione dell’autonomia collettiva. È agevole constatare, infatti, come soltanto la legge potrebbe conseguire il risultato di vincolare anche i terzi alle regole prefigurate in via negoziale dai maggiori sindacati [43]. Non sono pochi, inoltre, gli ostacoli di carattere anche costituzionale che un simile intervento del legislatore potrebbe incontrare, soprattutto se esso dovesse riguardare non solo i salari, bensì l’intero ambito della contrattazione [44]. Non è un caso se le più recenti misure legislative hanno mantenuto sul punto un atteggiamento prudente, preferendo per il momento agire sul piano della codificazione dei contratti vigenti, [continua ..]


4. Segue. Differenti soluzioni nella regolazione dei minimi retributivi e nell’adeguamento alle dinamiche dell’inflazione

Significativi principi sono contenuti nell’accordo interconfederale del 9 marzo 2018 anche sotto il diverso profilo della disciplina dei minimi tabellari. In effetti, l’intesa prevede chiaramente che la variazione dei valori del TEM dev’essere parametrata agli scostamenti registrati nel tempo dall’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri dell’Unione europea (IPCA), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati, come calcolato dall’Istat. In questo modo, si sancisce il venir meno della storica opposizione della Cgil al sistema di adeguamento dei salari basato su tale indicatore, che era stato introdotto per la prima volta nell’accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 2009 e che aveva costituito uno degli elementi sui quali si era consumata la frattura del fronte sindacale e l’apertura della stagione della contrattazione separata [51]. All’interno del nuovo assetto complessivo, sono dunque state superate le principali ragioni di resistenza al meccanismo di indicizzazione [52] che, in passato, aveva attirato polemiche sulla sua idoneità a garantire una reale tutela del potere d’acquisto e sulla sua modalità di incidenza sui periodici aggiornamenti salariali [53]. Ferma restando l’adozione dell’IPCA, l’accordo del 2018 comunque non impone un unico modello di gestione degli adattamenti retributivi alle dinamiche dell’inflazione, bensì riconosce la libertà di intervenire «secondo le regole condivise, per norma o prassi, nei singoli c.c.n.l.». Questa scelta non appare certo casuale, se solo si pensa alle tensioni che proprio la regolazione dei minimi ha prodotto nelle trattative nazionali degli ultimi anni. Ben note difficoltà, effettivamente, sono insorte già nel corso dei rinnovi contrattuali di fine 2015 e del 2016, che hanno dovuto affrontare gli effetti di una inattesa evoluzione dell’andamento dei prezzi. In tale frangente, l’inflaz­ione effettiva si è dimostrata molto inferiore a quella prevista al momento della conclusione dei precedenti contratti collettivi, con la conseguenza che gli aumenti da essi imposti hanno determinato una crescita dei salari non in linea con le reali variazioni del costo della vita. Queste circostanze hanno orientato gli interessi delle imprese verso la possibilità [continua ..]


5. Alcuni spunti provenienti dalle ultime trattative contrattuali: il rinnovo del c.c.n.l. metalmeccanici

I fenomeni di sviluppo del panorama negoziale innescati dalle circostanze a cui si è fatto cenno non sembrano destinati ad arrestarsi nemmeno nella nuova stagione delle trattative contrattuali che, sin da subito, si è dimostrata non meno difficile di quelle precedenti. Alle più consuete criticità, in questo caso, si sono sommati i gravi problemi derivanti dalla crisi sanitaria, che hanno determinato ulteriori allungamenti dei tempi delle negoziazioni e significativi ritardi nel rinnovo dell’elevato numero di c.c.n.l. scaduti. In tali condizioni, le iniziali aspettative sindacali di segnare una svolta rispetto ai peggiori periodi di rallentamento economico si sono dovute scontrare con le resistenze di parte datoriale, indubbiamente rafforzate dalle incertezze poste dalle eccezionali peculiarità dell’attuale fase storica [61]. I primi risultati dei negoziati avviati a partire da questi complessi presupposti non si limitano a confermare l’esistente, ma mostrano un ritrovato dinamismo della regolamentazione predisposta dalle parti sociali, che interessa anche la disciplina del trattamento economico dei lavoratori. Da questo punto di vista, a oggi, spicca senza dubbio l’accordo di rinnovo del contratto nazionale per l’industria metalmeccanica, raggiunto in data 5 febbraio 2021 e poi sottoposto alla consultazione certificata dei prestatori, come previsto dal T.U. sulla rappresentanza del 2014. Le regole in esso contenute e il particolare momento in cui sono state pattuite sembrano costituire un ulteriore argomento in favore del giudizio – espresso già con riguardo alle previgenti soluzioni convenzionali – secondo cui «il contratto di questa categoria sebbene non sia sempre quello che anticipa i cambiamenti nel sistema contrattuale, è di certo quello che suggella il passaggio da un ciclo all’altro nel sistema di relazioni industriali» [62]. Tale valutazione pare anzi ancor più indicata per descrivere l’ultimo c.c.n.l. che, muovendosi dentro le ampie linee di indirizzo segnate dall’ac­cordo interconfederale del 2018, compie importanti passi avanti nell’ambito di processi di riforma da tempo prospettati. Ciò è vero specialmente per quanto concerne l’inquadramento professionale che, per la prima volta dopo decenni, viene sottoposto a modifiche non marginali che conducono [continua ..]


NOTE