Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Benessere e sicurezza dei lavoratori: oltre la disabilità (di Francesca Malzani, Professoressa Associata di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Brescia)


L’articolo prende le mosse dalla nozione di disabilità offerta dalle moderne scienze medico-sociali per valutare l’impatto sul concetto di accomodamento ragionevole al fine dell’in­clusione e della garanzia del diritto al lavoro delle persone disabili. La soluzione ragionevole, inserita negli obiettivi di diversity management, non viene intesa solo come strumento di rimozione della discriminazione ma come strategia aziendale per la costruzione di un ambiente di lavoro che promuove la salute e favorisce il benessere organizzativo.

Workers’ well-being and safety: beyond the disability

The article starts from the notion of disability offered by modern medical-social sciences to assess the impact on the concept of reasonable accommodation in order to include and guarantee the right to work of disabled people. The reasonable solution, included in the diversity management objectives, is not just a tool for removing discrimination but a corporate strategy for building a work environment that promotes health and organizational well-being.

SOMMARIO:

1. Oltre la vulnerabilità: il benessere lavorativo come scelta di campo - 2. La tutela prevenzionistica: un punto di partenza - 3. L’organizzazione del lavoro «a misura» della persona: un punto di arrivo - 4. Gli strumenti di tutela tra protezione della salute e promozione dell’inclusione lavorativa - NOTE


1. Oltre la vulnerabilità: il benessere lavorativo come scelta di campo

Nel rapporto dell’Agenzia europea della sicurezza del 2013 i lavoratori disabili venivano inseriti nei c.d. Priority Groups per i quali è imprescindibile l’adozione di strumenti per il miglioramento delle condizioni di lavoro [1]. La lista dei soggetti ritenuti vulnerabili nel mercato del lavoro, sotto il profilo della tutela della salute, è molto ampia [2] e obbliga a interrogarsi sul significato del termine per meglio determinare le politiche di intervento. La vulnerabilità, intesa come categoria bidimensionale (permanente: costitutiva; situazionale: associata a un contesto) [3] viene, in genere, definita per sottrazione: mancanza di potere, autonomia, cultura, relazioni, censo, libertà, ecc. Si tratta di un fenomeno connaturato alla condizione umana e connesso a caratteristiche biologiche, personali, sociali, che può minare la capacità di autodeterminazione e piena integrazione ed esporre a rischi di discriminazioni, anche multiple [4]. Con specifico riguardo alla disabilità, una parte della dottrina suggerisce di superare una visione paternalistica e stereotipante che individua una presunzione di vulnerabilità in capo a «particolari soggetti e/o gruppi» – rispetto a un paradigma liberale di piena soggettività – per rileggerla in relazione «ai processi che rendono vulnerabili» determinate persone con portata, quindi, potenzialmente universale [5]. Il filone di pensiero che si avvale del capability approach di Amartya Sen propone un modello sociale più progressivo, che abbandona la connotazione medica di menomazione e ragiona sulla specificità dei bisogni (lavoro, istruzione, formazione, spazi di libertà nelle scelte individuali e di partecipazione in quelle collettive [6]). La cennata ricostruzione va oltre il binomio tradizionale fragilità/limitazione e abbraccia la prospettiva della giustizia sociale [7]. La vulnerabilità, come il più moderno concetto di disabilità, assume, quindi, una dimensione socio-relazionale non derivante da una condizione ontologica/innata ma dalla presenza di barriere etero-imposte che impediscono l’in­clusione della persona, il pieno sviluppo dei diritti di cittadinanza e l’esercizio di diritti fondamentali [8]. Nell’ambiente lavorativo, formazione sociale [continua ..]


2. La tutela prevenzionistica: un punto di partenza

La giurisprudenza della Corte di Giustizia fa ormai riferimento a una nozione europea di disabilità, frutto dell’integrazione della direttiva con le norme della Carta di Nizza e con la Convenzione Onu del 2006. Tali approdi evocano e corroborano i risultati raggiunti dai c.d. Disability Studies che associano la disabilità a un costrutto relazionale in cui i processi di esclusione, determinati da barriere economico-sociali, assumono un ruolo dirimente [22]. Una accezione che supera il modello medico dominante o meglio lo incorpora in un nuovo modello sociale di disabilità che riflette l’immagine di «an umbrella term for impairments, activity limitations and participation restrictions, referring to the negative aspects of the interaction between an individual (with a health condition) and contextual factors (environmental and personal factors)» [23]. La definizione di soluzioni ragionevoli contenuta nella Convenzione Onu muove da tale lettura ampia e trasversale della disabilità e costituisce un ottimo esempio di cross-fertilisation [24]. Gli accomodamenti ragionevoli consistono in «modifiche e adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali» (art. 2 Convenzione Onu), che, pertanto, riflettono l’evoluzione semantica del moderno concetto di disabilità. La Strategia per le persone con disabilità 2017-2023 del Consiglio d’Euro­pa [25] ribadisce che l’accomodamento ragionevole diviene il presupposto per l’esercizio di altri diritti di piena partecipazione alla vita lavorativa e non solo. Il ricorso alla disciplina prevenzionistica, come nel caso dei principi ergonomici, e la ricerca della miglior interazione tra persona-spazio-tecnologia non risponde solo a ragioni di sicurezza e di miglioramento delle condizioni lavorative ma può essere funzionale all’accesso all’impiego del portatore di handicap o al mantenimento dello stesso [26]. Uno dei principi cardine della direttiva quadro 89/391 risiede, come dicevo, nell’adeguare il lavoro alla persona, nella concezione dei posti di lavoro, nella [continua ..]


3. L’organizzazione del lavoro «a misura» della persona: un punto di arrivo

Per poter costruire modelli di qualità del lavoro occorre integrare le politiche di benessere nelle scelte gestionali; un’operazione di mainstreaming già avviata con le più recenti campagne sulla sicurezza della Commissione europea, gli studi della Fondazione di Dublino e dell’Agenzia europea per la sicurezza. Il punto di partenza, molto elementare, è quello di pensare ai processi organizzativi, evitando di intervenire a posteriori con aggravi di tempo e spese. Si tratta della ratio che anima l’approccio del design for all e le finalità dei progetti di Ambient Assisted Living che studiano soluzioni di domotica per soggetti deboli (età avanzata, in prima battuta, ma non solo), ridefinendo l’ac­cessibilità a beni, servizi e diritti. I profili citati non riguardano solo il fattore disabilità ma anche la malattia e l’invecchiamento della popolazione e rendono stringente il ripensamento della promozione del benessere lavorativo come diritto della persona e strumento di inclusione sociale [35]. Per raggiungere tale assetto andrebbero attivate politiche di diversity management ossia un sistema volto a gestire la diversità come risorsa all’interno dei contesti lavorativi [36], a cui si affianca il concetto di disability management [37]. Gli interventi operano su piani distinti ma tra loro connessi in quanto tesi alla valorizzazione dei talenti, dei percorsi formativi e dell’esperienza, alla ricerca di soluzioni innovative, alla capacità di rispondere alla eterogeneità dei clienti e dei mercati, all’aumento del commitment dei dipendenti, alla creazione di un ambiente di lavoro più armonioso, al benessere organizzativo, alla qualità totale [38]. Il ruolo del disability management [39] viene, pertanto, costruito intorno al­l’idea che l’integrazione lavorativa del disabile possa soddisfare non solo un bisogno economico ma anche quello di piena realizzazione della persona attraverso un percorso di inclusione, che inveri il dettato costituzionale degli artt. 2 e 3 sulla partecipazione alla vita economica e sociale del Paese [40]. L’approccio olistico accolto dalla Società italiana Disability manager (SIDiMa) emerge a chiare lettere nella definizione di disability [continua ..]


4. Gli strumenti di tutela tra protezione della salute e promozione dell’inclusione lavorativa

Le esigenze di conciliazione e cura (personale o di familiari) connesse con la disabilità trovano ampia tutela nella disciplina lavoristica, sebbene vadano ripensate in un’ottica di progettazione di un’organizzazione tesa al benessere e non solo di rimedio o contrasto a discriminazioni già perpetrate. Si possono, così, distinguere strumenti tradizionalmente vocati alla tutela della salute del lavoratore disabile (permessi ex art. 33, legge n. 104/1992) e strumenti che favoriscono l’inclusione e la conservazione del posto di lavoro (divieto di trasferimento ex art. 33, legge n. 104/1992, interventi organizzativi sul comporto per malattia, lavoro agile, orario, ecc.). Le previsioni si applicano al lavoratore/lavoratrice (molto spesso la titolarità è in capo alla donna) che eserciti funzioni di caregiver prevalente. La ratio risiede nella valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale e intergenerazionale e nella tutela della salute del disabile, che ha portato la Consulta a estendere ulteriormente il novero dei soggetti destinatari dei permessi di cui alla legge n. 104/1992 [45]. Alla garanzia prevista dalle norme della legge del 1992 e dai decreti del 2003, si affiancano le acquisizioni della Corte di Giustizia sulle discriminazioni per associazione che, dal caso Coleman [46] in poi, sono state estese anche agli altri fattori protetti proprio a copertura di rapporti qualificati tra il soggetto discriminato e il portatore del fattore stesso [47]. L’art. 33, comma 6, riconosce il diritto a permessi mensili retribuiti di 3 giorni per il lavoratore disabile o per l’assistenza al familiare disabile. Durante l’emergenza scatenata dal Covid-19 [48], sono stati aggiunti ulteriori 12 giorni di permesso retribuito per la cura dei familiari al fine di fronteggiare la chiusura delle istituzioni scolastiche e dei centri diurni da fruire, anche in modo frazionato, nei mesi di marzo e aprile 2020 e fino al 3 maggio, poi prorogati fino al 30 giugno 2020 dal Decreto Rilancio n. 34/2020 (art. 73) [49]. L’art. 33, comma 6, sancisce, inoltre, il diritto del lavoratore disabile di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e il divieto di trasferimento senza il suo consenso. Lo stesso vale per il lavoratore che si occupi di familiare disabile [continua ..]


NOTE