Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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La revoca del licenziamento: ratio e criticità di un istituto (di Laura Torsello. Ricercatrice di Diritto del lavoro nell’Università Politecnica delle Marche)


Il saggio ripercorre l’evoluzione dell’istituto della revoca nel diritto del lavoro alla luce delle riforme degli ultimi anni con l’obiettivo di affrontare criticamente le maggiori problematiche che emergono anche in un’ottica di coerenza sistematica. La questione è particolarmente attuale in quanto, la possibilità per il datore di lavoro di revocare il licenziamento che sia stato impugnato entro 15 giorni dal ricevimento dell’impugnazione stessa, pone nuovi interrogativi su questioni di rilievo.

In particolare, nell’elaborato vengono esaminate aporie ed incertezze dell’istituto, che rischiano di disincentivarne l’utilizzo, nonostante la volontà di semplificazione del legislatore.

The withdrawal of the dismissal: ratio and problematics of a legal institution

The essay traces the evolution of the institute of revocation in labor law in light of the reforms of recent years with the aim of critically addressing the major problems that emerge also in a systematic coherence perspective. The question is particularly relevant because the possibility for the employer to revoke the dismissal that has been challenged within 15 days of receipt of the appeal raises new questions on important issues. In particular, in the elaborate the aporias and uncertainties of the institute are examined, which risk discouraging their use, despite the desire to simplify on the part of legislator.

SOMMARIO:

1. "Re melius perpensa": ratio ed effetti del licenziamento revocato nel­l'elaborazione giurisprudenziale prima della l. n. 92/2012 - 2. La codificazione del potere di revoca nel nuovo testo dell'art. 18 Stat. lav. e nel d.lgs. n. 23/2015. Una "spending review" del "rischio causa" aziendale? - 3. Prospettive e criticità della revoca del licenziamento: a) il campo di applicazione … - 3.1. (Segue) ... b) forma e conseguenze dell'esercizio dopo il termine decadenziale ... - 3.2. (Segue) ... c) sulla revoca tardiva... - 3.3. (Segue) ... d) sulla ripresa del lavoro … - 4. Uno strumento utile o un ennesimo fuor d'opera? a) natura e conseguenze della revoca ... - 4.1. (Segue) ... b) l'anomia normativa in caso di revoca delle dimissioni - NOTE


1. "Re melius perpensa": ratio ed effetti del licenziamento revocato nel­l'elaborazione giurisprudenziale prima della l. n. 92/2012

La disciplina del potere di recesso datoriale costituisce indubbiamente una cartina di tornasole sullo “stato di salute” del diritto del lavoro e sul grado di effettività delle tutele da esso previste, dal momento che se da un lato la tendenza ad alleggerire le garanzie previste in caso di illegittimità del licenziamento porta ad accentuare lo squilibrio di forza tra le parti, dall’altro un potenziamento delle stesse in capo al lavoratore “concede” un contro-potere che contribuisce a limitare abusi e arbitrarietà datoriali [1]. In questo quadro, la scelta di introdurre nel nostro ordinamento la tutela reintegratoria ad opera della l. n. 300/1970 è stata sicuramente emblematica e rappresentativa di una volontà tesa a riequilibrare le posizioni tra capitale e lavoro, nell’ottica di rendere maggiormente libera e democratica la vita sui luoghi di lavoro. È stato così introdotto un principio sostanzialmente assimilabile a quello della restitutio in integrum, che assicura la tutela del bene giuridico leso con il suo ripristino in forma specifica, secondo la regola generale prevista dall’art. 2058 c.c. [2]. Corollario della suddetta tutela in forma specifica è la circostanza non solo che in caso di accoglimento del ricorso di impugnazione del licenziamento, il lavoratore ha diritto a tutto ciò che gli sarebbe spettato qualora il recesso datoriale non avesse avuto luogo, dovendo l’azienda corrispondergli tutte le retribuzioni maturate nelle more del giudizio, ma anche il correlato rischio di doverlo riprendere al lavoro senza soluzione di continuità. Si tratta, evidentemente, di una sanzione dalla forte efficacia dissuasiva rispetto alla scelta di percorrere la strada di un licenziamento illegittimo o i cui elementi fondativi non siano così gravi o rientranti nel giustificato motivo, tanto che, per evitare conseguenze davvero gravose, i datori di lavoro spesso hanno cercato, in via di fatto, di “salvare il salvabile”, ricorrendo all’istituto della revoca, istituto mutuato da un lato dall’ordinamento amministrativistico, per una certa analogia con il potere di annullamento in autotutela, e dall’altro da quello civilistico [3]. In particolare, stando alla disciplina codicistica, la revoca è l’atto diretto a rimuovere un precedente atto giuridico, privandolo di efficacia [continua ..]


2. La codificazione del potere di revoca nel nuovo testo dell'art. 18 Stat. lav. e nel d.lgs. n. 23/2015. Una "spending review" del "rischio causa" aziendale?

La funzione di supplenza svolta dalla giurisprudenza fino al 2012 rispetto alla mancanza di una disciplina specifica in materia di revoca del licenziamento ha condotto la dottrina a svilupparne una interpretazione, ora più estensiva ora più restrittiva, che evidentemente mal si conciliava con la necessità di assicurare un più elevato grado di certezza, a maggior ragione con riguardo ad un istituto che dovrebbe invece garantire proprio la neutralizzazione del rischio causa per il datore di lavoro con riguardo a licenziamenti sui quali lo stesso recedente nutra forti dubbi di legittimità. Con la previsione di una disciplina volta – almeno nell’intenzione del legislatore – a ridurre gli spazi di incertezza in caso di dichiarazione di illegittimità del licenziamento, la l. n. 92/2012 ha quindi normato specificatamente il potere di revoca del recesso datoriale, dettandone tempi e modalità. La previsione del potere di revoca del licenziamento ad opera della c.d. Riforma Fornero sarebbe finalizzata a favorire il ripensamento del datore di lavoro [12], così da sottrarlo alle conseguenze sanzionatorie per il caso di recesso illegittimo, senza che il dato testuale della norma ovvero la sua ratio consentano di configurare un divieto generale di revoca del licenziamento oltre i limiti temporali ivi indicati [13]. Lo scopo realizzato del legislatore del 2012, e poi confermato nel 2015, è stato quello di ridurre l’alea del giudizio con riferimento al licenziamento per il datore di lavoro, nonché i relativi oneri economici, e ciò è avvenuto su due piani. Innanzitutto, sotto il profilo dei costi da sopportare in caso di licenziamento illegittimo, si è prevista non solo la forfettizzazione nel limite massimo delle dodici mensilità del risarcimento del danno da mancata corresponsione delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra, nel caso di applicazione di tutela reale “ridotta”, ma anche la tutela meramente indennitaria all’interno di una forbice legislativamente predeterminata nel caso di vizi di illegittimità considerati non idonei a fondare una tutela ripristinatoria del rapporto di lavoro [14]. In altri termini, rispetto all’originaria formulazione dell’art. 18 Stat. lav. è stata introdotta una versione che ha sicuramente alleggerito per l’impresa le [continua ..]


3. Prospettive e criticità della revoca del licenziamento: a) il campo di applicazione …

Si è detto della stretta correlazione tra l’efficacia reale della tutela reintegratoria, che implica la corresponsione di tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra, e la volontà del legislatore di apprestare uno strumento che limiti quanto più possibile il suddetto rischio per il datore di lavoro che a seguito di licenziamento sul quale il nutra dubbi possa consentirgli di neutralizzarlo. Tale connessione logica e giuridica emerge anche dalla scelta di collocare la norma che codifica il potere di revoca proprio all’interno del nuovo art. 18 Stat. lav., tanto da indurre gli interpreti ad interrogarsi sull’applicabilità o meno dello ius poenitendi anche ai licenziamenti comminati da datori di lavoro soggetti alla tutela obbligatoria di cui alla legge n. 604/1966 [23]. Dal punto di vista di una interpretazione strettamente letterale, vi sarebbero ragioni ostative a riconoscere tale potere anche in capo alle aziende più piccole, ciò anche per la funzione eminentemente “bloccante” della revoca rispetto all’applicazione della tutela reale, nonché per la collocazione “topografica” della norma all’interno dell’art. 18 Stat. lav., dei cui regimi sanzionatori la revoca ha efficacia ostativa. Va tuttavia considerato, come ricordato nel paragrafo che precede, che il legislatore ha espressamente previsto l’estensione di tale potere all’ipotesi del licenziamento nel rapporto di lavoro a tutele crescenti e dunque anche in pieno regime di tutela obbligatoria [24]. Escludere quindi tale potestà in capo al datore di lavoro al quale non si applichi il regime della tutela reale potrebbe porre un problema di illegittimità costituzionale in base all’art. 3 Cost. [25]; cosicché appare corretto a chi scrive optare per una interpretazione costituzionalmente orientata che dovrebbe portare (al contrario) ad estendere l’ambito di applicabilità della revoca. Si tratta di un profilo sottovalutato dal legislatore e sul quale, invece, appare necessaria una riflessione quantomeno per nell’ipotesi del licenziamento nullo, che come tale potrebbe essere eccepito anche nei confronti dei datori di lavoro non esclusi in questo caso dall’essere soggetti alle sanzioni previste dall’art. 18, comma 1, Stat. lav. E in effetti, l’interesse concreto [continua ..]


3.1. (Segue) ... b) forma e conseguenze dell'esercizio dopo il termine decadenziale ...

Sebbene manchi una previsione specifica in tal senso, sembra ragionevole sostenere che la revoca debba necessariamente avere forma scritta [28], dal momento che essa viene tipizzata come negozio unilaterale e dunque, trattandosi di atto intimamente collegato ad un atto formale come il licenziamento, ne debba avere gli stessi requisiti formali. D’altra parte, parrebbe indubitabile che, posta la natura recettizia dell’atto di revoca, il destinatario della comunicazione, ai fini dell’efficacia della stessa, debba essere il lavoratore, a nulla rilevando invece dichiarazioni di revoca rese unicamente a soggetti terzi [29]. Considerato il fatto che la revoca del licenziamento, rendendo il recesso tamquam non esset, ha un’efficacia ripristinatoria del rapporto di lavoro, alle medesime condizioni, si può ritenere che un atto revocatorio che preveda, ad esempio, la modifica della sede di lavoro, ovvero delle mansioni, ovvero dell’inquadramento costituirebbe invece una nuova proposta contrattuale, come tale necessitante del consenso del lavoratore [30]. Nella logica della disciplina sulla revoca, l’impugnazione del licenziamento [31] fungerebbe allora da atto di impulso “presupposto” dell’esercizio del provvedimento revocatorio, secondo uno schema per certi versi assimilabile a quello della mora del creditore, che in questo caso sarebbe il datore di lavoro al quale si offrono, contestualmente all’impugnazione, le proprie prestazioni [32]. Nell’ipotesi in discorso, essendo necessario il consenso del lavoratore ai fini dell’efficacia del provvedimento revocatorio, il licenziamento precedentemente comunicato sarà a tutti gli effetti valido ed efficace, così che al lavoratore basterà non aderire alla proposta aziendale e, intendendosi il rapporto ormai cessato, non sarà necessario rassegnare le dimissioni. A quel punto, il lavoratore sarà libero di impugnare il licenziamento e adire il Giudice per sentirne dichiarare l’illegittimità, senza che la proposta di revoca determini alcun pregiudizio in capo al diritto di azione del ricorrente. Ciononostante, il datore di lavoro potrebbe eccepire che, in caso di applicazione della tutela reale, da quanto spettante al lavoratore a titolo di risarcimento del danno per le retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra, venga dedotto a titolo di aliunde [continua ..]


3.2. (Segue) ... c) sulla revoca tardiva...

A ben vedere, sarebbe tutt’oggi possibile anche una revoca tardiva con efficacia ripristinatoria del rapporto di lavoro, qualora il lavoratore vi acconsenta. Lo stesso valore di mera proposta avrebbe anche la revoca comunicata prima che il licenziamento venga impugnato, con conseguente applicazione dei principi già elaborati dalla giurisprudenza antecedentemente alla entrata in vigore della l. n. 92/2012 [35]. Nell’attuale sistema normativo conviverebbero pertanto due distinte ipotesi di revoca del licenziamento: una tipica, introdotta dalla l. n. 92/2012 e poi ripresa anche dal d.lgs. n. 23/2015, che presuppone requisiti di forma, tempi e modalità ben precise, sebbene non sempre univoche; e un’altra atipica, che invece lascia sostanzialmente alle parti la possibilità di regolare consensualmente una situazione che potrebbe comportare pregiudizi per entrambi i contraenti. Con riferimento alla seconda fattispecie, il datore di lavoro potrebbe porre in essere un atto revocatorio in senso a-tecnico nel caso in cui, intervenendo al di fuori dei termini e delle modalità previste dalla legge, concretizzi una proposta di nuova assunzione. Qualora il lavoratore dimostri di avervi interesse [36] potrebbe ipotizzarsi una “novazione” del rapporto, in base alla quale il precedente viene estinto e in luogo di esso se ne costituisce un altro. In questo ultimo caso ci si muove evidentemente in un ambito puramente privatistico, dove all’autonomia negoziale è concesso il potere di costituire, modificare ovvero estinguere il rapporto di lavoro, senza che però vengano meno ulteriori questioni giuslavoristiche. In particolare, è di indubbio interesse la configurabilità o meno in capo al lavoratore dell’obbligo di adoperarsi affinché venga ridotto il danno cagionato dal datore di lavoro a causa del licenziamento che poi lo stesso intenda revocare ovvero “scambiare” contrattualmente con una nuova assunzione. Di fronte a tale fattispecie si pone, in particolare, la questione della detraibilità – a titolo di aliunde percipiendum – da quanto eventualmente spettante a titolo di retribuzioni maturate a seguito di una sentenza reintegratoria, di quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire a seguito dell’adesione alla proposta datoriale di ricostituzione del rapporto ovvero di nuova assunzione. La disposizione [continua ..]


3.3. (Segue) ... d) sulla ripresa del lavoro …

In tale contesto appare di non poco conto la questione della congruità del termine assegnato al lavoratore per riprendere il servizio, se si considera che mentre il datore di lavoro ha un alto grado di certezza con riferimento ai tempi e alle modalità di esercizio del potere di revoca, al contrario il prestatore potrebbe essere “colto di sorpresa” dalla revoca del licenziamento, potendo essere richiamato al lavoro nel giro di qualche giorno o addirittura di qualche ora. Si pensi, ad esempio, al caso del lavoratore che, ricevuta la comunicazione di licenziamento (che provvede tempestivamente ad impugnare), nella ricerca di una condizione di svago, decida di intraprendere un viaggio in paesi lontani. Qualora il datore di lavoro disponga la revoca del licenziamento evidentemente non potrebbe pretendere che il lavoratore sia pronto nel giro di poche ore a riprendere il servizio, dal momento che questi ha nutrito un affidamento sul fatto di poter organizzare liberamente il proprio tempo, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro. Sennonché il problema in tale caso sembrerebbe porsi, a monte, sotto il profilo della conoscibilità della revoca medesima, qualora questa venga recapitata presso l’indirizzo del lavoratore, che per ovvi motivi non la riceverebbe subito. Si configurerebbe, in tal caso, una ipotesi riconducibile all’interno del­l’alveo dell’art. 1335 c.c., che riconosce al destinatario della proposta contrattuale la possibilità di provare di essere stato senza colpa nell’impossibilità di prendere conoscenza dell’atto pervenuto al suo indirizzo, come accade ogni qual volta l’impedimento sia estraneo alla sfera del destinatario ovvero al suo fatto volontario [37]. Più in generale, sotto il profilo della congruità del termine assegnato per la ripresa del servizio, vengono in soccorso i principi della buona fede e della correttezza nell’esecuzione del contratto, dai quali discende che il datore di lavoro deve fornire al lavoratore un termine congruo, dunque almeno di qualche giorno a decorrere dal notum facere, per poter riprogrammare i propri tempi di vita in relazione alla ricostituzione del rapporto, a maggior ragione se si considera che quello di revoca è un diritto potestativo [38]. D’altro canto, qualora a fronte di una revoca tempestiva e dotata dei requisiti previsti dalla legge il lavoratore [continua ..]


4. Uno strumento utile o un ennesimo fuor d'opera? a) natura e conseguenze della revoca ...

Dal momento che il disposto normativo parla espressamente di ripristino del rapporto di lavoro “senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca”, si aprono nuove criticità di grande interesse teorico e pratico. Considerato che la norma fa riferimento esclusivamente al diritto alla retribuzione, sembrerebbe logico sostenere che il lavoratore possa rivendicare altre eventuali voci di danno conseguenti al licenziamento sorte prima che lo stesso venga revocato [40]. È il caso, ad esempio, delle spese che il lavoratore eventualmente sostenga per effettuare colloqui di lavoro ovvero al pregiudizio economico che lo stesso patisca con riferimento al mancato (totale o parziale) pagamento delle rate relative a finanziamenti aperti e che lo espongano pertanto a sanzioni di natura economica da parte dell’ente creditore. Altro profilo di indubbio interesse è poi quello relativo alla verificazione di eventuali infortuni in itinere (ad esempio nel caso in cui il lavoratore si rechi in azienda per ritirare documenti) nel periodo intercorrente tra il licenziamento e la sua revoca, che viene “coperto” da un punto di vista assicurativo soltanto dopo la ricostituzione del rapporto di lavoro. A tale quesito sembra convincente dare una risposta positiva, poiché per effetto della revoca “senza soluzione di continuità” il ripristino del rapporto sarebbe reale e pertanto si riespanderebbe completamente la copertura indennitaria. Se è vero, dunque, che la specifica regolamentazione del potere di revoca del licenziamento potrebbe riscontrare un giudizio positivo in termini di prevenzione del contenzioso e di ripristino di rapporti di lavoro “a rischio” di annullamento, d’altra parte si sono aperti ulteriori profili di incertezza con riferimento alle modalità, ai tempi e all’ambito di applicazione del suddetto istituto, che rischiano di neutralizzare la volontà “chiarificatrice” della nuova disciplina. Sennonché l’effetto “perverso” della fattispecie introdotta dalla legge n. 92/2012 e poi confermata dal d.lgs. n. 23/2015 è quello di consentire al datore di lavoro di irrogare, nel dubbio che sia legittimo, il licenziamento, e attendere l’eventuale impugnazione da parte del lavoratore per porlo nel nulla, senza [continua ..]


4.1. (Segue) ... b) l'anomia normativa in caso di revoca delle dimissioni

La scelta di codificare lo ius poenitendi del datore di lavoro sconta un limite dal punto di vista sistematico nel fatto che non è previsto né disciplinato espressamente un potere uguale e contrario da parte del lavoratore nel caso in cui questi rassegni le dimissioni [42]. In tal caso, evidentemente, al prestatore di lavoro non sarebbe concesso il diritto di rimeditare la decisione di far cessare il rapporto, se non secondo le forme ordinarie di revoca degli atti recettizi, così che la revoca dovrebbe giun­gere al datore di lavoro prima dell’atto di dimissioni [43]. Sennonché que­st’ul­tima ipotesi appare difficilmente configurabile dal momento che il recesso da parte del lavoratore, tranne in alcuni casi tassativamente previsti, ha luogo telematicamente. Nulla impedirebbe, in base al diritto comune, che le parti trovino un accordo per ricostituire il rapporto cessato [44], ma si tratta di una ipotesi di scarsa appetibilità per il datore, stante il fisiologico squilibrio tra domanda e offerta di lavoro, in quanto il datore di lavoro potrebbe trovare più conveniente sostituirlo con un altro lavoratore al quale poter applicare condizioni contrattuali a sé più favorevoli, a meno che non si tratti di un lavoratore infungibile per professionalità ed esperienza, A ben vedere, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 92/2012, un potere speculare a quello di revoca è posto in capo al lavoratore che si ritrova in determinate situazioni soggettive [45]con la procedura di convalida delle dimissioni, che implica la possibilità di ponderare in un certo lasso di tempo la decisione [46], possibilità confermata dal comma 2 dell’art. 26 del d.lgs. n. 151/2015. Sennonché, in tal caso, la cessazione del rapporto di lavoro sarebbe sospensivamente condizionata alla conferma delle dimissioni secondo le modalità prescritte, diversamente dal licenziamento che è invece efficace fintanto che non venga revocato, seppur retroattivamente. Dunque, a ben vedere, si tratta in tal caso non di un istituto che introduce il diritto del lavoratore a revocare, re melius perpensa, le dimissioni, bensì di una procedura tesa a verificare la genuinità della volontà del lavoratore di recedere. Una ulteriore ipotesi da considerare è quella del prestatore di lavoro che rassegnate le [continua ..]


NOTE